Muore Goffredo Fofi e non è necessario che Apollonio ricordi ai suoi due lettori chi fosse né che se ne dichiari dispiaciuto. Come dispiaciuto è il suo alter ego, fosse solo per la scomparsa di uno stabile protagonista della scena culturale di cui, ormai da quasi cinque dozzine di anni, è stato curioso spettatore.
In una rete sociale, un importante editore commemora dunque la figura di Fofi con una foto e una citazione. Della seconda, Apollonio non può farsi garante, ma l'autorevolezza di chi se ne serve, pure se in una sede dove l'autenticità latita spesso, induce a ritenere che la si possa tenere come degna di fede.
E non soltanto come autentica, ma anche come ben trovata, da un punto di vista linguistico, atta com'è a illustrare una sorta di corto circuito, frequente in certe argomentazioni intellettuali.
"...ho imparato... ero bambino... ho imparata... ho visto e sofferto...": è una prima persona grammaticale che rivendica puntigliosamente, c'è da dire, l'acquisita consapevolezza del fatto "che l'io è un impiccio" e che "la centralità dell'io è una truffa" (questa seconda asserzione è ancora più dogmaticamente antifrastica, considerata la premessa). Come si sa, la lingua è divina, ma è anche diabolica e permette simili piroette.
Con "io" qui s'intende la funzione enunciativa, rappresentata superficialmente dal pronome personale (io), ma anche, come s'è visto, da una desinenza verbale, da un aggettivo o da un pronome possessivo (mio), da un deittico come qui, ora e così via.
Ebbene, per ottenere l'effetto, basta prendere "io" come funzione e proiettarne il rappresentante superficiale per eccellenza, cioè il pronome io, come nome. Se ne fa così una terza persona che, come nome, si dota di un articolo. Il gioco è fatto: nasce l'io.
E di questo singolare oggetto (o concetto: non fa differenza) è possibile dire, oggettivandolo, tutto il male (o tutto il bene) che si vuole. Se ne può fare tema di discorso, obliterando la circostanza che, al fondo di un processo siffatto, come diceva Benveniste, c'è invece la soggettività o, come si è sforzato di dimostrare l'alter ego di Apollonio, la sua inderogabile singolarità. In barba a qualsiasi "gruppo".
Intere dottrine e complesse discipline hanno profittato e profittano di questa prestidigitazione, in realtà molto modesta e alla portata di chiunque: l'io pullula infatti nella chiacchiera quotidiana. Del resto è soltanto una tra le mille e mille consentite dalla funzione metalinguistica. E la funzione metalinguistica è stata ed è ancora molto sottovalutata, ritiene Apollonio, anche nelle teorie e nelle descrizioni linguistiche che si sono pretese e si pretendono scientifiche.
Che, di passaggio, anche Goffredo Fofi, come 'io', abbia giocato con l'io non stupisce né altro si vuole qui dire: in faccia alla cruda natura della lingua, l'ideologia, qualsiasi ideologia, anche la migliore, finisce sempre per presentarsi nuda alla meta. Ma, per commemorare degnamente l'intellettuale, tra i suoi detti, qualcosa di meglio si sarebbe forse potuto trovare. O no?
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