La linguistica ci doveva finire, prima o poi, in una periferia sinistra.
La metafora può essere una mala pianta che, una volta insediatasi in un'area concettuale, vi cresce incontrollata fino a dare i frutti più perversi. Cresce, la metafora, anche dove ce la si dovrebbe attendere meno, secondo certi epistemologi parrucconi: nel discorso e nell'argomentazione scientifica (o nei sedicenti tali).
Se Apollonio non ricorda male, un Quintiliano che se ne intendeva (e chissà se consapevole di star imbastendo anche lui una metafora localista) diceva del resto che non c'è parola che, al fondo, non sia metafora.
E con la metafora localista, le teorie sintattiche fiorite nella modernità, prima nella matura, oggi nella putrefatta, ci sono andate giù pesanti, sin dal principio. Mancanza di fantasia? Forse. Kantismo d'accatto? Perché no. Ma perché andare a ficcarsi nel vicolo cieco dello spazio quando, disponibile all'inquadramento e all'analisi dell'espressione umana, c'è, c'è stato sempre, sempre ci sarà lo scorrere o il gorgo del tempo?
Così, ciò che, semplicemente, precede ha finito per essere pensato "a sinistra", ciò che segue "a destra": si badi bene, nella cruda e ipotetica prospettiva, prefigurata come assoluta, di chi guarda. E chi, con tutta la supponente serietà dello scienziato, propone tale prospettiva (e la mima anche coi gesti, quando parla) come fosse, per intrinseca natura, quella propria della lingua non si rende nemmeno più conto di tributare in tal modo un omaggio a un feticcio: la coattiva proiezione della fondamentale oralità della lingua nello scritto: più precisamente in una tra le diverse modalità dello scritto, nelle contingenze culturali d'una civiltà specifica e delle sue specifiche espressioni linguistiche.
Da lì e dalla sottesa e inconsapevole ipoteca ideologica di teorie che (anche con più d'un filo di feroce e involontaria autoironia) si pretendono universaliste, è venuto fuori tutto e di tutto: i movimenti, le tracce, i siti di atterraggio, le salite, le discese, gli scranni vuoti e i pieni, il configurazionale e il non-configurazionale.
Insomma, da una metafora e quasi solo da una metafora è sortita armata di tutto punto una linguistica che, se è arrivata adesso in periferia (e, tra le discipline che si occupano dell'uomo, in una periferia squallida e sinistra) è forse perché, a forza di passare appunto di ramo in ramo, è andata e sta continuando ad andare raminga e, per falsa o vera etimologia, anche e ineluttabilmente a ramengo.
Cortese Apollonio, spero che a qualcuno non venga in mente di far saltar fuori, magari tra Force e Topic, una bella testa funzionale chiamata Riqualificazione Urbana, e poter così rivalutare tutti i propri immobili nella periferia sinistra.
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