Non è un'ovvietà precisarlo, come forse qualcuno può credere: per Apollonio, anche la tecnologia ha una storia, nel senso proprio. Idea molto diversa appunto da quella ormai corrente che intende storia come un mero sinonimo di sviluppo (effetto, tra i tanti, del declino della filologia e delle discipline connesse, nel clima morale, prima che culturale della temperie).
La questione è tuttavia complessa e non è intenzione di questo frustolo di sollevarne nemmeno un lembo marginale. Questa premessa è destinata a chi intende già dove qui si andrà a parare, come certo i due lettori di Apollonio. In estrema sintesi, si proporrà infatti di periodizzare le fasi recenti di quella storia con un criterio semplice e grossolano, ma efficace e rivelatore, a giudizio di chi scrive. Ci si venga.
Ci fu un tempo in cui, pensata per dare soluzione a un problema, una tecnologia appunto risolveva il problema, producendo al tempo stesso una serie di problemi connessi ma differenti. Ciò è del resto ovvio quando si tratta dell'agire umano. Non c'è mai Endlösung, per gli esseri umani. E solo evocare l'orrendo termine e il contesto che, con scopo immondo, lo produsse dice come siano pericolosi coloro che hanno pensato e pensano a una soluzione finale, a qualsiasi proposito, anche il meno deplorevole.
Saggezza e probità dicono in effetti che, ammesso si sia risolto un problema, dalla soluzione ne germoglia una serie di nuovi. Ma questo è appunto il passato, quello in cui, per esempio, si misero tecnologicamente a punto macchine che, con la forza del vapore, facilitarono concentrazioni produttive industriali divenute a loro volta fonti di ogni sorta di problemi.
Da qualche tempo, il rapporto tra problema e tecnologia che si pensa lo risolva è tuttavia mutato. È avvenuto quando la modernità è marcita e si è entrati nell'era storica della Modernità putrefatta. Di questa svolta, il mutamento cui ci si riferisce è anzi un segno indubitabile. Nella nuova fase, la soluzione di un problema crea, come sempre, altri problemi, ma non è più ciò che la qualifica e la caratterizza. La qualifica al contrario il fatto che è essa stessa un problema. Anzi e più precisamente: la presunta soluzione è l'amplificazione, l'accrescimento, talvolta gigantesco, del problema che sarebbe destinata a risolvere.
Evento cruciale del catastrofico mutamento storico (si ribadisce, storico) fu quello prodottosi a Hiroshima or sono ottanta anni. Fu momento emblematico della mostruosa metamorfosi di una scienza in una tecnologia che, con l'atto con cui apparentemente risolveva un problema, ne diventava essa stessa una parte. Anzi, la parte preponderante. Non se ne è fatta ancora la prova e c'è chi millanta (con quale esperienza dell'umanità?) che non la si farà mai. Ma si venisse al dunque, come sempre può capitare, il problema non sarebbe infatti la guerra e basta, ma la guerra atomica. Si dica allora se non si tratta di uno spaventoso accrescimento.
Fuori di scenari da considerare ancora eccezionali e tanto lampanti da essere risultati e da risultare accecanti, come esemplificazione si può venire a esperienze spicciole, odierne e quotidiane.
Cos'è finalmente e in effetti un climatizzatore se non un amplificatore del problema globale che sarebbe localmente destinato a risolvere? Fa caldo per via del mutamento climatico? Milioni, se non miliardi di piccole macchine destinate a fare fresco entrano a pieno titolo nel problema, rendendolo ancora più grave.
E cosa è già, nei termini di una qualità delle relazioni umane, l'indefinita crescita delle possibilità comunicative prodottasi con l'Internet? Una splendida soluzione per il problema della comunicazione globale è divenuto il massimo problema della comunicazione, portandola alla totale insignificanza.
E cosa sarà, cosa è già l'irrompere tecnologico della cosiddetta Intelligenza Artificiale? In funzione della stoffa delle conoscenze umane, da valutare, come spesso si dimentica, non soltanto con un quanto, ma anche con un quale e, soprattutto, con un come, l'IA si presenta già, come pretesto, da sicuro annuncio di un cataclisma di ignoranza.
Ci vuole però ironia, soprattutto riflessiva, per intuire come, nella dimensione umana e date le condizioni prodottesi con la crescita dei mezzi tecnologici, ciò che si immagina come soluzione possa in realtà essere solo un accrescimento del problema che si pretenderebbe di risolvere.
E l'ironia, che non è appunto una tecnologia né, pare, una funzione gestibile da una tecnologia, è quanto fa da gran tempo difetto a una civiltà che, appunto perché incapace di ironia, si è spudoratamente intestata il compito di trovare le soluzioni ai problemi dell'umanità e di applicarle al mondo intero, costino quel che costino. Un compito che nessuno le ha affidato, come sa chiunque frequenti con intenzione la storia, e dal quale, con facile profezia, si può stare certi che nessuno riuscirà purtroppo a convincerla di recedere.
Apocalittica (anche col concorso dell'età?) la per altro giustissima posizione di Apollonio. Ancora più apocalittico è che, ove casualmente letto, tale scampolo di saggezza verrà tranquillamente buttato nel cestino
RispondiEliminaQuanto gradito ad Apollonio è il Suo commento, Lettore o Lettrice senza nome, e com'è bella l'occasione che gli procura per chiarire e chiarirsi, se ci riesce, ancora una volta. No. Il frustolo non è apocalittico, ma concessivo: scritto sebbene un'apocalissi, nel valore proprio di rivelazione, per ogni essere umano, sia sempre in vista (c'è bisogno di specificarla?). E scritto, correlativamente, sebbene destinato al cestino, come del resto merita. Se è famigliare di questo diario, sa che, ora è poco, qui si è tornati sull'attitudine. Se non lo è, eccoLe il collegamento: https://apolloniodiscolo.blogspot.com/2025/05/sebbene.html
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