Quando è questione di lingua, ciò che Apollonio ha forse maggiormente in uggia sono le ipostatizzazioni. E di ipostatizzazioni, le grammatiche, tradizionali e no, sono piene. Ne sono costituite per intero. È questa la loro ideologia. Implicita, che è anche peggio. La terminologia grammaticale è appunto messa lì a dare nome a tali presunte sostanze. Né ci si può stupire del fatto che Ferdinand de Saussure la dichiarasse appunto di una "ineptie absolue" nella celebre lettera inviata in risposta ad Antoine Meillet nel gennaio del 1894. Da allora nulla è cambiato. E, ci si intenda, Apollonio non si illude né pretende che qualcosa cambi, anche perché è opportuno che, come per molto altro, ciascuno coltivi ed abbia la grammatica esplicita che si merita.
A differenza delle cose del mondo, delle "cose" della lingua nessuno si chiede se e come corrispondono al loro nome e questo nome, in fin dei conti, cos'è. In genere, lo si prende come motivato dalla "cosa". Ma, trattandosi di "cosa" linguistica, è il nome che motiva a sua volta la "cosa". La congiunzione congiunge. C'è la causa nel causativo. L'articolo articola. Se poi è definito, definisce. Il nome nomina e il verbo... qualcosa da verbo farà. Fuori delle classificazioni, c'è poi la pratica. E non va meglio. Anzi.
Di tutta questa soffocante pienezza, di questa ontologia tanto ideologicamente assoluta, quanto materialmente volatile, garanti ai sensi e alla ragione sono le forme. Un esempio a casaccio. Cos'è un participio, si ponga, se non un participio? Un ente-participio. E quanto a forma, il participio pulito suona o si legge sempre come pulito, per dire, in hai pulito?, l'ha pulito, è stato pulito, venne pulito, resta pulito, va pulito, mi viene pulito e così via.
Si osservi però che tutti i pulito che ricorrono dal secondo in avanti sono sì pulito, ma, dandosi il caso, potrebbero essere pulita. Ciò vuole dire che sono pulita in modo latente, per via di eventuale reazione paradigmatica a una diversa sintagmatica. Il primo no. Gli manca dunque una proprietà che gli altri possiedono: va considerato al pari di essi? E, domanda radicale, si tratta veramente della medesima forma, se in un caso può mutare e nell'altro no? Un meccanico direbbe forse di no: pezzi che si somigliano formalmente in certe condizioni fino a parere identici, ma in realtà differenti. Non stanno l'uno al posto dell'altro. Tra i due, uno non ha un gioco di cui l'altro dispone: uno è pulito e basta, l'altro, secondo i casi, pulito, pulita, puliti, pulite. E il pulito fisso, per quanto suoni identico, è ben diverso da pulito variabile.
Al posto di pulito, può poi ricorrere, caso mai, pulitissimo, quando pulito è combinato, per esempio, con resta... o con mi viene... Meno facilmente o per nulla quando pulito si trova in altre combinazioni. E dunque, se capita sia pronto in quei casi ad alterarsi, pulito è sempre un ente-participio o, misteriosa metamorfosi ontologica, lì dove si altera, è diventato un ente-aggettivo? Un participio alterato fa in effetti paura. Un aggettivo va già meglio, si sa come venirne a capo.
In verità, per ciascuna di quelle ricorrenze di pulito, prese a casaccio, qualcosa che la caratterizzi individualmente, rispetto alle altre, la si trova. Del resto è già evidente così: è stato non è hai, che non è venne, che non è va... Ed entrando in combinazione con pulito, per interazione, ciascuno di questi reagenti, per dire così, rende pulito diverso e ne riceve a sua volta una diversità. Va di va pulito non è certo lo stesso va di E la nave va.
Sarà allora il caso di moltiplicare gli enti secondo queste necessità? E di quanti enti-participi avrà bisogno una descrizione adeguata di ciò che sta nella testa di un locuteur? Se non è una questione di lana caprina, è certo una di quelle che difficilmente agiteranno le notti e i pensieri di una persona normale. Ma chi ha mai detto che avere curiosità per la lingua e porsi domande siffatte sia da persona normale?
E poi, bando alla chiacchiere: pulito è pulito! Ha una forma. Quella forma ne fa ciò che è: bisogna che le si creda. È un participio. O un aggettivo. Insomma, ciò che si vuole. Basta sia una "cosa". Senza "cose" stabili e certe della lingua nella lingua, santo Cielo, cosa e come si farebbe?