12 gennaio 2025

Spettatore pagante (8): "Emilia Pérez" di Jacques Audiard

Del romanzo Écoute di Boris Razon chi scrive questa nota sa soltanto, per averlo appreso in rete, che ha fornito il soggetto al film di Jacques Audiard e che, a quanto pare, il medesimo regista aveva in origine il proposito di fare di quel soggetto un'opera lirica. 
E il soggetto si può dire sia il tratto di maggiore fascino di una pellicola peraltro ben riuscita in ogni altro suo aspetto, ma forse meno di come appunto sarebbe riuscita, sul medesimo soggetto, un'opera lirica. 
Chissà allora che Audiard non ci riprovi, con l'indispensabile alleggerimento del realismo spettacolare imposto da un palcoscenico teatrale, sul quale, per esempio, è impossibile, se non per mediata figura, mettere in scena il sanguinoso conflitto a fuoco tra bande di malviventi.
Al soggetto di Emilia Pérez non manca in effetti nessun ingrediente di quelli che rendono appassionante (quando lo è) il melodramma (quello classico, qui s'intende) e non c'è aspetto del suo sviluppo narrativo che non faccia appello alla figura che del melodramma è il perno: l'enfasi, nella sua variante patetica, naturalmente. 
Testimonianze dello stadio precedente di elaborazione del concetto costruttivo, sono rimaste nel film alcune scene in cui gli interpreti cantano e, intorno a loro, si sviluppa un balletto. Ciò ha fatto sì che si sia attribuita alla pellicola anche l'etichetta di musical, impropriamente. 
Gradevoli e plausibili, nell'insieme gli inserti non sono infatti tali né per numero né per rilievo narrativo da caratterizzare la pellicola. Sono piuttosto relitti allusivi di ciò che, come si è detto, il soggetto avrebbe potuto dare e non ha dato. O, che è quasi lo stesso, modi per fare toccare a chi si trova in sala la stoffa melodrammatica della fabula, la cui forma esteriore non pretende la verosimiglianza ed orna una morale tragicamente ironica. 
La vive e la trae, accompagnando chi assiste alla pellicola, una partecipe testimone intradiegetica: la giovane avvocata Rita Moro Castro, che viene convocata, con modi molto bruschi, da Juan "Manitas" Del Monte, sanguinario boss di un cartello messicano della droga. L'uomo vuole affidarle un compito difficile e oltremodo sorprendente: aiutarlo, nel più assoluto segreto, a compiere tutti i passi per sparire senza perdere le sue gigantesche ricchezze, diventando (e sta qui l'aspetto straordinario) una donna. Così egli dichiara di avere desiderato da sempre, per la sua realizzazione come persona, e di non avere mai potuto nemmeno rivelare questa aspirazione a chicchessia per le costrizioni impostegli dall'ambiente in cui è nato e a partire dal quale ha costruito la sua fortuna criminale.
Rita accetta, insofferente dell'ambiente ipocrita in cui si sta sviluppando con difficoltà la sua vita e la sua carriera professionale, oltre che attirata dal danaro che il boss le promette per remunerarla. E per la sua dedizione e il suo impegno, il desiderio di "Manitas" si compie. 
Il passaggio da un sesso all'altro del(la) protagonista coincide con la sua trasformazione morale: da uomo cattivo, si fa donna buona. Da malfattore a benefattrice, sotto il nome di Emilia Pérez. Né (si osservi a margine) deve essere privo di valore il fatto che il radicale mutamento si realizzi in Terrasanta e non, come il film in un primo momento prospetta possibile, in quell'Oriente iper-tecnologico e ultra-capitalistico che costituisce ormai il terribile orizzonte onirico di sviluppo per l'Occidente. Ipso facto, per il mondo intero, "Manitas" svanisce nel nulla. Ma egli svanisce anche per Emilia Pérez?
Per immagini, dall'oscurità permanente delle ambientazioni della sua prima mezzora, il film passa alla luce: gli sterminati mezzi finanziari accumulati dall'uomo cattivo con i segreti e le violenze del suo malaffare vengono pubblicamente rivolti dalla donna buona che ne è sortita a una (si badi bene, solo) funeraria riparazione dei lutti provocati tra la popolazione messicana. Alla donna buona, essi garantiscono inoltre un opulentissimo tenore di vita. Non solo a lei ma anche alla moglie e ai figli dell'uomo cattivo, che sono stati tenuti all'oscuro del cambiamento e, sulle prime, confinati in Svizzera, convinti inoltre che "Manitas" sia morto, ingoiato dai vortici delle faide malavitose.
La famiglia dell'uomo cattivo finisce tuttavia per mancare alla donna buona. E, sempre con l'assistenza della giovane avvocata, Emilia la richiama a sé, a vivere sotto il medesimo tetto. Si finge all'uopo un'affettuosa parente dell'uomo cattivo e da lui incaricata a provvedere in tal modo. 
Insieme con il potere che viene dal danaro, del suo passato di uomo cattivo, la donna buona tiene però ancora con sé una pistola, anche mentre si dedica al bene del prossimo. E con il gesto che compie in proposito l'interprete e con la relativa inquadratura, il film rivela la presenza dell'arma nel grembo di Emilia quando, inopinatamente innamorata, la esibisce di soppiatto a una vedova (si precisa, felice di essere tale) che diventa la sua amante. Sarebbe ridondante insistere qui sul valore simbolico dell'arnese, a quel punto della narrazione: come rivelatore dettaglio, esso è più che lampante. Sotto la donna buona, c'è ancora, se non un uomo, certamente ancora un suo vestigio. 
E mentre a Emilia poco importa che la giovane donna che aveva sposato quando era un uomo e dalla quale ha appunto avuto due figli si conceda a una sua vecchia passione erotica con un farabutto, il fatto che da quella passione si prepari a sortire un matrimonio le risulta intollerabile per una ragione che è difficile non considerare maschile. I figli di "Manitas" finirebbero sotto la paternità surrogata del farabutto, sfuggendo così alla sua, ancora pienamente effettiva e solo dissimulata dal femminile. Con un geloso sentimento paterno, sotto la donna buona e in funzione dei figli riappare così l'uomo cattivo. Ed è quanto, per traversie e colpi di scena, determina la catastrofe finale. 
Non si dirà tuttavia come questa si compie a chi legge questo diario e non ha (ancora) visto il film, che sul finale, tornando alle fitte ombre del suo esordio, prende appunto le cadenze della pellicola di azione. Quanto si è fin qui riferito è d'altra parte sufficiente a intendere l'allegoria, come si diceva, tragicamente ironica. 
Da uomo cattivo a donna buona, qualche profondo problema rimane, in funzione (di un viscerale valore) della discendenza, fin quando ci sarà, e non si può dire che quel problema sia di poco momento, per gli esseri umani, al di là del genere, ma anche, paradossalmente, in stretta relazione con esso.


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