23 aprile 2011

L'antonomasia di una metonimia

"Non ho tirato in ballo il Colle". "Lo scontro con il Colle sarà inevitabile". "Il Colle non potrà rifiutare un appuntamento ad Alfano". "La minaccia di fare esplodere il progetto dell'UE... sta comunque agitando il Colle". "Il Colle chiede correttivi". "...perché non deve essere il Colle a risolvere i problemi della maggioranza". "Il Colle cerca di far capire... che quel testo...". "Il Colle non può fare a meno di far notare...".
Qualche parola di spiegazione per chi, dei cinque lettori di Apollonio, non legge abitualmente la stampa italiana. Agli altri si chiede venia per la corrività delle notazioni.
Il Colle è il modo con cui oggi è d'uso riferirsi a Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica in carica. La Presidenza della Repubblica italiana ha sede nel Palazzo del Quirinale. Per metonimia, nella prosa giornalistica italiana il Quirinale fungeva fino a poco tempo fa da riferimento e da designazione del Presidente della Repubblica. Mutatis mutandis, accade lo stesso con la Casa Bianca, per es., o con l'Eliseo. Adesso, il Colle ha largamente sostituito il Quirinale, ridottosi a ricorrere in pezzi di tono più formale. Il Quirinale è un colle, uno dei sette fatidici romani. Per fungere da designazione metonimica di Giorgio Napolitano, quel colle, privato del suo nome proprio, è divenuto il Colle per antonomasia.
È difficile prevedere per quanto tempo il Colle sarà adatto alla bisogna. Di una cosa si può però essere certi. L'espressione cui il Colle cederà prima o poi il passo sarà ancora più perversa.

20 aprile 2011

Raccontar storie

"La 'rivoluzione chomskiana' precede Chomsky. In misura maggiore di quanto i discepoli recenti siano pronti a riconoscere, il lavoro preparatorio è stato fatto dal maestro di Chomsky, il professor Zelig Harris dell'università della Pennsylvania". Lo scriveva George Steiner in un articolo sul New Yorker dei tardi anni Sessanta, se Apollonio non ricorda male. Una prova dell'acutezza di Steiner che, per quanto in un certo senso profano, si dimostrava precocemente consapevole di un'ingiustizia, una delle tante perpetrate dalla memoria umana per malafede e da quel suo prodotto spacciato per oggettivo che si è soliti chiamare storia.
Ed è allora giusto che in reputate storie della disciplina il nome e la figura di Harris ricorrano come segue, in un passo rapidamente esemplare delle tecniche di occultamento e dei modi della damnatio memoriae: "Va citato infine un sottile teorico come Zellig Harris, che ha spinto le tecniche analitiche e classificatorie tanto avanti da illustrarne i limiti, come si vede in quella sintesi che è il volume Methods in Structural Linguistics, dal quale partono sia i tentativi di superamento costituiti dalla grammatica trasformazionale dello stesso Harris, sia la più radicalmente innovativa linea di ricerca aperta dal suo allievo Noam Chomsky". Non una parola di più.
È giusto, si diceva, ma è veramente triste.

14 aprile 2011

Lingua loro (18): Criticità

"Si tratta di capire quali sono le situazioni di criticità...", "...i punti di criticità potrebbero essere...", "...dopo avere determinato le possibili criticità...", "...partendo dai dati e dalle criticità...", "...le eventuali criticità vanno affrontate..." e così via.
Apollonio viene da un breve soggiorno in terra italiana, dove si è trovato letteralmente sommerso da una novità: criticità. Non c'è stata persona di livello che abbia incontrato, ascoltato in radio o visto in tv (intellettuale, politico o altro sfaccendato) che, ovviamente nei contesti adeguati, non abbia fatto largo uso, anzi sfoggio di criticità. Le espressioni "situazioni critiche", "punti critici", "fase critica", a lui ben note e banali, devono essere divenute obsolete - ha concluso rapidamente -, nell'eloquio della gente di mondo.
Ha interrogato in proposito un paio di professori d'università. Anche loro lo avevano appena esposto a innumerevoli ricorrenze di criticità (in poco meno di dieci minuti, una decina). Linguisti, peraltro, e specialisti di italiano.
"Perché non dite più situazioni critiche e dite invece criticità?", ha chiesto loro. La domanda li ha colti di sorpresa. Gli hanno risposto che, fino al quesito "persiano" di Apollonio, "non ci avevano fatto caso", aggiungendo che "deve trattarsi dell'effetto d'una moda". Criticità si sarebbe quindi introdotta inavvertita nelle loro chiacchiere e la moda sarebbe una di quelle di cui ci si fa inconsapevoli portatori: così, con le loro risposte, gli hanno almeno voluto far credere.
Sarà. C'è sempre chi pensa, evidentemente, che "...non sanno quel che fanno" valga come attenuante. Ad Apollonio è sempre parsa un'aggravante, soprattutto in funzione di presunte competenze.
Raggiunto un luogo dove ha potuto farlo, Apollonio ha rapidamente aperto il Battaglia e ci ha naturalmente trovato criticità, attestato, tra virgolette, in un brano del buon don Benedetto (Croce). Nella circostanza, il brano suona gustoso e lo si trascrive qui, senza fare ulteriori controlli, come compare nell'opera lessicografica, per il godimento dei due affezionati lettori: "Non intendo punto, come ho detto, negare al Lombardi né appassionamento né attitudine filosofica, né cultura né studio, ma soltanto, poiché egli è giovane, esortarlo al pensiero esatto e allo scrivere nitido e, insomma, ad accrescere in sé l'interna «criticità» della filosofia, che anch'essa ha continuo bisogno di autogoverno".
Naturalmente, menare scandalo della nascita, nel lessico italiano, di una nuova criticità sarebbe più che sciocco, e patetico ogni lamento in proposito. Ma qui non è questione di una nascita, quasi sempre evento fausto, quanto di un'epidemia, circostanza per se stessa sempre inquietante, anche, se non soprattutto nel dominio dello spirito, per la sua indubbia relazione con la stupidità.
Da tale prospettiva, infatti, nella deriva dalla singolare attestazione crociana alle moderne, più che plurali, corrive, come non sentire coerente col tempo il mutamento di valore di criticità e come non eleggerlo a piccolo emblema di una fase critica in cui l'espressione dei dotti (o dei presunti tali), perso lo stile necessario al discernimento e azzerata ogni attitudine critica, manca proprio di autogoverno?

9 aprile 2011

Còlti freschi in libreria...

per i due fedeli lettori di Apollonio, dalle serre di tre editori italiani di cultura.
1) Copertina di Tomaso Montanari, A cosa serve Michelangelo?, Einaudi: "La vicenda del crocifisso cosiddetto «di Michelangelo» acquistato dallo Stato italiano è una metafora perfetta del destino dell'arte del passato nella società italiana contemporanea. Strumentalizzata dal potere politico e religioso, banalizzata dai media e sfruttata dall'Università. La storia dell'arte è ormai una escort di lusso della vita pubblica". "Metafora" ha qui fatto da tema di un paio di post di alcune settimane or sono.
2) Fascetta (rossa) sovrapposta al libro di Alessandro Barbero, Lepanto. La battaglia dei tre imperi, Laterza: "Questo libro lo consiglio a coloro che hanno avuto sempre una certa diffidenza nei confronti dei saggi. Perché si accorgeranno che si sono persi tra le cose migliori mai scritte". Chi firma tale impareggiabile emblema degli attuali fasti della scrittura in lingua italiana? Roberto Saviano.
3) Infine, in epigrafe di Dioniso di Karl Kerényi (Adelphi), per respirare e consolarsi: "Grazie alla reciproca dipendenza del pensiero e della parola appare chiarissimo che le lingue non servono propriamente a esporre la verità già nota, ma piuttosto a scoprire la verità che prima era ignota. La loro diversità non è una diversità di suoni e di segni, ma di visioni del mondo". Parole di Wilhelm von Humboldt.