-aggio è ciò che, di un latino -atĭcu(m) e dopo secolare elaborazione, francese e provenzale deposero nella morfologia italiana, or sono molti secoli. Veicolo del trasferimento furono numerosi prestiti. Allora il prestigio delle due lingue era infatti grande.
Con -atĭcu(m), da nomi si derivavano aggettivi, in origine, come ancora oggi è dottamente evidente (programma, programmatico, paradigma, paradigmatico). Con qualche eccezione, con -aggio invece si andò in una diversa direzione. E la si percorre ancora, sempre che una derivazione in proposito sia vigente.
Non lo è, per esempio, negli antichi coraggio, omaggio, ostaggio, messaggio. E lo è illusoriamente nel caso di linguaggio. Il suo rapporto con lingua è diverso da quello che, mediato dal verbo gemellare, oggi corre, per dire, tra gemello e gemellaggio.
Nel volgare del sì c'era già lingua, ovviamente, e il francesismo linguaggio vi arrivò già pronto e confezionato, con la sua accattivante aria esotica. Trovò presto chi si fece bello del suo uso, allora segno di raffinatezza culturale. Ci sono tre ricorrenze di linguaggio nella Commedia e due sono in rima. Le si direbbe testualmente concentrate, ma non si è qui a fare esegesi dantesca: "così, per non aver via né forame | dal principio nel foco, in suo linguaggio | si convertïan le parole grame" (If 27 13-15); "Poi disse a me: «Elli stessi s'accusa; | questi è Nembrotto per lo cui mal coto | pur un linguaggio nel mondo non s'usa. | Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; ché così è a lui ciascun linguaggio | come 'l suo ad altrui, ch'a nullo è noto»" (If 31 76-81).
Questi versi lo dicono: come sinonimi, lingua e linguaggio si trovarono così in concorrenza. Lungo i secoli, l'italiano ha d'altra parte provato a sviluppare dalla sinonimia una ideale complementarità, specializzando linguaggio. Non c'è opera lessicografica (moderna) che non lo attesti, con buona volontà.
La lingua di tutti i giorni si è tuttavia rivelata recalcitrante in proposito e la voce linguaggio del dizionario on line dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana esordisce opportunamente così: "Nell'uso ant[ico] o letter[ario], e talora anche nell'uso com[une] odierno, lo stesso che lingua, come strumento di comunicazione usato dai membri di una stessa comunità".
La stessa voce precisa solo in seconda battuta che linguaggio vale anche "[i]n senso ampio, la capacità e la facoltà, peculiare degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici; e lo strumento stesso di tale espressione e comunicazione (inteso in senso generico, senza riferimento a lingue storicamente determinate)". Ma fosse solo questo...
A complicare le cose (o a semplificarle superficialmente), da qualche anno è intervenuta un'ulteriore influenza: il prestigio, come si sa, muta nel tempo. Con la sua irreparabile ambiguità (o si dirà sovra-estensione?), l'inglese language (che, va detto, sgorga dalla medesima fonte) è così venuto a sostenere usi tanto generici, quanto specifici di linguaggio, apparentato e perciò somigliante. Linguaggio esteso, linguaggio inclusivo ne sono testimonianze, giunte ad arricchire un campionario già straordinariamente ricco per via di catacresi.
Lo si è detto: linguaggio arrivò in tempi remoti come raffinatezza. Gli è pertanto toccato il destino che tocca a (quasi) tutte le raffinatezze: finire nel vortice comunicativo ed espressivo che le precipita verso la strada di una perversa ordinarietà. E lì, vere e proprie parole da marciapiede, non c'è copula cui esse si neghino. Difficile dire infatti a cosa oggi non si possa attribuire un linguaggio e di cosa non si possa predicare che è un linguaggio, per denotazione o per una connotazione non più percepita come tale.
La facile verifica è affidata a chi legge, che, sulla base della sua competenza e delle sue esperienze, troverà ad libitum quanto può comunemente completare un nesso nominale come il linguaggio del / dello / della... o una proposizione come il / lo / la.... è un linguaggio. Pur nella sua polisemia, come parola, lingua si è mantenuta più seria e costumata, al confronto, e si ha di conseguenza qualche remora a dire che è lingua molto di ciò a cui invece con grossolana facilità si attribuisce la qualità di linguaggio.
Per linguaggio, una riuscita da gigolo era prevedibile, portatore com'è di segni di un'antica tabe. Né si riesce correlativamente ad avere in simpatia l'ignoto chierico cui, per non dire appunto lingua, come forse era il caso, venne in mente e poi sulle labbra l'ipotetico linguatĭcu(m), in séguito fortunatissimo, che fa da etimo ricostruito a lengatge, a langage, a language e conseguenti.
Ce lo si immagina facilmente, uno così. Rappresenta un tipo umano eterno. Il retore o il predicatore che, per parere dotto e impressionare, tira fuori parole di norma meno brevi delle comuni e già in uso. Allunga così il brodo delle proprie chiacchiere, sicuro che molti, tra coloro che lo ascoltano ammirati, lo imiteranno e, da lì in avanti, sul suo esempio preferiranno linguatĭcu(m), la novità, a lingua.
Linguaggio testimonia insomma l'opera di un antenato morale di chi, oggi, non parla di problemi ma di problematiche, non tratta di temi, ma di tematiche, non lo fa secondo modi, ma secondo modalità, non dice i... o le..., ma quelli o quelle che sono... e così via. Come non sentirne ancora l'olezzo e come non trovare tale olezzo poco tollerabile?
Confusione, insomma. A cui la linguistica, ignorando per incomprensione gli sforzi di Saussure, non ha opposto una decantazione di termini propri della scienza della lingua.
RispondiEliminaDi langage si servì anche Saussure, nella sua ricerca di una terminologia. E forse Apollonio finirà per dire qualcosa in proposito. O lo farà, vincendo la sua pigrizia, il suo alter ego. Qui, preveggente Lettore o Lettrice senza nome, è più faccenda di lingua di tutti i giorni. Ma ha ragione nell'osservare che non raramente il linguaggio quotidiano, la parola, finisce in pagine o in discorsi in cui ci si attenderebbe di trovarlo come termine. Grato perciò Apollonio del Suo incoraggiamento.
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