26 aprile 2009

Lingua loro (12): "pandemia" e "suino"

Oggi, prima pagina dell'organo di stampa della Confindustria italiana, titoletto in rilievo del sommario: "Febbre suina, è pandemia / Otto casi accertati a New York". Evidente auto-satira, dice Apollonio a se stesso. Ed efficacissima. Si può solo ridere e lo fa, prima che una meritata febbre (ma la sua sarà asinina) se lo porti via. 
Gli industriali (o chi degnamente li rappresenta nell'arena dell'informazione) vogliono dimostrare che anche per loro i numeri non contano, riflette. Poi ci si lamenta della crisi economica, conclude: non c'è più nessuno che, sapendo far di conto, abbia il minimo senso delle proporzioni. Non si tratta infatti di un vero e proprio titolo "tossico"?
Poi ci ripensa, però. Come tutte le istituzioni umane, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, fonte della notizia, deve di tanto in tanto trovare un pretesto che ne giustifichi l'esistenza e, allo scopo, ai "polli" ha associato adesso i "porci", nella certezza che il loro numero è considerevole. 
Per quella strana virtù che hanno le parole e il linguaggio, alla memoria di Apollonio si riaffaccia allora un concerto palermitano di Giorgio Gaber, or sono sette lustri almeno. E quel ritornello, con la sua icastica definizione: "...son tutti dei porci, più sono grassi e più sono lerci. Più son lerci e più ci hanno i milioni...". 
Per ragioni biografiche (non val la pena di precisarle qui), l'attuale direttore dell'organo di stampa della Confindustria italiana non può essere immemore di quel concerto e di quel ritornello: Apollonio lo sa. Gli risuonerà nell'orecchio, come accade ad Apollonio medesimo. 
Ecco allora la ragione di quel titolo: il direttore dell'organo di stampa della Confindustria si sarà sentito in dovere di dichiarare lo stato di allerta. Per i lettori d'elezione del suo giornale, anche se si tratta di otto casi a New York, la febbre suina è tema del massimo rilievo.
Apollonio fa atto di contrizione. Si stava sbagliando. Il titolo non è "tossico": è informazione. E della migliore qualità.

10 aprile 2009

"L'Italia piange le sue vittime"


"L'Italia piange le sue vittime": è il titolo maggiore dell'edizione in questo momento on-line del Corriere della Sera. Ma c'è da credere che titoli comparabili (se non proprio identici) ricorrano su tutte le testate giornalistiche, tradizionali ed elettroniche.
La lingua (val la pena ancora di ribadirlo?) è mirabile: fermarsi ad osservarla riserva sempre a chi lo fa doni preziosi di comprensione profonda e di penetrazione dei fatti, delle persone, degli istituti, delle nazioni.
Il sue che ricorre in quel titolo sembra solo esornativo: aggiunge il tocco di patetismo, con cui l'estensore ha ritenuto di caricare ulteriormente un'espressione già patetica. Le vittime che l'Italia piangerebbe sono, enfaticamente, le sue: le appartengono.
Ma l'italiano è lingua dantescamente tragica, irridente e maligna d'una nazione le cui classi dirigenti e intellettuali inclinano invece senza posa all'elegia e al patetismo, con malafede mandarina. Ed è lingua che assegna così la stessa espressione alle relazioni predicative tanto del possesso (nel caso specifico, presuntamente affettuoso) quanto dell'attività. Se qualcuno, se qualcosa fa delle vittime, quelle saranno le sue vittime
Ebbene, Apollonio non sa certo dire se le vittime che l'Italia piange sono le vittime che l'Italia incessantemente fa o quelle che le appartengono. Sa però che l'italiano di quel titolo del Corriere on-line dice, ferocemente, ambedue le cose. E grazie alla stupidità linguistica che prova come sempre a stemperare e a nascondere nel patetismo la rovinosa inconcludenza di ceti privilegiati, dice senza volerlo la verità di una nazione che, con il suo autolesionismo, ammesso sia vero che pianga, inscena ancora una volta la sua chiassosa kermesse per piangere lacrime di coccodrillo.

Ultime notizie: alle 17 circa, sulla pagina di apertura del Corriere on-line il titolo è stato modificato. Adesso suona "...piange i suoi morti". La verità della lingua ha balenato per un breve momento: prevalse poi una meditata, cardinalizia reticenza.

2 aprile 2009

Etimi tossici


L'intreccio casuale di temi presenti nei due ultimi post (la seduzione, la filosofia) ravviva nella memoria di Apollonio una istruttiva esperienza personale, il cui racconto tornerà magari utile ai suoi due lettori e con questo spirito qui lo si offre loro.
L'aneddoto comincia or sono sette lustri, negli anni dei suoi studi post-universitari: "Vi accadrà certo un giorno o l'altro" tuonava un vecchio barone e (sia detto a limitarne ulteriormente la figura) anche accademico dei Lincei "di sentir qualcuno che, nel bel mezzo d'una discussione, per far figura di dotto, tirerà fuori l'etimologia di sedurre. Dirà, con l'aria di chi se ne intende e proferisce cosa profonda, che c'è di mezzo il pronome personale. Ma non c'è etimologia più falsa e non c'è trappola di falsa etimologia in cui i finti colti cadano con frequenza maggiore. Il se- di seduco non ha niente da spartire col pronome: è antica particella con valore separativo. Vale appunto 'a parte, in disparte'. Come nel caso di secerno, di secedo, di separo, di seditio".
Passano trenta anni da quegli ammonimenti pedanti. Tranquilla domenica del giugno 2005. Sulla scrivania di Apollonio, la gazzetta di libri e cultura che accompagna l'organo di stampa della Confindustria aperta sulle pagine dedicate alla filosofia. Pezzo di Remo Bodei, consacrato a un libro (non suo) che parla filosoficamente della moda.
Di nuovo: Apollonio è rude abitante di Citera. A Citera non si organizzano festival né altri eventi culturali. Non ci sono "scuolenormali" né "libreriefeltrinelli" né "circolidellastampa". Non vi si incontrano mai "eccellenze" né "maggiori-scrittori-tra-i-viventi". Se mai accadesse peraltro, nessuno li riconoscerebbe come tali, dal momento che vi sono in uso grandezze incommensurabili e vi è molto labile la distinzione tra chi è vivo (o lo sembra) e chi sembra morto (e non lo è).
Di quel gran nome della cultura italiana d'oggidì Apollonio ha dunque solo sentito favoleggiare e sa solo ciò che legge sulle pagine di quella gazzetta. E talvolta, come altrove ha confessato, nei libri alla moda momentaneamente sottratti a più riprese agli scaffali delle librerie e poi riposti con doveroso rispetto. Si tuffa appunto nella lettura del pezzo. Sotto quella penna, s'attende il trattino che fa tanto prosa filosofica e puntualmente lo trova. Lo trova anzi in doppia ricorrenza: una, esplicita; l'altra, implicita ma squadernata poi in tutta la sua evidenza.
"La ri-velazione della moda ha il doppio senso, di svelare e di nascondere di nuovo sotto un velo ciascuno a se stesso, inserendolo in un gioco sociale di reciproca seduzione (etimologicamente: di attrarre a sé, ad se ducere)".
Tutto qui.