20 settembre 2023

Spettatore pagante (2): "Coup de chance" di Woody Allen

Avviso: eviti di leggere questo frustolo chi, nella fruizione di qualsivoglia prodotto narrativo, si appassiona esclusivamente alla "storia" e dice di perdere interesse se capita sappia in anticipo "come finisce" (poveraccio o poveraccia, è il sommesso pensiero di Apollonio in proposito  e certamente non per la mancata lettura di questa sua modesta prosa).

"Colpo di fortuna" o, se si preferisce scendere di registro, "Botta di culo" sono quanto corrisponde al francese Coup de chance, che fa da titolo al più recente film di Woody Allen. Apollonio ha avuto l'occasione di vederlo al cinema in un'anteprima preceduta da un'intervista al regista nuovaiorchese in live streaming nazionale: un quarto d'ora pieno di stucchevoli banalità (duole dirlo).
Coup de chance è, come dichiara il titolo, un film sul tema della τύχη, sul ruolo della sorte nelle vicende personali e pubbliche degli esseri umani. Sul versante delle personali, il tema è caro ad Allen, come si sa, ed uno di quelli sui quali si sono esercitate sin dalle loro prime testimonianze e senza distinzioni riflessione e letteratura occidentali. 
La pellicola si rivolge senza più infingimenti a un pubblico europeo, come è ormai consueto nella produzione di Allen. Stavolta però forse più specificamente proprio al pubblico europeo continentale (se anche con il pubblico si può fare per analogia una distinzione tipicamente vigente per la filosofia). Allen e i suoi produttori sono infatti ben consapevoli che si tratta del solo pubblico cui indirizzarsi, sperando di averne un ritorno.
La pellicola narra una vicenda che si svolge ancora una volta in un'elegante Parigi (fatta di edifici di pregio, di gallerie d'arte e di giardini) e in un canonico château che signoreggia un dintorno naturale e boschivo, dove si pratica la caccia al cervo. 
Non basta, tuttavia. C'è appunto una novità, come ha sottolineato la campagna di lancio di Coup de chance. Il film è in francese. Non era mai avvenuto nei precedenti girati in Europa da Allen, tutti uniformemente sceneggiati e recitati nella lingua del regista. 
In funzione del target, per Coup de chance si tratta di una scelta di comunicazione pubblica efficace: "il primo film francese di Allen", ma anche, data l'età, "il suo cinquantesimo e l'ultimo che si propone di girare": un secco "il suo ultimo", sarebbe suonato iettatorio, come si intende. 
La trovata linguistica è inoltre sostenuta dal richiamo alla più volte dichiarata predilezione di Allen per il cinema europeo del passato. C'è però da chiedersi se, snobismo per snobismo, non sarebbe stato forse meglio glisser. Tanto più che, francese o inglese in superficie, i film di Allen si esprimono sempre in alleniano. Ma i tempi sono questi e non c'è scelta che si pretende di gusto superiore di cui non vada fatta esibizione, con irrimediabile riduzione del gusto all'ordinarietà, per eccesso di svelamento della sua venalità.
Non è d'altra parte necessario essere storici e filologi della produzione di Allen per rendersi presto conto, in sala, che Coup de chance condivide il suo tema fondamentale con Match Point, del 2005, e che quindi rimonta alla vena del regista la cui prima chiara epifania si ebbe con una sezione di Crimini e misfatti, del 1989: un Allen già maturo, pertanto.
Confrontato all'archetipo (se si può dire così), ma anche e soprattutto alla menzionata e valorosa riproposizione di Match Point, dal retrogusto shakespeariano (ci si ricordi della scena del sogno), Coup de chance mette sullo schermo tipi: bozzetti più che personaggi con contraddizioni e complessità. Si badi bene, la tendenza a una sorta di commedia dell'arte in Allen c'è sempre stata, come d'altra parte è naturale per un autore dalla vena satirica. Non si satireggia senza caricatura e non c'è caricatura che non sia tipizzazione. 
Per restare con massima pertinenza alla produzione alleniana di questo secolo, in Match Point dei tipi si vedeva però l'anima dolorosa, incarnati come si trovavano nella rappresentazione di personaggi che simulavano persone invischiate, nolenti o volenti, nell'intrico sempre irragionevole della vita.
Invece, il disegno personale e umano dei personaggi di Coup de chance è ridotto all'osso. E, a contrastare il sospetto che la vena di Allen nella costruzione delle figure delle sue commedie si sia rinsecchita (invecchiare è rinsecchirsi, andando verso il secco che non risparmia nessuno), c'è solo l'ipotesi benevola che il regista intenda così mostrare come sia inutile la ricerca di uno spessore o di un'anima nella rappresentazione dell'umanità: tutti e tutte secche e legnose marionette, mosse dalla sorte.
C'è poi un'altra differenza complessiva e d'impianto tra Match Point e Coup de chance: in ambedue, la τύχη ha una sua epifania in apertura. Ed è ovvio; tutto comincia accidentalmente, nelle vicende umane: nascere è un caso, morire una necessità, ha scritto da qualche parte l'alter ego di Apollonio senza pretesa di originalità. In ambedue le pellicole, la sorte ha anche e soprattutto un'epifania in chiusura, risolutiva. 
Nel film londinese, però, la fortuna premiava infine e crudamente il méchant. La pellicola produceva così un effetto di benefica frustrazione in spettatori e spettatrici con desiderio se non di un happy end, perlomeno di una riparazione al disgustoso guasto nell'ordine del mondo cui aveva assistito.
Al contrario, Coup de chance si conclude in modo consolatorio e il pubblico sorride. La τύχη punisce il cattivo, certo per la sua ὕβρις, la sua oltraggiosa tracotanza: più volte si sente dire al personaggio in questione che lui, alla fortuna, non crede: la fortuna ce la si costruisce, com'egli pensa in effetti di essersela costruita, commissionando a efficienti sicari un paio di omicidi. La sorte lo ferma, uccidendolo, sulla soglia di un terzo che si vede costretto stavolta a compiere personalmente. 
Per l'impresa, il malnato ha concepito come scenario una caccia al cervo nella già menzionata foresta. Sta qui appunto la comica trovata del film. In essa si riconosce finalmente il prezioso residuo dello scanzonato spirito di Woody Allen. Vi si riflettono però anche l'ordine e la necessità che qualsiasi narrazione ha da imporsi, pur proponendosi di dire dello spaventoso potere del caso nella vicenda umana. Come scrivere, fare film è disperata rivendicazione, anche solo per finzione, della possibile esistenza di un sistema.
Ebbene, in tale sistema il méchant non ha riflettuto come doveva sul fatto che che, tradito dalla moglie, l'animale indubitabilmente dotato di corna è lui medesimo, nell'occasione. E un cervo lo crederà appunto e con ragione un anonimo cacciatore che, vedendo un movimento tra i cespugli, non esiterà a farne il bersaglio del suo colpo mortale. 
Messo a morte dalla sorte, dunque, il cattivo. Come merita, dice Allen con un salutare sberleffo, non per i due assassini realizzati e per il terzo da realizzare. Nel superiore ordine narrativo, semplicemente perché irrimediabilmente cornuto.

10 settembre 2023

Spettatore pagante (1): "Oppenheimer" di Christopher Nolan

Sopra Oppenheimer di Christopher Nolan, Apollonio dubita oggi che il suo alter ego abbia voglia di esprimersi per iscritto. Ma il cinema di Nolan è una delle sue palestre preferite e poi lo conosce volubile e soggetto all'estro. Si sa che a determinare le voglie è appunto l'estro. 
Per il momento, l'alter ego sostiene che vedere Oppenheimer di Nolan solo una volta non basta, per dirne, ancora di più, per scriverne sensatamente. 
Ma ciò vale per ogni altro film del regista inglese, obietta Apollonio. Le sue pellicole vanno bene naturalmente anche per spettatrici e spettatori da "una botta e via": la maggioranza. Seducono al tempo stesso tuttavia anche e forse soprattutto la minoranza di quei perversi e di quelle perverse inclini a chiedersi come sarà la successiva e talvolta finiscono così per innamorarsi. Sarà segno di qualità artistica?
Forse. E non si può dire che Oppenheimer non dia segni della sua qualità. Ma Apollonio, spericolato, non si perita di dire che non si tratta dell'opera migliore di Nolan. E il chiasso che ne ha anticipato e accompagnato l'uscita nelle sale, ai suoi occhi, ha reso più manifesta la discrepanza. Prezzo da pagare a ineludibili esigenze commerciali. Emma Thomas e Syncopy hanno lavorato alla grande: una campagna con i fiocchi.
Nei commenti sul film (o perlomeno in quelli che Apollonio e il suo alter ego hanno accidentalmente intercettato, tra le miriadi) il soggetto, nelle sue faccette psico- e sociologiche, e il tema, con le sue imponenti conseguenze, hanno tuttavia fatto premio (per dirla come un assessore o come un mister) sullo specifico cinematografico. 
E non solo sullo specifico cinematografico (del quale, tanto Apollonio, quanto l'alter ego masticano pochissimo), ma anche, più in generale, sul narrativo. Invece, la costruzione narrativa, se non è il meglio (o il peggio) del film, è certo quanto è formalmente notevole. Tanto da indurre a chiedersi se a tale forma corrispondano valori funzionali, dice l'alter ego, e se tali valori funzionali tengano, rendano cioè sistematico il prodotto finito.
Apollonio lo sa bene e il suo alter ego ci ha anche speculato: Nolan ha un conto aperto con il tempo. Ma il cinema è ineluttabilmente lineare. Come dell'espressione linguistica osservò Ferdinand de Saussure. E Roman Jakobson fece finta di non capire, per preconcetta polemica con quel fantasma, commenta l'alter ego, tirando in ballo i suoi chiodi fissi. 
Lingua e cinema, continua, impongono un tempo anche a chi pare non volere concedere al tempo nessun privilegio, narrando, come Nolan non smette di fare. Mirabile, nella sua opera, fu in proposito la valorizzazione dell'aspetto, in Dunkirk: un breve capolavoro, formalmente semplice, funzionalmente complesso, che provocò invece poco rumore
Nel fluviale Oppenheimer, il tempo è invece frantumato, come l'atomo: per vano gioco? Si direbbe di no. Individuare con precisione il funzionamento di tale frantumazione nei suoi effetti narrativi è indispensabile, per una valutazione. 
L'alter ego ha ragione: a capire se ci si prende gusto, necessaria perlomeno un'altra botta...