Venendo al mondo, una creatura della specie umana, tra il molto altro, incappa in una lingua di cui non sa nulla. Ma, umana com'è, è predisposta alla lingua (cioè a esprimersi) e con la lingua particolare in cui è incappata si accostuma in brevissimo tempo alla perfezione. Si accostuma in altre parole con un particolare sviluppo culturale della sua natura.
Si immagini allora, solo per un momento, che per assolvere a tale compito, cruciale per la sua sopravvivenza, essa fosse invece immediatamente affidata a cure e spiegazioni con le quali, per tradizione, si dottrineggia e si soloneggia sopra quella lingua in particolare o sopra ogni altra. La creatura non capirebbe nulla e sarebbe destinata, se non all'afasia, a gravi disturbi del comportamento espressivo e comunicativo.
Già solo a immaginarlo, che, per il suo sviluppo linguistico, sin dalla più tenera età, una creatura possa trovarsi in balia di un indottrinamento grammaticale provoca un'istintiva repulsione, anche a chi non ha letto le spassose pagine che l'Erasmo qui rappresentato dedica a deridere la follia di grammatici e grammatiche (già comico, in effetti, a dirlo così, per il gioco del genere). E si può stare certi che una madre grammatica o un padre grammatico, esprimendosi e comunicando con la propria creatura, depongono ogni superfetazione dottrinale e ricorrono, senza nemmeno pensarci, alla loro natura culturale. Parlano, non fanno sfoggio di precetti o di spiegazioni.
In effetti, a chi, predisposto, l'ascolta in una lingua qualsiasi, la lingua si spiega da sé. Anzi, si può dire che questa sia la caratteristica principale della lingua: la sua mirabile capacità di spiegarsi, senza, per dire così, intervento umano. Priva di tale capacità, se ci si pensa, la facoltà della specie di esprimersi, ammesso ci fosse stata in origine, si sarebbe rapidamente spenta. E a nulla sarebbero valsi, in proposito, grammatici e grammatiche.
Di costoro, a lungo l'umanità ha fatto certamente a meno, senza danni, per la permanenza e lo sviluppo delle sue molteplici espressioni linguistiche. E c'è da ritenere che, nella vicenda dell'umanità, ci siano state lingue che hanno attraversato millenni di storia senza che a nessuno venisse in mente di farle oggetto di grammatiche. In altre parole, di un costrutto culturale che in effetti porta inscritto nel suo stesso nome la dipendenza da una tecnologia nata da poco: la scrittura. A qual pro perdere il proprio tempo con qualcosa cui la natura culturale degli esseri umani provvede ottimamente da sé medesima?
Agli esseri umani, come si sa, il fato ha tuttavia dato di complicarsi la vita, sotto pretesa di migliorarsela. In inespiabile pena o, in mancanza di meglio, in ragione di gioia. E, ammesso che per un breve momento una fase precedente sia esistita, non si è più ovviamente in una siffatta età dell'oro. L'età dell'oro della lingua rinasce tuttavia ogni volta che una creatura viene al mondo, come si è detto, e non bisogna perciò scordarsi che così stanno fondamentalmente le cose, con la lingua e con le lingue.
Ne consegue allora che, nel mondo come è venuto fatto, inesorabilmente, l'unico insegnamento grammaticale sensato, con il procedere di un essere umano verso una personale e augurabile maturità, consisterebbe in un nobile "conosci te stesso, quando ti esprimi e comunichi". O, come variante, in un consapevolmente disperato "tenta di sapere almeno un po' cosa fai, quando ti esprimi e comunichi". O ancora, con spirito più illusoriamente prometeico, in un "prova coscientemente a padroneggiare a tua volta ciò in cui sei penetrato nascendo e che da quando vivi, senza che tu lo sappia, ti padroneggia e ti permette di sopravvivere".
Ecco a cosa lavora, se ha un po' di sale in zucca, chi consacra la sua attenzione a lingua e lingue. E fu questo, per una breve stagione (oggi trascorsa), il vero programma della linguistica, nella qualità di disciplina ragionevolmente scientifica, quando essa provò a riscattarsi dall'erudizione che le aveva fatto da utero indispensabile, ma a lungo andare (e a rimanervi oltre il dovuto) malsano e mortifero.
Come altre volte qui s'è scritto, sono infatti lingua e lingue a spiegare eventualmente quei bizzarri costrutti concettuali, trasformati sovente in cervellotici precetti di comportamento, che vengono detti grammatiche. E il Cielo guardi lingua, lingue e parlanti da chi crede il contrario. Non perché costui o costei possa nulla, in realtà, ma perché la sua rabbia impotente diventa ragione, per lingua, lingue e parlanti, di inutile, contingente infelicità.
👌
RispondiEliminaBravissimo, come sempre, La Fauci: grazie! e questi servi gallonati del governo di destra vogliono plasmare esseri osservanti. Grazie per questi 50 anni di felicità mentale!
RispondiEliminaApollonio ha trasmesso il Suo plauso all'alter ego, gentile Lettore o Lettrice senza nome, e ne ha ricevuto il mandato di ringraziarLa. Della felicità, è condizione imprescindibile la libertà, non fosse di altro, del pensiero. E la prima arena in cui la libertà di pensiero va messa alla prova con un crudo sorriso è, per ciascuno, per ciascuna, il proprio foro interiore.
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