25 febbraio 2016

Brutti, sporchi e cattivi. Buono, pulito e giusto. Ottimo e abbondante

Brutti, sporchi e cattivi: tre aggettivi riferiti a una realtà sociale rappresentata in modo espressionista. Ruggero Maccari e Ettore Scola qualificarono così, nel 1976, l'incrocio concettuale tra un'epoca e una temperie culturale, remote e forse già divenute difficilmente comprensibili. Oggi si è infatti agli antipodi, comunque si vogliano poi mettere in scena, per raccontarsela, implausibili continuità. 
Buono, pulito e giusto è l'impeccabile proiezione del wishful thinking che fa da impressionistico orpello a un valore materiale, trasfigurato in morale, del tempo presente. Così lo vuole Carlo Petrini, tra gli ideologi dell'Italia contemporanea, uno dei più rappresentativi.
Le opposizioni tematiche brutti-buono, sporchi-pulito, cattivi-giusto, per quanto varie, sono trasparenti e procedono in parallelo. Non esauriscono d'altra parte il nocciolo del contrasto. 
Se lo si vuol cogliere nella sua interezza rivelatrice, questo va raggiunto per le vie meno palesi di valori linguistici funzionalmente realizzati, come numero e genere. 
Nel 1976, si trattava di plurale, il numero dei tanti. Oggi, si tratta di singolare, ma non di singolare individuale e piuttosto di un singolare come numero di ciò che non si può (o non si deve) contare.
Nel 1976, si trattava di maschile, naturalmente come genere non-marcato, e soprattutto si trattava di un maschile come genere animato. Oggi si tratta di un genere inanimato, che, faute de mieux, compare come maschile; si tratta, in altre parole, di un neutro.
Insomma, da un lato, una pluralità di esseri umani, dall'altro, una cosa, ma una non di numero, di essenza.
Tra Brutti, sporchi e cattivi e Buono, pulito e giusto l'opposizione è dunque radicale, come lo è quella delle due temperie che vi si riflettono.
Del resto, in una fase ancora più remota di quel tempo remoto, in relazione narrativa con altri brutti, sporchi e cattivi, per qualificare l'odierna Cosa della ideologia petriniana, l'ironia feroce di Monicelli (e dei suoi sceneggiatori) aveva ideato una coppia paradossale di aggettivi, divenuta proverbiale. Per chi ha buon palato, ben più sapida peraltro di quel Buono, pulito e giusto tanto stucchevolmente zuccheroso da cariare i cervelli:

12 febbraio 2016

Cronache dal demo di Colono (39): Holden, l'arrotino



"Se la tua storia si inceppa, non preoccuparti!" - dice la notizia "sponsorizzata" che scorre nel flusso dei post della rete sociale - "Hai a tua disposizione dei professionisti della scrittura pronti ad aiutarti a ripartire". 

E, per via di una di quelle strane associazioni che affliggono l'animo dei vecchi (come scrisse uno la cui unica storia non si inceppò), affiora nella mente di Apollonio un ricordo. Un annuncio comparabile, se non funzionalmente identico dietro le diversità formali. Funzionalmente identico nei contenuti, nei modi, nel suo pubblico d'elezione:


11 febbraio 2016

A frusto a frusto (103)




C'è chi, di esistere, fa la sua professione. Difficile però averne ammirazione. Dilettante dell'esistenza: ecco la mia condizione.

5 febbraio 2016

Linguistica da strapazzo (42): Preparato per brodo e arte della transizione


Testo e immagini di questo annuncio si accompagnano con sottile anacronismo. Le immagini si orientano decisamente verso l'esito dell'ideale e emblematica vicenda di cui le parole specificano e spiegano una sorta di fondamento ideologico. La composizione immagine-testo comporta così un gustoso processo di sfalsamento: una transizione narrativa giocata in sincronia. Del resto, tematicamente, è proprio ciò che un preparato per brodo è destinato a fare: per transizione, è una premessa che si scioglie nel suo esito, rendendolo sapido (correlativamente, sensato).
Non è tuttavia l'ovvietà di questi palesi aspetti tematici a giustificare l'attenzione del linguista da strapazzo sull'annuncio; è piuttosto il modo con cui, nel testo, scorrono le persone grammaticali: "Noi di Knorr crediamo che in ognuno di noi si nasconda un grande cuoco. Così se cucini con...".
Il primo noi, con l'enfasi che tocca all'apertura, è ricorrenza della quarta persona non-inclusiva: un NOI, in altre parole, che non include il TU, l'ideale destinatario dell'annuncio. Il secondo noi è invece ricorrenza della quarta persona inclusiva. Stavolta, nel NOI, il TU è incluso: 'anche in te si nasconde un grande cuoco' è quanto vi si afferma, per trasparente allusione.
L'iterazione è procedimento poetico per eccellenza ed è straniante un'iterazione a così stretta cadenza della medesima forma con due valori funzionali differenti. Mira a colpire, a tenere viva l'attenzione. Un gioco sintagmatico di tal fatta, tra identità formale e differenza funzionale, è reso possibile dall'italiano (come lo sarebbe da lingue apparentate). Non lo consentirebbero lingue in cui quarta persona inclusiva (NOI, TU incluso) e quarta persona non-inclusiva (NOI, TU escluso) sono distinte da forme differenti. Non solo per celia, si potrebbero dire tali lingue più probe dell'italiano, in proposito, quanto alla gestione del rapporto tra funzioni e forme.
Una volta che il secondo noi ha aperto al TU la porta del discorso, la seconda persona fa da protagonista nel resto del testo, in parallelo con ciò che le immagini mostrano narrativamente. Tra il noi dell'esordio e il tu dello sviluppo principale della narrazione e della sua conclusione, il secondo noi combina il primo con il TU e fa quindi da specifico elemento di una transizione artisticamente ineccepibile.
Si compone così in armonia un insieme che ha visto partire il testo sotto il segno dell'enunciatore; l'immagine invece sotto quello di una figura sul principio vagamente ambigua ma presto identificata come proiezione ideale dell'enunciatario.
Per successive transizioni, testo e immagini si allineano. Come vuole l'annuncio, in cucina e cucinando si alleano la multinazionale dell'alimentazione e chi compra e utilizza il suo prodotto. Esso stesso del resto è elemento di un'arte della transizione, che conduce al piatto infine pronto, in conclusione alla bocca, al gusto, ai sensi dei o, più precisamente, delle commensali: "Il sapore che unisce".