È preziosa perla di onomastica letteraria. Si chiama così il protagonista della Chiave a stella di Primo Levi: montatore di storie, oltre che di tralicci, di ponti sospesi e di altre avventurose diavolerie dell'ingegno umano.
Per le vie velatamente trasparenti di allusione ed etimologia, in tale nome risuona la congiunta menzione di falsità e libertà. Sono valori d'ogni artificio, ivi compreso naturalmente il narrativo. Forse quelli che gli sono più intrinseci. Falsità e libertà: umane. E ambedue incoercibili, ambedue irriverenti, ambedue spalancate sopra usi probi o depravati, ambedue poste, quasi a forzarlo, sul limite della tragicomica finitezza che fa da stoffa della condizione umana.
L'opera di Levi fa sì la lode dell'operosità, come fu facilmente detto sin dal suo apparire. A partire dal nome proprio del suo protagonista, ammonisce però sulla perenne opinabilità etica di tale operosità e sulla sua continua falsificabilità teoretica. Lo fa senza pedantesca iattanza o
moralistica condanna ma con l'aperta simpatia che ispira un uomo, sempre che questo lo sia, almeno libero d'esser falso nella sua forse falsa libertà.
E' stato un portentoso compagno di viaggio (gran navigatore) della mia adolescenza il signor Tino, mi ha aperto varchi e chiuso per sempre porte alle spalle con la sua chiave a stella (gran santo) e, adesso che mi ci fa pensare, mi ha fatto innamorare -- nascosto suggeritore alla Rostand e gran poeta -- anche di mio marito. Insomma un fac-totum della città (rigorosamente invisibile) più che un invidiabile falso d'autore e istigatore di falsi sbilanciamenti verso libertà fittizie e puramente nominali. Del resto con quel gustoso diminutivo, non è affatto escluso che custodisca fino alla fine la più prelibata delle sorprese.
RispondiEliminaUh, a proposito di sorprese: cordialissimi auguri di buona Pasqua.
Sua Licia.
Auguri ricambiati, sorprendente Lettrice.
RispondiElimina