...è il celebre motto attribuito a Eraclito, otto secoli dopo il momento in cui egli avrebbe potuto eventualmente proferirlo. Tutto scorre ne è, come si sa, la resa italiana. Essa rende compiuta giustizia all'originale? No, è il parere di chi scrive questo frustolo da strapazzo. C'è, se così si vuole dire, perlomeno un residuo. Perché, nell'originale, πάντα è plurale e ῤεῖ non lo è, mentre ciò che si vuole corrisponda al motto in italiano non presenta il bisticcio di numero. In tutto scorre, tutto scorre liscio, da tale punto di vista, perché tutto e scorre sono ambedue singolari: c'è tutto e questo tutto scorre.
I due lettori di questo diario, cui non mancano certo le relative conoscenze, diranno che l'osservazione è superflua e vana la correlata inquietudine.
Per sedarla, come farebbe un farmaco da banco, basta infatti il pizzico di dottrina un tempo procurata dalla frequenza, anche la più svogliata, di un paio di anni di ginnasio.
A fare da soggetto della proposizione in questione, un pronome indefinito (quindi di terza persona: la non-persona, per dirla con Benveniste), certo di numero plurale, ma di genere neutro. E, in quella antica lingua, quando il soggetto di una proposizione era di genere neutro (nome o pronome, poco cambiava), il suo numero, alla morfologia verbale, non faceva di norma né caldo né freddo.
Gli si combinava solitamente una forma verbale al singolare. Per il verbo di una proposizione, in altre parole, il minimo sindacale: terza persona singolare. Ciò che, sotto altri cieli, non ci si perita di definire come una forma impersonale. Quanto bastava insomma a dire che la proposizione in cui quel verbo ricorreva era di modo finito (con le correlate informazioni di stretta pertinenza verbale: tempo, aspetto...). Nel caso in questione, un presente gnomico: il presente che vale a enunciare verità fuori del tempo. Che è come dire che πάντα ῤεῖ non scade (e quindi, a suo modo, non scorre? Bel paradosso!).
Ma sono queste serie faccende da filosofi. Qui ci si occupa piattamente del commercio del numero grammaticale tra il soggetto e il verbo. Decisivo a determinare la forma del verbo nel caso di soggetti di genere diverso dal neutro e, a fortiori, di persona diversa dalla terza; trascurabile invece, data la presenza di un soggetto di genere neutro, in un caso come quello di πάντα ῤεῖ, dice la dottrina. Tutto liscio anche qui, dunque.
Beninteso: chi si contenta gode. Ma c'è chi è d'indole incontentabile (δύσκολος, appunto) e si destina a durature sofferenze o, va detto, a spassi sempre rinnovati. E osserva che, per sanare un conflitto in una combinazione di numero, la pezza riparatrice tira in ballo una categoria perlomeno altrettanto, se non più scabrosa: il genere. Neutro?
In greco antico, al pari di ciò che accade in lingue apparentate, di neutro in quanto genere grammaticale si cercherà inutilmente una qualificazione diversa da quella che si ottiene correlando in proposito funzione e forma. Ci sono infatti nomi e pronomi che variano per forma in dipendenza dalla funzione sintattica assolta. Tra le altre forme (nella presente discussione, trascurabili e di nessun rilievo contrastivo), in modo specifico essi hanno una forma quando circolano come oggetti e una diversa quando circolano come soggetti. Nomi e pronomi che si comportano così in blocco, li si distingue ulteriormente poi in maschili e femminili, per tradizione.
Sono facili e seducenti etichette, si badi bene, metonimiche, quindi nettamente analogiche. Non lo si dovrebbe dimenticare mai, quando se ne percepisce il puzzo di stalla o quello di camerata, ancora più piccante ideologicamente. Non è la lingua a puzzare, si badi bene, ma la metalingua delle grammatiche e dei grammatici. Qui quelle etichette poco importano, in ogni caso, ma importa che il valore linguistico di quanto esse qualificano emerge precisamente dal fatto che ci sono invece nomi e pronomi che non presentano una differenza formale da correlare alla menzionata differenza funzionale.
Neutri è l'etichetta che tradizionalmente designa nomi e pronomi che non si comportano come il blocco di maschili e femminili e va detto a merito di tale etichetta che l'analogia in tal caso puzza un po' meno. E se capita lo faccia, è perché la si mette nei discorsi a stretto contatto con maschile e femminile, termini grammaticali sempre sudaticci e febbricitanti, perché fortemente settici (in questi anni lo si sta sperimentando).
Che nomi e pronomi detti neutri non presentino differenze formali succede allora perché, nei contesti in cui capita di osservarli e in presenza della menzionata distinzione funzionale, essi le sono formalmente insensibili? O perché in quei contesti, semplicemente, la distinzione funzionale non si dà? Perché, in altre parole, le due funzioni vi si neutralizzano, rendendo ipso facto ridondante ogni eventuale differenza formale? È un bel dilemma e va ben oltre la portata di questo diario e di un suo frustolo.
Per sineddoche, equivale infatti a chiedersi che valore abbiano, in greco antico, come nelle lingue apparentate, le diverse manifestazioni della morfologia nominale e pronominale una volta che tale morfologia si sia fatta uscire dalle tabelle con cui essa viene ingabbiata e presentata come una tassonomia di enti e la si sia invece restituita, per intero e senza residui, al fondamento squisitamente combinatorio da cui eventualmente, nelle sue differenti fattispecie, essa emerge appunto come fenomeno.
Resta tuttavia già così l'impressione (ed è quanto basta a questa sortita) che nella intrinseca costruzione linguistica di πάντα ῤεῖ il dissidio di numero valga qualcosa che la liscia apparenza di tutto scorre non riesce a restituire. Per via di veloce comparazione, già sopra si era alluso in proposito a una impersonalità.
Da quel dissidio, tutt'altro che trascurabile, sebbene ovvio, il succo del motto è posto, processualmente, in una sorta di autonomia funzionale della forma verbale, in nulla debitrice del pronome che, ammesso e non concesso figuri funzionalmente come soggetto della proposizione, accompagna in realtà il verbo come potrebbe farlo una predicazione avverbiale. Fuori dell'ipoteca implicita di qualsivoglia corriva ontologia, si direbbe insomma e conclusivamente, πάντα ῤεῖ vale Scorre, universalmente.
Sull'orlo della galassia e oltre non saprei, ma nell'ecumene si sa.
RispondiEliminaGrazie del dato supplementare. Tutto fa brodo o, se preferisce, "fa brodo, universalmente"... E sapesse che avrebbe persino potuto fare da paroliere a Cole Porter, a nascere solo venticinque secoli dopo, immagini la rabbia dell'Oscuro, arguta Lettrice, per essere invece venuto alla luce in quell'epoca triste e lontana!
EliminaUh, il brodo universale!
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