Non c'è lingua possibile senza conformità né conformità possibile senza lingua, come ben sapeva Ferdinand de Saussure: "La guerre, je vous dis, la guerre!". Già nel necessario rapporto che chi parla instaura con se stesso, la lingua è conforme: non si istituisce per sé, infatti, ma per relazione. Tende a essere conforme, di conseguenza, negli usi sociali più espliciti.
Conformità non è conformismo, però, e l'acutissimo Barthes mostra forse di non cogliere la differenza quando addita la lingua come "fascista", in una celebre pagina.
O fa finta di non coglierla per desiderio di spararla grossa e per comprensibile insofferenza verso gli eterni benpensanti: comprensibile ma non ragionevole, visto che non c'è clima nel quale il benpensante non cresca e non si riproduca. Così è accaduto anche sotto le condizioni che Barthes, imponendole alla discussione con quella sortita, s'illudeva fossero definitivamente inospitali al suo sviluppo. E invece...
Meglio allora, con modestia e senza volere scandalizzare nessuno, provare a tenere distinti conformità e conformismo. Conforme per via di relazione, la lingua non è fascista. Può diventarlo in ogni momento, però, se qualcuno s'impadronisce per un po' (per sempre, è impossibile) della sua necessaria conformità per coltivarci dentro la mala pianta del proprio conformismo.
Quanto al piccolo e, grazie al Cielo, innocente orto della linguistica, ciò significa che è meglio stare sempre vigili soprattutto con se stessi, quando si maneggiano, a scopi argomentativi, nozioni critiche come semanticamente accettabile e non-accettabile, pragmaticamente felice o non-felice. Altrimenti si finisce (e quanto sia inquietante, c'è appena bisogno di ricordarlo) per applicare una stella sull'abito di espressioni che hanno solo la colpa di essere inusuali se non d'essere semplicemente ritenute per mero conformismo pericolosa e perturbante minoranza.
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