23 luglio 2012

Caffè

Grazie al cielo e all'impersonale equilibrio del mondo, dove ogni cosa e ogni persona, alla fine, stanno nel posto che compete loro, anche se ciò può apparire doloroso o, per i più presuntuosi, contrario a ragione, le sofisticherie dei grammatici d'ogni tempo e d'ogni scuola non troveranno mai spazio sugli scaffali della bottega del pizzicagnolo di un'isoletta mediterranea né sui banchi del supermercato di una grande città europea. 
Che importa alla gente che vuole farsi un caffè e va a procurarsi il necessario di avere consapevolezza metalinguistica dei valori che, si ponga, in italiano hanno certi nomi (detti, per infausta definizione, "di massa") quando, in funzione del numero grammaticale, il cosiddetto articolo s'accompagna a essi in una delle sue realizzazioni diverse o non s'accompagna del tutto? 
Qui accanto sta però il grazioso poliptoto (il caffè…, …caffè…, …un ottimo caffè), dove appunto il caso in questione si dà. Esso compare nel testo d'accompagnamento della confezione di un prodotto di largo consumo, offerto da una notissima multinazionale del settore alimentare. Il contesto materiale garantisce che non si tratta dell'evenienza d'una comunicazione esoterica, riservata a pochi privilegiati. Nella sua gustosa variatio, la figura è del resto immediatamente comprensibile a chiunque padroneggia l'italiano senza avere giustamente prestato mai troppa attenzione alle raccomandazioni grammaticali sugli usi dell'articolo da parte di un(')insegnante né avere per sua fortuna frequentato un supponente corso universitario di linguistica. Le prime non sarebbero del resto mai state in grado di renderlo capace di finezze interpretative comparabili. Il secondo l'avrebbe magari reso spettatore del modo con cui se ne fa strame intellettuale.
Nei suoi accadimenti d'ogni giorno e con la sua nativa e naturale efficacia culturale, la lingua, proprio come la vita, ha anche questo di bello. Ridimensiona e mostra quanto sia superflua la chiacchiera di coloro che, in proposito, pretendono di saperne più di altri perché le si accostano armati d'una presunta dottrina, quando tutti, proprio tutti, per una prassi che non è un fare ma un saper fare, della lingua si sa sostanzialmente le medesime cose: quelle che nessun essere umano è mai stato capace di insegnare a un altro essere umano. 
Mentre la ridimensiona, però, la lingua restituisce a quella chiacchiera, e quindi alla linguistica e, "per li rami", anche a questo modestissimo blog, il loro autentico valore. 
Se è una chiacchiera buona, come può essere buono, perché superfluo, un caffè, la chiacchiera sulla lingua ha il valore di acuire, risvegliandola sulla soglia di una consapevolezza forse mai raggiungibile, la sensibilità umana alla contemplazione, ammirata o sdegnosa, di ciò che non si sa donde venga e dove stia ma che è certamente ultra-umano.

14 luglio 2012

Vocabol'aria (7): "soluzione/problema"

Endlösung, 'soluzione finale': ecco, fedeli Lettori, dove è tragicamente sfociata, come evento terminale e come punto di non-ritorno (malgrado da quasi quattordici lustri ci si illuda del contrario), l'attitudine moderna alla ricerca, parossistica, di presunte soluzioni a più che presunti problemi.
Il fatto che frattanto si siano sfumati, se non persi i deliranti contorni ideologici, i raccapriccianti connotati razziali, le truculente prassi sociali non vuol dire che sia mutata la struttura formale di un pensiero, chiaramente totalitario, che vede la soluzione come suo unico programma e orientamento. Avere un problema, trovarne la soluzione sono espressioni che hanno marcato e continuano a marcare un plurisecolare andazzo.
La libertà e la sua vera difesa cominciano invece dove cominciano l'amore, razionale, per ciò che si presenta come problema, il laico rispetto per la sacralità che gli discende dall'essere (solo eventualmente?) insolubile, la sorridente consapevolezza della necessità morale di venire a patti con un limite che, ironico, non smette mai di imporre, a chi lo sperimenta, pazienti aggiustamenti e profondo sentimento di provvisorietà.
Succede invece che, per blasfema illusione di eternità (oltre che di onnipotenza), i genitori abbiano ormai l'abitudine di lasciare in eredità a figlie e figli ciò che capita paia la soluzione a un loro problema e che, invece, ci mette poco a rivelarsi, per gli eredi, problema ancora più grave.
Bisogna allora smettere di cercare soluzioni e (ri)cominciare a godersi, esperendoli, i problemi? Apollonio sorride e, solo per i suoi cinque fedeli lettori, sussurra: sarebbe una soluzione troppo facile, cioè un futuro enorme problema.

11 luglio 2012

Sommessi commenti sul Moderno (4)



Dicesi soluzione di un problema, da qualche secolo, il problema che si presenta, dopo un po', come ancora più grave e che perciò richiede, imperativamente, gli si trovi a sua volta una soluzione.

2 luglio 2012

Caratteri (8)

Capaci di tutto gli Italiani del pallone (come del resto gli Italiani in generale). Capaci anche di ridimensionare, infingardi e maligni, la boria di chi vince tutte le battaglie per perdere regolarmente le guerre. Ma appunto capaci di tutto gli Italiani, che, trovatisi alla guerra, si chiedono spaesati perché siano lì e cosa mai ci siano venuti a fare. E, lagnandosi delle proprie ferite, trovano veloce riparo in una rasserenante e sonora sconfitta.