Con intento imbonitore, imperdibile spesseggia da tempo nel discorso che promuove le manifestazioni culturali o, meglio, ciò che fa da loro surrogato nella tendenza. Non passa quasi giorno che non si legga e non si oda di un "evento" nel cui annuncio manchi tale qualificazione: "un reading, una lectio, una presentazione, con firma-copie, imperdibile".
Come attributo, imperdibile dà all'"evento" una sfumatura connotativa sostanziale: 'effimero, transeunte, fugace, perituro'. Da lì la necessità, a cose fatte, che il discorso che lo ha promosso come "imperdibile" lo riqualifichi come "memorabile". Da imperdibile a memorabile scorre così la filza degli avvenimenti cui non si potrebbe mancare per avere poi qualcosa da ricordare e da dire.
C'è tuttavia in proposito un'altra considerazione, forse più rivelatrice. La fortuna di imperdibile potrebbe essere marginale effetto lessicale della rappresentazione linguistica di un mondo alla rovescia. La profetizzò George Orwell in un'opera celeberrima e la esemplificò con esempi di isotopia perversa: "guerra" come pace, "libertà" come schiavitù...
Una isotopia di tal fatta e una correlazione morfologica elementare mettono in effetti in paradossale, ma sintomatico rapporto l'aggettivo imperdibile e a perdere, locuzione aggettivale che qualifica di norma un vuoto.
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