...naturalmente. Il tema è infatti molto impegnativo e chiama in causa competenze e conoscenze storiche, antropologiche, musicali, psicologiche, linguistiche.
Culturali, insomma, in più di una disciplina, se non in più di una dimensione del mondo e, in particolare, della nazione che si esprime nella lingua del sì. Ben al di là di ciò cui può attingere questo diario.
A procurare lo spunto è tuttavia l'attualità: il settantacinquesimo Festival della canzone italiana, in quel di Sanremo (sia detto di passaggio: anche la grafica del suo logo decreta che 2025 è ormai definitivamente venti-venticinque: qui, quanto si scriveva in proposito quasi un anno fa).
Ebbene, la canzone che vi sta facendo il massimo scalpore ha per tema la Mamma. S'intitola (caso mai i suoi due lettori non lo sapessero già) "Quando sarai piccola": è una straniante acutezza che, rovesciandolo, richiama naturalmente il "quando sarai grande..." che una persona adulta indirizza familiarmente a una bimba. Autore e interprete della canzone Simone Cristicchi: artista uso a mettere in versi e musica vicende sociali commoventi, godendo della relativa reputazione. Apollonio prima ne ha appreso qualcosa, quindi ne ha fatto verifica.
La circostanza è a suo modo consolante: gli Italiani non cambiano. E non si tratta, si badi, di un uso del maschile detto esteso, ma di maschile a tutti gli effetti, verrebbe fatto di pensare. Ove la canzone di Cristicchi trionfasse nella competizione (c'è chi dice avverrà: lo si saprà prima della fine della settimana in cui questo frustolo viene steso e compare), non sarebbe la prima dedicata alla Mamma a farlo.
Gino Latilla e Giorgio Consolini (allora usava così) portarono infatti alla vittoria "Tutte le mamme" nell'edizione del Festival del 1954, la quarta. L'alter ego di Apollonio solo da poco aveva in quei mesi superato la fase della lallazione e se la sentì cantare intorno, a buona ragione, negli anni a venire.
D'altra parte, da un quindicennio un tormentone era già "Mamma", paradigmatica anche nel titolo. Beniamino Gigli (e non un Pinco Pallino dalla voce gracchiante) ne aveva fatto una hit nazionale, internazionalmente riconosciuta come ben accetto prodotto culturale del più tipico spirito italiano.
Tra campi e cantieri, dentro e fuori dei confini nazionali, ancora negli anni Cinquanta e Sessanta la si sentiva cantare. Erano anche tempi di emigrazione, soprattutto maschile, e, lasciando la patria (che curioso bisticcio tra sentimento morale ed etimologia!), si lasciava la madre: si usciva dal suo grembo. Dunque, alla madre gli Italiani, testimonia la canzone, aspiravano a tornare (si intenda la cosa nel senso che si vuole: eventualmente in quello dissacrante di una fulminante battuta di Woody Allen).
Se l'orizzonte morale degli Italiani, mammoni, non è dunque complessivamente cambiato, molto cambiata è la Mamma, nella nuova prospettiva. In ogni caso, un tratto permane, nei tre concordi campioni: la Mamma invecchia. "...e gli anni passano... le mamme imbiancano..."; "...sento la mano tua stanca... oggi la testa tua bianca...", dicevano in proposito gli stagionati.
Del capo della mamma, il più recente non procura a sua volta un'immagine esteriore, ma interiore, prodotta dall'avanzare negli anni. I toni sono quelli di una cura filiale, ma elegiaci (la presente non è epoca atta ad accettare altro), e dicono che, invecchiando e, forse anche incanutendo, la Mamma soprattutto non c'è più con la testa (dolorosamente: Apollonio lo sa).
Bisogna ammetterlo per l'ennesima volta. Non c'è specchio che renda meglio l'immagine della nazione del Festival della canzone italiana di Sanremo. Proprio in quanto nazione, dotata appunto di un comune sentire, essa vi si celebra in effetti ormai da tre quarti di secolo.
E oggi, con il suo festival di canzonette, l'Italia si riconosce in una Mamma ormai suonata (ohibò!). Una Mamma che ha perso consapevolezza di sé, della sua storia, dei suoi figli. E alla quale, con tono di amorevole condiscendenza, non resta che dire, concludendo: "...adesso è tardi, fai la brava, buonanotte".
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