4 febbraio 2025

Vocabol'aria (22): Ascensore sociale

Della funzione della scuola, capita di sentire dare di tanto in tanto una suggestiva qualificazione figurata: ascensore sociale. Lamentandone spesso il cattivo funzionamento, è un modo per riferirsi agli esiti, possibilmente non solo individuali, di un'aspirazione. 
Ora è un sessantennio, Paolo Pietrangeli menzionò tale aspirazione nel verso di una sarcastica strofe della sua Contessa: "Anche l'operaio vuole il figlio dottore..." (il ritornello della fortunata canzone, come si sa, spiegava il sarcasmo).
La locuzione ascensore sociale deve tuttavia essere nata ben prima di quella sua illustrazione canora e poetica. Ascensore, nel valore oggi comune, è parola esemplata sul francese ascenseur, che ancora nel 1905 Alfredo Panzini diceva circolante in italiano come prestito: "Piccola ed elegante cabina che sale o scende lungo regoli nel vano delle scale de' grandi edifici moderni, per innalzare facilmente pesi o persone. Questa parola nei dizionari recenti è fatta italiana in ascensore, ma nell'uso prevale la parola francese".
E nel corso (della prima metà) del Novecento, se non prima, sarà stato il discorso della sociologia e della politica d'Oltralpe a procurare l'ambiente propizio alla nascita di ascensore sociale, come metafora poi trasferitasi nell'italiano. 
La sfera semantica che essa arricchisce è infatti un carattere tipico e generale del Moderno, contrapposto all'Ancien régime e ai suoi cascami: la mobilità sociale. Non lo si ricorda mai, ma emblematica in proposito fu e resta appunto la vicenda di quell'ufficialetto còrso che, ante litteram, montando sopra un velocissimo ascensore militare (non c'è solo lo scolastico e ne esiste anche uno ecclesiastico, come si sa), si fece imperatore. Per indubitabili meriti.
Ascensore sociale, come polirematica, non ha trovato menzione nel Grande dizionario italiano dell'uso diretto da Tullio De Mauro, ancora nel 2000, né si è affacciata, quattro anni più tardi, nel Supplemento, diretto da Edoardo Sanguineti, del Grande Dizionario della lingua italiana. In proposito, a nulla evidentemente servì la comune inclinazione ideologica e politica dei due importanti intellettuali. O forse percepirono la sottile scivolosità della questione cui la metafora presta la sua forma. Chi assicura infatti che "il figlio dottore", asceso materialmente e fattosi "dottore", continui, per ascesi morale, a sentirsi socialmente "figlio"? Gia nel 1928, con Zappatore, Libero Bovio, musica di Ferdinando Albano, aveva infatti illustrato populisticamente il caso contrario.
Quando ascensore sociale compare in un discorso, come illustrazione della funzione della scuola o della scuola tout court, si può infatti essere quasi certi che a parlare sia una parte politica che si atteggia a progressista. E siccome è un tropo, la locuzione è loquace testimone di un modo di vedere ciò cui si applica e la prospettiva che orienta lo sguardo. Come si è detto, il modo è propriamente moderno (giudichi chi legge se, in quanto tale, oggi non risulti perciò gravemente obsoleto). 
Moderna e, a essere precisi, del pieno Ottocento è d'altra parte l'apparizione, con rilevanza materiale e culturale, dell'oggetto designato dalla parola ascenseur per denotazione. I lessici francesi la dicono attestata appunto dal 1867 con questo significato. E del Moderno e di tutte le sue ideologie del progresso, la figura che ne discende porta lo stigma
Andare in su è, di norma, difficile e faticoso più di andare in giù. È quindi spiegabile, per una sorta di pertinenza, che si sia fatto ricorso a un derivato dell'inusuale ascendre, piuttosto che a uno del comune descendre, per designare (peraltro, c'è da credere tecnicamente, sulle prime) la "piccola ed elegante cabina" che va appunto tanto in su, quanto in giù. Pur essendo stata chiamata e continuando a chiamarsi ascensore, ci si infila in essa tanto per salire, quanto per scendere, come sa ciascuno. 
Ma quando la parola si presta a costituire una figura, il valore di connotazione emerge imperioso e la base della derivazione, di botto, si fa interpretazione esclusiva. Chi prospetta funzionalmente la scuola come un ascensore (sociale) pensa infatti a qualcosa che serve solo per andare in su e un'idea siffatta intende trasmettere.
C'è oggi da chiedersi, amaramente, se, come nel caso dello sviluppo economico e della crescita costante (di chi? a scapito di chi?), cioè di un nerbo ideologico della falsa coscienza del Moderno, una idea siffatta sia producente, non tanto come programma, quanto, si direbbe primariamente, come strumento volto a una migliore comprensione delle dinamiche sociali in atto, totalizzanti, forse meglio, totalitarie, da cui la scuola, come istituzione e come pratica, è ormai travolta. 
E c'è da chiedersi se, metafora per metafora, non valga la pena di chiamare allora in causa in proposito il vecchio adagio che, meno illusoriamente (o meno furfantescamente) e prima della prima, della seconda, della terza e dell'ennesima rivoluzione industriale e tecnologica, enunciava un'elementare e permanente verità: "Il mondo è fatto a scale: c'è chi scende e c'è chi sale".

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