21 giugno 2025

Spettatore pagante (10): "Tucidide. Atene contro Melo" di Alessandro Baricco

"...c'era una differenza come quella di oggi fra Mattarella e Trump": ad Alessandro Baricco si può concedere che, nell'introduzione alla sua lezione-spettacolo "Tucidide. Atene contro Melo", riproposta a Palermo qualche giorno fa, abbia fatto ricorso a un'espressione estemporanea come questa. Gli è servita per dire, a suo parere, sapidamente della differenza che passava nel quinto secolo a. C. tra Sparta e Atene e del loro insanabile dissidio. E gli si può anche concedere che, per ottenere il medesimo effetto, l'abbia ripresa un paio di volte nel corso della serata. 
Glielo si può concedere, sorvolando sul fatto che, al di là d'ogni plausibilità del paragone e di ogni suo valore esplicativo (è "tiatro", avrebbe detto con ragione la buonanima di Andrea Camilleri, da esperto "tragediaturi"), essa ha suonato come un insulto al pubblico. Tanto a quello (una sparuta minoranza) che ne ha percepito la volgarità (perché di questo si tratta), quanto a quello che, misero, non l'ha percepita e, con l'innescata e prevedibile sonora risata, l'ha fatta sua e l'ha sottoscritta.
Nel cuore della rappresentazione, una bella e ben curata lettura (da elogiare le interpreti: Stefania Rocca e Valeria Solarino) delle pagine dedicate da Tucidide sotto forma drammatica a un episodio tragicamente esemplare delle spietate logiche adottate da Atene nel corso di quel conflitto e della conseguente violenza. Ovviamente, pagine recate in italiano (ma da chi? Apollonio non saprebbe dirlo, forse per sua storditaggine, forse perché si è trascurato di precisarlo). 
A tale lettura, Alessandro Baricco ha però fatto seguire un suo elegiaco fervorino e lo ha punteggiato di corrivi lirismi ("...le navi... il mare... i porti..."). Soprattutto, allo scopo di infiammare nel pubblico il sentimento d'essere moralmente edificato dallo spettacolo, nella sua lunga conclusione e a mo' di commento, Baricco si è servito senza risparmio, come persona grammaticale, di un vieto espediente retorico: un martellante 'noi' inclusivo. Quasi si trattasse appunto di una predica o di un comizio. Tutto ciò, nel giudizio del suo lavoro come ideatore e come regista dello spettacolo, ad Alessandro Baricco non lo si può proprio concedere.
Col pretesto, in se stesso buono e lodevole, di fare ascoltare quelle dure pagine a un pubblico sotto gli occhi del quale difficilmente esse sarebbero mai passate, l'operazione culturale, condotta alle conclusioni cui Baricco così la conduce, finisce per rivelarsi una mistificazione. È tale, del resto, anche nei suoi aspetti musicali, affidati alla vena esagitata di Giovanni Sollima e alla scenografica conduzione di Enrico Melozzi. 
Una mistificazione di tal fatta piacerà forse a molti e a molte, consapevoli o inconsapevoli, ma, come si diceva, in teatro, non la si può concedere proprio a nessuno. Al massimo, come sintomo del tempo presente e del suo clima, si può tentare di capirne le ragioni. Per farlo bisogna però partire da lontano. Dalla stessa Grecia presa a pretesto da Alessandro Baricco per costituirsi nell'occasione in una sorta di capopopolo. Se ne farà tema, caso mai, di un frustolo futuro.

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