È il cuore dell'estate. Fa caldo e ricorrono stucchevoli nel discorso pubblico i (lapalissiani) consigli sopra i modi di fronteggiare gli effetti fastidiosi e ancor più i nocivi di temperature così alte.
Nella modernità putrefatta, è d'altra parte la funzione fàtica a caratterizzare un discorso pubblico tematicamente colmo di ovvietà, di moraleggiamenti e di buone intenzioni. E gente accreditata da titoli e cariche vi si presta regolarmente ad enunciare sul tema, con aria seria e compunta, correlate insulsaggini. Si qualifica così come imbonitrice e dà non troppo implicitamente del rimbambito al destinatario ideale della comunicazione: "...indossi capi leggeri... non vada a spasso quando il sole picchia più forte..." e così via. Già.
Riuscire a trovare motivi di interesse anche in tali piattezze è tuttavia la fortuna (o la condanna) di quel particolare e perenne tipo di sciocco che ha curiosità per l'espressione. A prescindere dalla presenza e dalla sostanza di qualsivoglia luna, egli guarda sempre il dito che pretenderebbe di indicargliela. In altre parole, non è un referenzialista, per dirla invece come nobilmente si fa tra i filosofi del linguaggio, ma, come i medesimi difficilmente intendono, resta accanitamente un realista: cosa c'è infatti di più reale e di più prossimo all'esperienza di un dito, di un discorso, di un testo? La luna no di certo.
"...e soprattutto i fragili..." recitano allora quegli ammonimenti, per qualificare coloro che ne sono i più specifici soggetti e, al tempo stesso, oggetti. E c'è un valore figurato dell'aggettivo alla base di una nominalizzazione che ha ormai un valore sociologico. Il suo uso ossessivo, più ancora che iterato (era infatti corrente anche nel periodo della da poco trascorsa epidemia) sta d'altra parte contribuendo a spegnere la metafora.
Fragile, nella gioventù e nel ricordo di Apollonio, ricorreva infatti d'elezione sopra i voluminosi colli con cui si trasportavano merci la cui integrità poteva essere messa in pericolo dal movimento o nelle raccomandazioni rivolte a chi s'avvicinava senza la necessaria attenzione alle vetrine della cristalleria.
Non che fragile non qualificasse, talvolta, anche esseri umani. Lo faceva infatti da secoli, ma, come attributo o come predicato, l'uso era appunto tenuto come metaforico e proprio per questo adatto alla parola letteraria e alla poesia. Fragile è voce dotta. Tale la si definisce in linguistica, perché formalmente e prosodicamente integra e tirata fuori dal latino più o meno come vi suonava. Ha però un fratello povero e sincopato, sospettabile inoltre di qualche antica relazione oltralpe, quindi eminentemente poetico: frale.
Quando si menziona la poesia, anche a proposito di fragile riferito a un essere umano, s'intende anche quella alla buona. Un esempio? Drupi, un interprete qualificato commercialmente da una qualche rudezza vocale, cantava per esempio "Così piccola e fragile...". L'antifrastica isotopia tra enunciatore ed enunciato ha adesso un cinquantennio: erano veramente altri tempi.
Oggi ci sono invece "i fragili", come categoria sociale, ma "un fragile" o "una fragile" suonano leggermente stranianti. Ciò dice di una resistenza della figura in ogni caso soggiacente. Forse, non è ancora fredda al punto giusto. Accadrà. Anzi, Apollonio non esclude che per qualcuno, soprattutto nel registro burocratico, non sia già accaduto e che i suoi due lettori non gliene procurino graziosamente un esempio.
L'osservazione serve al contempo a mostrare come il numero, categoria grammaticale meno delicata di quanto oggi non venga considerato per esempio il genere, abbia una sua portata ideologica, per niente trascurabile, nelle società coerenti e alimentate dalla comunicazione di massa. Fragili, nel mucchio, lo si è più facilmente di quanto non lo si sia singolarmente: succede sempre e con qualsiasi qualificazione, anche con le positive.
Dannata lingua! Dice sempre tutto e non nasconde proprio nulla. Ma pare sia fatta per questo.
[L'appello di Apollonio ha avuto un'immediata risposta. I lettori di questo diario sono due, ma la loro qualità è inversamente proporzionale alla loro quantità e uno di essi ha segnalato immediatamente all'alter ego una ricorrenza di "un fragile", in cui la qualificazione è autoattribuita: e pour cause, si può commentare, anche fuori del registro burocratico. È un dato prezioso e lo si trova qui: dice di una sensibilità alla tendenza di comprensibile pateticità e mostra come fragile si riscaldi, appena lo si tira fuori, al singolare, dalla fredda categoria.]
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