...non importa proprio chi sia. Un feticcio. Come dice l'immagine, un'anonima figurina rossa che, come stereotipa rappresentazione di giubilo, sta più in alto di altre anonime figurine grigie.
Importa però, come dato linguistico, che, un paio di giorni fa, qualcuno venisse così definito nella pagina d'un medium destinato al consumo culturale.
Del superlativo relativo, si è già detto. Non accade mai che a un giornalista capiti di incontrare un filologo qualsiasi. Non si vuol dire uno che se la sfanga come può, che è diventato professore, come si diceva un dì, ope legis, ma anche solo uno che, onestamente, fa il suo lavoro, senza infamia e senza lode. Un filologo di mezza classifica che gioca, pardon!, insegna in un'università provinciale e ha scritto libri che stanno a prendere polvere in qualche biblioteca minore. Un filologo non da zona retrocessione ma neppure da scudetto o da Champions League. Giammai. Sempre il primo. Sempre il maggiore.
Si è detto, in qualche maniera e tra le righe, anche del pronome personale che soggiace all'aggettivo possessivo. S'immagini però ancora una piccola interlocuzione ideale con chi ha concepito quel "nostro" e l'ha poi scritto.
Scusi, ha detto "nostro"? "Noi" chi? "Nostro" nel senso inclusivo 'di voi, che leggete, e di noi, cioè dell'io che scrive'? E, mi perdoni, chi l'ha autorizzato a emettere un giudizio del genere a nome di chi legge? Non sta per caso volgarmente approfittando del suo momentaneo possesso della parola per arrogarsi il diritto di parlare anche a nome di chi la legge? E le pare opportuno, oltre che educato? O intende invece "nostro" nel senso non-inclusivo di 'noi, cioè dell'io che scrive, ma non chi legge'? E, mi perdoni di nuovo, suppone che, a chi legge, un "nostro" del genere importi? Non c'è una certa improntitudine nel suo modo di condursi per iscritto? Se il "nostro" è il suo, perché non se lo tiene per sé, come decenza vorrebbe? Perché, incontinente, me lo schizza addosso?
Insomma, "il nostro maggiore filologo" è a suo modo un bel concentrato espressivo dell'andazzo intellettuale, il cui emblema è la graduatoria, anzi, come si dice adesso, il ranking. Il ranking "de noantri". "Noantri", si badi bene, è infatti il valore globale del momento: "We...". Ma di ciò, eventualmente, un'altra volta.
Se questo post esiste, del resto, non è per ribadire cose già dette o per lamentare piccoli e ineluttabili malanni. È invece per testimoniare come la lingua sia sempre meravigliosa e come capiti che anche le quattro stupide parole in intestazione possano parlare al cuore di chi le legge, se sa leggerle, dicendo cose diverse da quelle che forse intendeva dire la povera anima che le ha scritte.
Basta giocare un po' con le parti del discorso e quindi con la sintassi del gruppo nominale. "Maggiore" può essere un nome, come "tenente" o "capitano". E "filologo", a quel punto, può fungere da apposizione del nome "maggiore". "Il nostro maggiore filologo" cambia completamente di fisionomia e, deponendo i modi imbonitori e stucchevoli, diventa espressione seria e onesta, da prendere come una pacifica constatazione di fatto. Non di un feticcio (come, a ben vedere, sono sempre "i nostri maggiori qualsiasicosa") ma di un fatto. Di quale fatto?
Durante la Grande guerra, nell'esercito austriaco, Leo Spitzer, giovane talento della romanistica di lingua tedesca, comandava uno dei gruppi incaricati di sottoporre a censura le lettere che ai prigionieri italiani, internati nei campi, era consentito di inviare a casa, per dare notizie di sé e per richiedere, come soccorso, piccoli beni di conforto: guerre orribili, come tutte le guerre, eppure, anche qui, guerre d'altri tempi.
Dall'esperienza, Spitzer trasse materiali e conoscenze che, negli anni del dopoguerra, gli permisero di scrivere libri di linguistica italiana importanti e tremendi. Libri che combinano mirabilmente dottrina e ironia e che gli avrebbero assicurato fama imperitura, presso chi ama l'espressione umana e, in particolare, l'espressione umana quando si veste delle forme italiane. Di forme italiane di qualsiasi genere.
Apollonio ricorda male forse, ma, come ufficiale a capo di uno dei gruppi di censura, Spitzer doveva coprire il grado di maggiore. Eccolo dunque apparire l'amabile fantasma del "maggiore filologo" o (perché proprio non importa) del "capitano filologo" o del "tenente filologo" cui Apollonio, con timida deferenza, potrebbe volere dire che è il suo. O "il nostro", ma naturalmente solo dopo aver chiesto il permesso ai suoi cinque lettori.
[Sono giusto passate due settimane che, dopo "il nostro maggiore filologo", capita di incontrare sulle medesime pagine anche "il nostro maggiore poeta". "Oh Captain! My Captain! Our fearful trip...".]
[Sono giusto passate due settimane che, dopo "il nostro maggiore filologo", capita di incontrare sulle medesime pagine anche "il nostro maggiore poeta". "Oh Captain! My Captain! Our fearful trip...".]
Caro Apollonio, diventerò pedissequo, se già non lo sono, a furia di lodi. Questo saggetto sui gradi mi riporta a istanti maravigliosi trascorsi in Sicilia a non far niente se non pensar y pensar, cum granitas. Cordialità
RispondiEliminaChe delusione, illustre Apollonio!
RispondiEliminaE dire che già cominciavo a vantarmi di possedere una quota, un'azione, un obbligazione, di un filologo, la titolarità di qualcosa, insomma, che mi permettesse di ritenere anche mio il maggiore rappresentante del settore.
Invece, arriva Lei dicendo che filologi sono tutti maggior, purché vengano intervistati, e provoca un crollo di borsa.
Blak
Bello passare dai gradi dell'aggettivo a quelli della gerarchia militare con la levità che rende vivibile il tempo e i tempi; però è anche vero, come forse sottointende Sesto Sereno, che "nostro" vale spesso come plurale nazionale, vedasi il terribile "i nostri ragazzi", militari o calciatori che siano. Ma soprattutto, come dice Dascola, istanti meravigliosi sono quelli trascorsi a far niente.
RispondiEliminaAd Apollonio confermo, nonostante non commenti quasi mai (seconda volta in sei mesi), che può calcolarmi sempre tra i suoi cinque lettori.
Mauro
Ecco un noi inclusivo in cui con entusiasmo si dichiara di voler essere appunto inclusi, anche perchè vi si è garbatamente invitati, il noi di "chi ama l'espressione umana e, in particolare, l'espressione umana quando si veste delle forme italiane". Decisivo è il tono, che sia quello d'una sommessa constatazione d'esistenza d'un ben disciplinato e paziente sentimento, tale da non sviare mai l'attenzione dalla lingua e così saperla trovare sempre meravigliosa, come è.
RispondiEliminaCaro Apollonio Discolo, ultimo arrivato, sono il suo sesto. Il post su Leo Spitzer "maggiore filologo", per me, che ho scoperto il suo blog di recente, è l'acme della sua ironia. Ho riso di gusto, grazie.
RispondiEliminaCercherò, con gusto, di colmare le mie lacune, e di leggere altri suoi post, al di là dei recenti. Per cercare altre cime, oltre alla "Leo Spitzer". Maggiori, magari.
Cordiali saluti
Esimio Apollonio, mi viene oltre modo a grado spiattellar giocando, per amore della lingua e della dualistica belligeranza intrinseca suggeritami dal p-ossessivo “nostro”, due locuzioni avverbiali (spero presenti in “Italienische Kriegsgefangenenbriefe” del 1921, per onore al filologo), contenente, entrambe, il ribaltamento, già ironicamente suggerito, in ogni ordine e grado: se “General mente” “a Maggior ragione”?
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