3 luglio 2025

(Storia della) Linguistica candida (75): Dalla "Generazione perduta" alla "Generazione silenziosa"

 

Questa tabella circola negli scritti giornalistici e li ispira. Circola anche, in modo meno effimero, nella letteratura sociologica. Denomina e qualifica moralmente e materialmente le differenti generazioni succedutesi negli ultimi centocinquanta anni. La partizione che propone è certo grossolana e, anche per mancanza di competenze, non si discuterà qui se essa abbia le proprietà necessarie per essere invocata come solido criterio storiografico nel fare storia di una disciplina .
Può però divertire incrociarla anche solo per lampi e per momenti con la storia della linguistica (e per un paio di casi, come si vedrà, della semiotica). Ne viene forse fuori infatti qualche rivelatrice curiosità, soprattutto se osservata in prospettiva.
Roman Jakobson nacque nel 1896 e, per suggestione delle etichette di quella partizione, sorte, come si sa, talvolta per ragioni accidentali, di lui si avrebbe voglia di posticipare idealmente la venuta al mondo. Lo si tirerebbe fuori così dalla "Generazione perduta" e lo si iscriverebbe, come anticipatore, nella "Greateast Generation". Lì farebbe compagnia a Émile Benveniste (1902). 
Lo stesso però si dovrebbe fare allora con Louis Hjelmslev, condannato altrimenti solo per un biennio (1899). E come comportarsi con Edward Sapir del 1884, con Leonard Bloomfield del 1887, con Nikolai Truceckoj del 1890, come John Firth? E con Viggo Brøndal del 1887? E con Vilém Mathesius del 1882? E con Lucien Tesnière del 1893? E con Jerzy Kuryłowicz del 1895? E con Alf Sommerfelt del 1892? E con Walter von Wartburg del 1888? Quanto all'Italia, appartengono alla "Generazione perduta"  Benvenuto Terracini, del 1886, Vittorio Bertoldi, del 1888, Giacomo Devoto, del 1897, Antonino Pagliaro, del 1898, Vittore Pisani, del 1899. 
Pur nelle non trascurabili differenze, tutti grandi il giusto, ma, a ben vedere appunto, tutti irrimediabilmente perduti. Quella grande stagione della linguistica, insomma, sarebbe opera della "Generazione perduta". C'è da rifletterci, in funzione delle successive vicende disciplinari.
Nella "Greatest Generation", sono invece presenti un paio di noti semiologi: nacque nel 1915 Roland Barthes (ma semiologo?) e nel 1917 Algirdas Greimas (semiologo per decisivo impulso di Barthes, che si può immaginare avergli detto in proposito: "Vai avanti tu, che a me viene da ridere"). 
Di linguisti, per l'Italia si possono fare i nomi di Giuliano Bonfante (1904), di Carlo Tagliavini (1903), di Luigi Heilmann (1911). Fuori d'Italia, oltre al già menzionato Benveniste, ci sono Einar Haugen, del 1906, André Martinet, del 1908, Zellig Harris, del 1909, Kenneth Pike, del 1912, Eugene Nida, del 1914, come Yakov Malkiel, Henry Hoenigswald, del 1915, come Ernst Pulgram, Charles Hockett, del 1916, Knud Togeby, del 1918, Eugenio Coseriu, del 1921, Morris Halle, del 1923. E poi tre figure, proprio sul limitare del periodo, menzionare le quali fa sorridere, se li si mette in prospettiva: sono Michael Halliday, del 1925, Uriel Weinreich, del 1926, e William Labov, del 1927.
Si sorride perché, pur nelle differenze reciproche, da infanti, paiono messi lì a fare da paradossali putti del mirabile evento procurato da lì a breve dalla Provvidenza. Si era infatti sul limitare della "Generazione silenziosa", apertasi nel 1928. E del dicembre di quell'anno è Noam Chomsky. 
Ora, a pensarci bene, solo per smaccata antifrasi si può dire Chomsky in linea con la sua data di nascita: silenzioso? Di conseguenza, non mancherà certo chi dirà essere lui in realtà il fiore, appena un po' tardivo, della "Greatest Generation": messianicamente, anzi, il suo compimento. Consegnando il dato, Apollonio non oserà dire altro.
Sono però anagraficamente della "Generazione silenziosa" gli allievi del Chomsky della prima ora, come alcuni suoi epigoni (molti presero presto la via dell'apostasia): Jerry Fodor (1935), Paul Postal (1936), James McCawley (1938), John "Haj" Ross (1938), David Perlmutter (1938), George Lakoff (1941) e così via. Dalla porta accanto, occhieggia Charles Fillmore (1929); un po' dentro e un po' fuori del mainstream, ci sono Nicolas Ruwet (1932) e Sige-Yuki Kuroda (1932); completamente fuori, Maurice Gross, del 1934. A conti fatti, un silenzio generazionale litigioso e assordante. 
Nota finale assai curiosa anch'essa: in Italia, nascono come partecipi della "Generazione silenziosa" i più loquaci esponenti di declinazioni nazionali, DOCG si potrebbe dire, di linguistica e semiotica. Nel 1932, venne subito al mondo il tomista Umberto Eco e pochi mesi dopo il vichiano Tullio De Mauro.
E qui Apollonio si ferma. È più che certo che ai suoi due lettori saranno venuti in mente anche altri nomi. Gli evocati sono infatti esito di un estro estemporaneo, di una celia innocente, di un gioco (assistito) della memoria.

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