"Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". È epoca di mutamenti epocali. Con formula icastica, Tancredi Falconeri illustra il suo programma politico allo zio Fabrizio, coinvolgendolo in quel "noi" e destinandolo così, tra lettori prevenuti e non del romanzo di Lampedusa, al suo futuro da "gattopardo", con iniziale minuscola.
La formula, tanto fortunata, la più fortunata del fortunato libro dello scrittore palermitano, contiene parole, tra loro in relazione, e si compone secondo una struttura. L'insieme fa sistema e sistema memorabile.
Allo sparuto alter ego di Apollonio capitò, la prima volta già venti anni fa, di scriverne. Ne mise in luce, coi mezzi della sua scarsa dottrina, alcuni caratteri salienti. Eccone un breve elenco commentato.
1) Il "noi", appunto, inclusivo, che coinvolge l'interlocutore prima che costui possa esprimere qualsiasi suo parere; la strategia è quella di 'farai fatica a dire, tu che mi ascolti, che non lo vuoi, una volta che io abbia detto appunto, anche a tuo nome, che lo vogliamo'.
2) La salienza di una "volontà", cioè d'una soggettività protagonista, che si pensa capace di gestire il mutamento, cavalcandolo.
3) Il valore deontico di quel bisogna, che marca appunto una sorta di indiscutibile necessità contestuale.
4) La cruda mancanza, d'altra parte, dell'esplicita menzione dell'argomento titolare del bisogno; un bisogno è sempre il bisogno di qualcuno; il discorso del ciurmatore (politico) non lo dice mai e presenta il bisogno come oggettivo: "bisogna" a chi?
5) L'organizzazione frastica di tipo apparentemente condizionale: un "se vogliamo..., allora..." che equivale più o meno a "poiché vogliamo, allora..."; quanto viene affermato nella principale ne esce come naturale conclusione, concettualmente ineluttabile.
In un rigo, insomma, per maestria dello scrittore, la summa di un pensiero e di una prassi politica, che ognuno potrà poi giudicare come meglio gli pare e cui applicherà se vuole le solite etichette, che spesso servono a nascondere le cose, più che a chiarirle: destra, sinistra, progresso, reazione e così via. Qui, l'insieme di attitudini ideologico-espressive sarà chiamato tancredismo, in modo neutro e solo dal nome proprio del personaggio che lo rappresenta, ricordando come, della carriera politica del principe Falconeri - Apollonio cita a memoria -, Lampedusa a un certo punto scriva che, garibaldino arrivato in Parlamento, egli s'era collocato all'estrema destra dell'ala sinistra del partito più moderato.
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Qualche giorno fa, sul supplemento culturale di un importante quotidiano, nel manifesto programmatico di un costituendo movimento intellettuale, pensoso del futuro della nazione, ricorreva con enfasi il passaggio che segue.
"Se vogliamo davvero ritornare a crescere, se vogliamo ricominciare a costruire un'idea di cultura sopra le macerie che somigliano assai da vicino a quelle da cui è iniziato il risveglio dell'Italia nel secondo dopoguerra, dobbiamo pensare a un'ottica di medio-lungo periodo in cui lo sviluppo passi obbligatoriamente per la valorizzazione dei saperi, delle culture, puntando in questo modo sulla capacità di guidare il cambiamento".
Tutti i corsivi sono di Apollonio, per la comodità dei suoi cinque lettori. Non uno dei punti 1)-5) sopra elencati manca di corrispondenza nel passo: ripetere le illustrazioni non serve. Si potrà dunque dire tale passo manifestazione espressiva di tancredismo, in Italia attitudine politico-culturale ricorrente, se non proprio eterna?
Le intenzioni sono certo diverse, avrebbe detto Viktor Klemperer: quelle fittizie del personaggio creato da Lampedusa erano pessime e riprovevoli; sono invece ottime e lodevoli quelle reali di chi ha steso quel programma. Ci si troverebbe quindi, di nuovo, davanti a un caso di "Quando due fanno la stessa cosa...", con la soluzione morale proposta dal filologo tedesco e ricordata nel frustolo precedente.
Ma sono identiche o molto simili non tanto (o non solo) le parole (che valgono solo in funzione dei contesti) quanto cose ancora più sottili e importanti, e più rivelatrici, cioè le strutture linguistiche, le forme argomentative e le modalità di presentazione del ragionamento. Ed è uguale un tratto pertinente del contesto, che nei due casi è quello di un mutamento. Da cavalcare, dice l'enunciatore impossessatosi del "noi", senza farsi disarcionare.
Apollonio non sa cosa dire. È solo un osservatore dell'espressione. Non ha le certezze di Viktor Klemperer. E, d'altra parte, Klemperer trattava di tragedie; qui, ragionevolmente, si parla di farse e di pretesti per organizzare un bel convegno a spese di qualcuno che fa finta di crederci (o pensa gli convenga far finta di crederci). E si perde il proprio tempo ad occuparsi di prose del genere, invece di trascorrerlo con espressioni dello spirito umano, come il romanzo dI Lampedusa, che invece arricchiscono.
Considerino però i cinque lettori che il caso è presentato come esempio di scuola: d'una scuola ideale di perdigiorno cultori di una futile attenzione alla lingua (che non è fatta solo di parole), definibile forse come critica linguistica. E gli esempi di scuola, si sa, son sempre un po' sciocchi e gratuiti. Proprio come questo frustolo.
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