16 febbraio 2013

Lingua loro (28): "Messa in mora"

Rapita dal caldo e sicuro ricetto della lingua di specialità in cui, talvolta per secoli, ha prosperato tranquilla, a un'espressione può capitare di tutto. Se suona bene (e motivo del rapimento è sovente proprio il fatto che sia sembrata carina a chi l'ha orecchiata), la si può trovare adoperata anche per valori molto lontani dai suoi d'origine, se non affatto opposti. E la nominalizzazione messa in mora, anzi, nell'orale, messimmora pare suoni benissimo tra le labbra e sotto le penne di chi, dell'uso giusto della lingua, se ne intende e se ne serve come (quasi) sinonimo di abbandono (più o meno lungo), di sospensione: "Oggi assistiamo a una messa in mora d'ogni riflessione sul tema...".
La lingua è benevola, però, e non ha mai messo in mora nessuno; al massimo, col suo candore maligno, mette a nudo il cretino, ma solo nelle more della sua ineluttabile prevalenza.

1 commento:

  1. D'altro canto, l'espressione nel frattempo s'è ricomposta entro l'eloquio aulico in 'costituzione in mora' e 'costituire in mora', riavvicinandosi allo specchio delle sue alte origini e sacrificando senza remore 'mettere-messa in mora', a cui in quell'ambito sempre toccava circolare fra nasi arricciati: chiari da sempre i suoi natali quanto meno ambigui. Si gode ancora nella ricomposta forma il confortevole ricetto della lingua di specialità, anche con un tocco di fastidiosa sicumera: non sembra temere di poter essere nuovamente stanata.

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