...Conad!" è da qualche mese l'innovativo motto con cui la grande catena di distribuzione si presenta nella comunicazione pubblicitaria e, conseguentemente, sul mercato. La campagna presenta l'ampliamento dell'offerta commerciale. Sotto il suo consolidato brand, Conad distribuisce e vende adesso anche prodotti, come le assicurazioni o i viaggi, ben diversi, come categoria merceologica, da fragole e salsicce, da detersivi e assorbenti. Lo sviluppo avrà certamente un nome e una definizione, nella scienza del marketing, ma Apollonio non li conosce e spera che la descrizione appena procuratane sia bastevole. È un'innovazione conservatrice, dunque: e, quanto alla lingua, un'innovazione conservatrice, per via dell'imperativo, è anche quel "Ma vai da Conad!" .
L'imperativo e la soggiacente funzione conativa - diranno i due esperti lettori di Apollonio - sono ovvietà nella réclame. Ciò a cui essa mira è infatti che il destinatario o la destinataria si comporti di conseguenza e compri. Ci si faccia caso, però: il perentorio indirizzo è quasi sempre mascherato ormai da gran tempo da altre funzioni. Il messaggio pubblicitario è infatti di norma un buon esempio di un atto linguistico indiretto. Come lo è, per fare esempi neutri e quotidiani, quello di uscirsene con un "Fa freddo!" in presenza di chi si sa può chiudere una finestra o di esclamare "Ho fame", come si faceva da ragazzi e ragazze, chiudendo la porta della casa dei genitori, di ritorno dall'oratorio o dalla riunione del collettivo.
"La spesa intelligente", proclama in effetti da tempo una società concorrente della Conad. "La Coop sei tu" è l'immarcescibile divisa di un'altra (anni fa, con un contorno, Apollonio se ne occupò qui). "Buona spesa, Italia" augura un più modesto attore sul mercato. "CRAI, nel cuore dell'Italia" è il modo di presentarsi di un'azienda che rivendica il suo radicamento nazionale. "Esselunga, prezzi corti", dichiarava un tempo l'azienda che di recente, presa la via dell'etica, ha tentato anche l'antifrasi: "È importante anche la spesa che non fai". E Conad medesima, prima del mutamento: "Persone oltre le cose".
Entrando pesantemente sulla piazza italiana, anni fa, LIDL aveva tuttavia già smosso le acque, con due imperativi, uno negativo, l'altro no: "Non cambiare stile di vita. Cambia supermercato". Il gioco fu forse redditizio sulle prime, ma, come è lampante per inferenza, aveva funzionato in ogni caso come paradossale conferma del profilo dell'azienda e fu del resto rapidamente abbandonato. Al bersaglio socialmente medio-basso, se non basso tout court (quindi assuefatto, per dire così, a essere destinatario di ordini), chi adottò quella campagna aveva in effetti mirato ad aggiungere coloro che l'endemica crisi economica nazionale aveva fatto (e continua appunto a fare) andare in giù. Poco, insomma, da stare allegri. Ma si sa, capita siano così i Tedeschi: come il loro mitico eroe nazionale, inclini all'euforia tanto quanto alla disforia.
Non è ovviamente di tal fatta il target, tendenzialmente interclassista e italiano in ispirito, cui la rinomata agenzia Ogilvy indirizza oggi la comunicazione, al contrario euforica o perlomeno sorridente, della Cooperativa Nazionale Dettaglianti (è questa, si diceva un tempo, d'ispirazione ideale e sociale bianca, contrapposta dunque alla rossa della Coop, la ragione sociale che si cela dietro l'acronimo).
L'imperativo fu in effetti tipico delle pubblicità di un lontano passato, come della propaganda politica, allora e nel séguito ("Vota comunista"), anch'essa ormai perenta. Residuo ineliminabile di ingenua verità espressiva, l'imperativo permane nelle campagne promozionali "fai-da-te" di aziende dal respiro provinciale. Quando si affaccia, come talvolta si affaccia nella comunicazione nazionale e di livello della grande distribuzione o di altro, deve farlo in grande spolvero e opportunamente abbigliato. Nel caso specifico, per cominciare, lo introduce infatti un ma.
Si tratta della congiunzione avversativa per eccellenza, dicono le grammatiche, e se ne potrebbe concludere che, come in molti altri casi, la terminologia delle grammatiche è inconcludente. Considerato che compare come incipit, cosa mai congiungerebbe ma? Congiunge, tuttavia.
Del ma in incipit e no, Apollonio Discolo e il suo alter ego si sono già dilettati altre volte (qui, per esempio, e qui e qui). Non tedieranno ancora chi legge con ulteriori speculazioni. Nell'occasione, l'invito è solo a valutare, ciascuno e ciascuna nel suo foro interiore, la differenza, espressiva e comunicativa, che passa appunto tra "Ma vai da Conad!" e un "Vai da Conad!" ipoteticamente privo di ma. Facendo così avrà fatto ciò che, con il suo modesto metodo, fa un linguista che tiene ancora Ferdinand de Saussure e Roman Jakobson come guide del suo cauto procedere e del suo ipotetico ragionamento. In altre parole, una commutazione sperimentale che, senza dire altro e senza speculare, mostra all'intuizione come una cosa sarebbe stato un imperativo in purezza e una cosa ben diversa è un imperativo introdotto da ma. Per dirla alla buona, da un ordine sgraziato si passa, chissà come, chissà perché, a un acuto consiglio: potenza di un minuscolo ma.
Ma non è tutto e adesso viene il bello. L'enunciatore di un messaggio pubblicitario è ovviamente il committente, cioè l'azienda che ha commissionato la campagna. Nel caso specifico, Conad vuole che destinatari e destinatari del suo messaggio si facciano frequentatori dei suoi punti vendita fisici e, adesso, virtuali e vi facciano ciò che in essi di norma si fa: spendere il proprio danaro. Nei fatti e dal punto di vista perlocutivo, enunciata da Conad, la campagna dice dunque "Vieni da Conad!".
Non lo dice così però. Se lo facesse, si sarebbe di fronte a una banale deissi personale: venire definisce infatti il moto verso il luogo in cui si trova chi enuncia: Vieni (qui), per esempio. Andare no: Vai là dice chi enuncia dichiarandosi così localmente estraneo al luogo di destinazione. Un Vai qui, ci si pensi, suona contraddittorio: ed ecco di nuovo il mestiere del linguista, che deve essere capace di immaginare mondi bislacchi e correlate espressioni. A dire la stoffa di ciò che è endossale niente del resto lavora meglio di un paradosso. Venire e andare, verbi di moto, stanno insomma in un rivelatore rapporto associativo, come avrebbe detto Saussure, prima che Hjelmslev blindasse la nozione sotto l'etichetta di paradigmatico, felice ma forse meno plastica.
Si è così alla vera agudeza del motto: il controllato straniamento della persona (e della correlata deissi). Grazie a esso e ad andare, l'imperativo diventa infatti la battuta di una narrazione o, ancora meglio, di una fulminea commedia. Sulla scena, a parlare e a proferire l'imperativo non è Conad, la prima persona dell'enunciazione complessiva, ma, per costruzione enunciativa ulteriore, un personaggio. E la terza persona rende il discorso fattuale, oggettivo. Farebbe la stessa cosa un testimonial, ma, nel caso specifico e grazie alla lingua, si tratta di un testimonial teatrale, di fantasia, e non è quindi necessario remunerarlo con un lauto compenso.
"Ma vai da Conad!", come punta di lancia, ha dato vita a una nutrita batteria di annunci destinati al pubblico televisivo e specifici per i diversi contenuti. Se Apollonio non ricorda male, nel primo a venire fuori, parecchi mesi or sono, a proferire il motto, indirizzandolo a una paziente distesa sul lettino e dubbiosa sopra cosa fosse conveniente per lei, era uno psicoanalista (o, forse, uno psicanalista: sottigliezze qui irrilevanti): un quadro di lampante chiarezza, da ogni punto di vista, incluso il sociale. Più semiologicamente pregnante, a parere di Apollonio, è però quello scelto a illustrare questo frustolo.
Due maturi giovani, un uomo e una donna, in viaggio, procedono trascinando le loro valigie in una pianura in cui, sulle prime, pare non esserci, fuori di loro, anima viva. Le battute che si scambiano non qualificano lui come particolarmente sveglio e dicono lei più che vagamente intollerante della di lui sdolcinata storditaggine. Questo è del resto un quadro ideale dell'odierno rapporto tra le persone cisgender e, vuoi o non vuoi, in Italia, una grande catena di distribuzione ha nelle donne il suo target d'elezione: guai a inacidirsele.
Ma cambia d'improvviso inquadratura e, come dal nulla, compare miracolosamente davanti ai due un piccolo gregge e un uomo anziano e dimesso che, vicino a uno scalcagnato pick-up carico di fieno, uditi proteste e propositi della giovane, le lancia appunto l'inopinato "Viaggio? Ma vai da Conad!". Una pecora alza allora il capo, mentre il Buon Pastore indica ai due, telefono alla mano, la Via (e forse anche la Verità e la Vita, visto che, di rincalzo e in chiusura, afferma di avere anche assicurato la casa). Innovazione, sì. Ma, lo si precisava, nella parola mediata di cooperative che un tempo si sarebbero appunto dette bianche, per contrastarle con le rosse, innovazione conservatrice dei tratti profondi di una nazione probabilmente ormai incapace di riconoscerli e persino di riconoscersi.
Ma: nell'imperativo del verbo andare preceduto dal 'ma' echeggia anche, irresistibilmente, l'invito a togliersi di mezzo e procedere eventualmente ad attività considerate disdicevoli. Invito diffusissimo nella lingua parlata, e in quella scritta solitamente ed eufemisticamente celato sotto l'evocativo 'vaff'.
RispondiEliminaNon solo la retta Via, dunque, ma anche il suo contrario.
Apollonio gongola, gentile Lettrice. Era d'altra parte certo che i puntini sospensivi del titolo del frustolo avrebbero indirizzato qualcuno verso un percorso implicito. Solo un dubbio: l'implicito sarebbe rimasto rigorosamente tale o avrebbe occhieggiato? A Lei il merito (o la colpa) del correlato: "Ma il re è nudo...". Evangelicamente: "Lei l'ha detto". O, come Cristoforo al padre guardiano, "Omnia munda mundis". Ma agenzie pubblicitarie e loro committenti sanno che un rischio, controllato, rende. E hanno certo messo in conto che il loro "Ma vai..." andasse nella direzione cui Lei allude. La réclame non ha, per ufficio, quello di prendere chi se la beve per i fondelli?
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