20 dicembre 2018

Bolle d'alea (26): Stravinskij

"S'il est aisé de définir la mélodie, il l'est moins de distinguer les caractères qui la font belle. L'appréciation d'une valeur est elle-même justiciable d'appréciation. La seule mesure que nous possédions en ces matières tient à la finesse d'une culture qui suppose la perfection du goût. Rien ici n'est absolu, sauf le relatif": sono parole di Igor Stravinskij tratte da una delle lezioni di poetica musicale che Harvard University l'invitò a tenere nel corso dell'anno accademico 1939-40, inaugurando così un soggiorno americano che le circostanze resero comprensibilmente definitivo. 
Parole siffatte, come campo di applicazione, non hanno solo l'arte che le cagionò nel pensiero del compositore. Sono pertinenti forse per l'intera sfera dell'esperienza umana del mondo e nel mondo. A maggiore ragione, concernono quel suo emisfero che è uso chiamare umanistico (come se, fuori di tale area, l'ingegno e lo sguardo umani non fossero sempre in gioco, con tutto ciò che la loro ineludibile presenza comporta, nella negazione d'ogni assoluto e nel faticoso e sempre vigile esercizio del relativo). 
In ogni ambito dell'operare umano, la bellezza conta sistematicamente. Conta anche nelle procedure e negli esiti sperimentali di discipline che, umanistiche o no, si pretendono rigorose. Lo sono, solo se consapevoli d'essere definite da un gusto nutrito da una fine cultura, cioè da ciò che, in assoluto, ha valore solo in quanto è relativo. Gusto assoluto, cultura assoluta non si danno e chi sostenesse il contrario incorrerebbe in una contraddizione in termini.
Negli anni delle lezioni americane del compositore russo, la temperie ispirava una letizia molto contenuta. L'odierna ne ispira una maggiore? Se sì, maggiore forse solo di poco. Il sereno distacco che suggeriscono pensieri come i suoi è quindi ancora necessario e Apollonio, per le occasioni festose che si avvicinano, augura di goderne a chi ancora gli concede la sua solidale attenzione.

28 novembre 2018

La più bella del mondo

Prima dei contenuti, c'è il packaging, pardon! la confezione e la presentazione del prodotto, che specifica il target, pardon! la fascia dei potenziali acquirenti, la clientela cui il prodotto è indirizzato, qualificandosi come prodotto e qualificando tale clientela, correlativamente. 
Il nome del prodotto (La più bella del mondo) ha grande rilievo, in proposito. Per un opportuno confronto e un chiarimento si rimanda al videoclip, pardon! alla breve registrazione audiovisiva posta in fondo a questo post, pardon! messaggio o, come usa scrivere Apollonio, frustolo. 
La coincidenza non è certo sfuggita al settore marketing, pardon! al settore di scelta e di programmazione delle strategie commerciali dell'azienda produttrice. È anzi possibile essa l'abbia perseguita, per il suo carattere altamente sentimentale. Tale carattere è nella temperie molto gradito a un'ampia platea di fruitrici e di fruitori di prodotti simili. Costoro sono in effetti alla ricerca di un'identificazione morale, soddisfatta e realizzata già nel momento di un acquisto che prelude alla (solo eventuale) lettura. In tale consorzio, si tratta del resto di un luogo comune, il cui specifico contenuto sfugge a qualsiasi ragionevole verifica e si può dire consista, in realtà, nella semplice enunciazione, con valore euforico e di compattamento del gruppo delle e dei credenti, spesso al proposito ideologicamente zelanti.
Ha una decisa caratterizzazione sentimentale e conativa o di conferma anche il pay off, pardon! la parte finale del messaggio convogliato (Perché amare la lingua italiana). Oltre a insistere sopra un tema nazionale, al momento molto caldo e, da diverse angolature, anche politiche, presente nei media, pardon! nei mezzi di comunicazione e di informazione, dal punto di vista pratico essa è destinata a consentire una più facile memorizzazione del prodotto designato e a inserirlo, senza equivoci, in uno specifico (sotto)settore merceologico. 
Insomma, un ottimo lavoro.


18 novembre 2018

Sommessi commenti sul Moderno (25): Liquido, come cosa? Flaubert, a chiarimento di Bauman


Gustave Flaubert - è noto - non fu tenero con il suo tempo né, in genere, con l'umanità. Del resto, fra i tratti caratteristici della modernità c'è il paradosso d'essere considerata spregevole in essenza dai suoi massimi campioni. Come se, a differenza di quella di altre epoche meno contraddittorie, l'intelligenza moderna, dopo i suoi primi gloriosi fasti (Galileo, Diderot e pochi altri), non abbia mai potuto esercitarsi nel suo valore meta-storico di sostantivo senza spregiare l'attributo con cui la storia, invidiosa e quasi a rivalersene, le ha imposto di accompagnarsi da tre, quattro secoli. 
A Flaubert l'intelligenza del suo secolo e degli esseri umani non faceva certo difetto e lo scrittore fu ed è appunto esemplare, come moderno. In una lettera all'amico Louis Bouilhet datata 14 novembre 1850 e spedita da Costantinopoli (una delle tappe del suo celebre viaggio in Oriente), egli scrisse: "De temps à autre, dans les villes, j'ouvre un journal. Il me semble que nous allons rondement. Nous dansons non pas sur un volcan, mais sur la planche d'une latrine qui m'a l'air passablement pourrie. La société prochainement ira se noyer dans la merde de dix-neuf siècles, et l'on gueulera raide".  
Or sono diversi decenni, queste parole passarono sotto gli occhi di Apollonio, cui è capitato di vivere più di un secolo dopo la loro lucida previsione. Da quel momento, gli fu chiara la ragione del persistente fetore che offendeva e sempre più offende le sue narici (certamente non solo le sue) e che conta tra le moderne pene di un vivere che vanamente tenta d'essere inodore, se non profumato. 
Qualcuno, come per esempio Primo Levi, l'ha messo in chiaro ma la piena consapevolezza è ben lungi dall'essersi generalizzata (del resto, generalizzarsi forse non potrà mai): il putrido asse della latrina sul quale Flaubert vedeva già danzare il suo secolo si è frattanto rotto. E se l'epoca che è conseguentemente precipitata nella merda non vi è annegata, come lo scrittore francese preconizzava, forse per ottimismo, è solo perché, assuefattasi rapidamente, ha appreso a nuotare in tale habitat che, come qualche decennio fa ha acutamente osservato Zigmunt Bauman, offre a chi vi sguazza il vantaggio di diventare diarroicamente sempre più liquido.

17 novembre 2018

Intolleranze (10): La voce in maschera

Questo diario esiste da quasi tredici anni e, si pensi, si è appena alla decima dichiarazione di un'intolleranza. Apollonio osa farne vanto di temperanza, in tempi come questi e come gli appena attraversati. "Non si può sentire" vi è stata e vi è espressione comune tra i molti che si pretendono censori ed è formula che (a proposito di modalità) non si vorrebbe mai più e invece capita si debba frequentemente sentire.
Come, fuori degli esercizi canori e nel normale eloquio, capita di trovarsi spesso esposti a voci in maschera. Il fenomeno dilaga nel discorso pubblico (ivi compreso il didattico e lo scientifico - o il presunto tale). Dilaga anche, e forse più drammaticamente, nel discorso privato. 
Senza riguardo alle inclinazioni sessuali e alle determinazioni di genere, a una voce nasale ricorrono oggi in percentuali alte ed equamente distribuite donne e uomini. Mirano ad avere un'attitudine vocale al tempo stesso neutra e abbigliata. Non la propria, dunque, ma una, letteralmente, non-propria o impropria. Anni fa, Apollonio ipotizzò che la ragione del fenomeno fosse da individuare nella ricerca di un camuffamento, anzitutto riflessivo: "Non è la mia voce", dice, complice, l'ipocrita orecchio e lascia passare dosi eventualmente maggiori di falsità, autorizzando un tasso più alto di spudoratezza. 
Chi dice di proferire verità o motti sensati e lo fa con una voce in maschera è così da tenere in sospetto. La parola autentica viaggia difficilmente sopra una voce falsa o, per dirla in maniera diversa, la falsità di una voce percola in ciò che essa articola e lo intride irrimediabilmente.

16 ottobre 2018

Principio di odonomastica etica


Tra le città che onorano il ricordo di esseri umani attribuendone i nomi alle loro vie, c'è da dubitare ne esista una che non abbia così reso omaggio a un buon numero di malfattori e di conclamati assassini (e, va aggiunto a scanso di equivoci, non per errore).

11 ottobre 2018

Dell'intenzione (2)




Sanno le pietre d'inciampo, anche solo accidentali, quanto le buone intenzioni, proclamandosi le migliori, siano sempre pronte ad agire da pessime.

26 settembre 2018

Dell'intenzione (1)



Tenere a freno le proprie buone intenzioni, ove ci si riuscisse, sarebbe forse la migliore tra le intenzioni umane (c'è del resto da dubitare altre ne esistano, grazie al Cielo). 

23 settembre 2018

L'itteratura




La tinta sempre più gialla presa dalla narrativa italiana nell'ultimo trentennio orienta senza ombra di dubbio la sua diagnosi critica: è l'itteratura.

17 settembre 2018

Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (25): Caso mai arrida la fama




Caso mai, non postuma, arrida la fama (la postuma, come si sa, è senza rimedio), si è ancora in tempo per chiedersi in cosa s'è sbagliato. L'onda non è clemente e, quasi senza eccezioni, annega chi ha sollevato nel mare della stupidità: la propria, vanitosa, prima ancora che l'altrui, stucchevole. 

23 agosto 2018

Lingua loro (39): Assoluto

"Un genio assoluto", "un capolavoro assoluto", oltre che, naturalmente, "un campione assoluto", "una meraviglia assoluta" o, d'altro lato, "uno schifo assoluto", "un'infamia assoluta", fino a giungere all'ormai spesso menzionato "male assoluto", cui tuttavia manca nella chiacchiera corrente (a qualsiasi livello tale chiacchiera si agiti) il contraltare del "bene assoluto". La rara evocazione di quest'ultimo resta fin qui riservata a chierici autorizzati e anche questa asimmetria dirà qualcosa dello stato presente del mondo, che, di assoluto, percepisce appunto solo il male.
I due lettori di Apollonio non possono non avere già fatto caso, e da tempo, a un uso siffatto di assoluto: ridicolo, peraltro, nei casi in cui è riferito a cose e a persone, a relativizzare le quali le misure esistono e, tra le misure, bastano le modeste. Ogni epoca ha gli assoluti che crede tali, è il facile commento, e ciò che crede assoluto dice del metro di giudizio di cui dispone. Il sorriso non esime tuttavia da qualche riflessione. 
Il dilagare di assoluto è in effetti una delle molte manifestazioni dell'enfasi esibita oggi dalla comunicazione e dall'espressione (non solo dalle pubbliche, ovviamente, ammesso che una distinzione dalle private abbia ancora senso). A sua volta l'enfasi non è che un sintomo, di nuovo tra i molti, del carattere totalitario che, nella vicenda storica della civiltà globale, comunicazione ed espressione hanno preso ormai da un secolo. 
La prassi linguistica totalitaria fu sperimentata in forme tutto sommato grossolane (anche se efficienti) dai regimi politici qualificabili al modo medesimo, nel cuore del Novecento. Fu teorizzata frattanto, nelle sue direttive di massima, dai suoi ben armati propugnatori. Fu contemporaneamente stigmatizzata da qualche critico disarmato, per venire infine universalmente adottata, in maniere sofisticate ma sempre riconoscibili, dal discorso pubblico, al di là delle superficiali differenze ideologiche, peraltro progressivamente dileguatesi, come si sa. 
Da lì, la prassi linguistica totalitaria è percolata dappertutto e non c'è angolo dell'espressione e della comunicazione d'oggidì che non ne sia affetto. Pubblicizzando il privato (e privatizzando il pubblico), le reti sociali hanno agito in proposito come potenti vettori epidemici. Tutto ciò che oggi vien detto (si trattasse anche dell'affermazione che tutto è relativo) è detto in modo da poter essere accompagnato dalla qualificazione di assoluto: 'libero da ogni limite; non determinato da rapporti, da relazioni; incondizionato'.
Un dì ormai molto lontano, non sarebbe forse stato il caso di aggiungere che, fuori della vacua questione dell'assolutezza ontologica del relativo o dell'assoluto, questione che abbaglia da sempre la scarsa intelligenza umana, almeno come metodo e appunto per sopperire, nei limiti del possibile, alla propria scarsità, quella intelligenza s'era indirizzata a considerare i rapporti, le relazioni d'ogni cosa cadesse nel campo della sua limitata esperienza. E ciò non solo nella prospettiva teoretica, ma, con modestia ancora maggiore e correlato maggiore pericolo, anche in quella etica, dove fu viva la pratica di una critica e di una lotta a ogni assolutismo (primo fra tutti, il politico).
Oggi, l'assolutismo è di massa. Per amore di paradosso e per giocare a contraddirsi, lo si direbbe assoluto. Assoluta pare inoltre l'ansiosa attesa di una sua affermazione, manifestata e ribadita, come si diceva, sotto il segno di qualsivoglia ideologia e di qualsivoglia inclinazione morale, dai mille e mille assoluto che, come continui oltraggi all'atteggiamento critico del pensiero e delle correlate prassi, capita di leggere e di ascoltare. 
Questo frustolo non ha ovviamente provato a farne una confutazione: confutare l'assoluto, con chi lo predica, più che impossibile, è inutile. Li ha messi in relazione, nel tentativo di comprenderli, con le attitudini di una fase storica e culturale che, come un giorno è cominciata, un giorno finirà, andando eventualmente verso il peggio. E ciò piaccia o non piaccia ai cultori dell'assoluto: totalitari senza nemmeno saperlo, che non è un modo assoluto di esserlo e, ragionevolmente, nemmeno dei migliori.

22 agosto 2018

Lingua nostra (11): Irredimibile


"Guardò; dinnanzi a lui sotto la luce di cenere, il paesaggio sobbalzava, irredimibile."

[Nella foto, uno scorcio di un quartiere residenziale (in pieno centro urbano, abitato da piccola borghesia impiegatizia e ceti comparabili) della "Donnafugata" che, nell'anno corrente, è la "capitale italiana della cultura". Va quindi precisato che non si tratta di istallazioni artistiche per eventi correlati (come pure qualcuno potrebbe ritenere), ma di espressioni della cultura della popolazione indigena. La loro spontaneità le rende preziose per chi si interessa a tale cultura. Sarà utile sapere, all'osservatore dei relativi usi, che la campana per la raccolta del vetro non è colma: la composizione è di conseguenza frutto di libera scelta e non dettata da una pur ipotetica necessità. Non è colma del resto - e vale da conferma del costume locale - nemmeno quella ritratta nella foto sottostante e lontana solo un centinaio di metri dalla prima. Ambedue le istantanee sono state scattate nella prima serata del 22 agosto 2018.]


28 luglio 2018

Lingua loro (38): "Mister italiano"

"Mister italiano": l'illustre designato ne avrà certamente sorriso. Lo sa di spirito gioviale Apollonio, che, attardato, s'imbatte solo oggi nell'esilarante notizia che lo riguarda. 
Come nomignolo mediatico per indicare l'allievo di Arrigo Castellani, "Mister italiano" va tuttavia al di là d'ogni immaginazione, per chi conserva un ricordo anche distante di quel leggendario maestro. La cronaca è crudele con le sacre memorie, talvolta più della storia.
Quanto all'"invasione di termini aglo-americani", "Morbus anglicus" è il titolo di un memorabile intervento di Castellani del 1987. Egli vi esponeva ordinatamente indirizzi e preferenze che erano peraltro già celebri per via di suoi precedenti interventi pubblici in proposito, ma anche per tradizione orale, fuori della sua più stretta cerchia accademica. Avvicinandosi agli studi linguistici in anni in cui valeva ancora la pena di farlo (oltre a Castellani, non mancavano nell'ambiente personalità di rilievo), non c'era nessuno che non avesse sentito raccontare del suo favoloso guisco. Non sono da meno bitto, ginsi, briggio, bluffo, bumerango, bosso, buldogo, bunchero e tutti gli altri rimasti, ahinoi, solo immaginari.
È noto però (o almeno dovrebbe esserlo) che il mondo cambia al di là dell'immaginazione e "al di là" può naturalmente valere anche "al di sotto". Se non fosse così, se per altezza o per estensione il cambiamento del mondo fosse immaginabile, non sarebbe, a ben vedere, cambiamento autentico. E quel "mister" affibbiato oggi all'allievo di Castellani, in modo così inconsapevolmente feroce con la buonanima, è solo una delle tante "crepe nei muri" attraverso le quali s'intravede (ohibò!) il mistero.  


15 luglio 2018

Cronache dal demo di Colono (60): Il confine, oggi





Il confine, oggi: luogo comune di ciarle sfrontate cui, come tali, fa ovviamente difetto il senso del limite. Assennato tenersene alla larga.

4 luglio 2018

Bolle d'alea (25): Ancora Grossman


Un giorno Ivan Grigor'evič stava raccontando ad Alëša della spedizione di Tamerlano, e notò che Anna Sergeevna, smesso di cucire, lo ascoltava attentamente.
«Il vostro posto non è in un artel'» disse ridendo. «Oh» replicò lui «dove volete che vada? Le mie nozioni vengono da libri con le pagine strappate, senza il principio e la fine».
Alëša pensò che forse per questo Ivan Grigor'evič presentava le cose a modo suo, mentre gli insegnanti ricalcavano il manuale dal principio alla fine".


Tutto scorre... è il titolo dell'opera di Vasilij Grossman da cui, nella traduzione di Gigliola Venturi, Apollonio prende questo frammento senza principio né fine, che gli pare prezioso.

15 giugno 2018

Linguistica candida (48): Intelligenza della lingua

Il pensiero incosciente che si chiama lingua (forse solo per distinguerlo da quella sua falda superficiale e sottile che pretende d'essere cosciente e che da millenni è fatta oggetto d'ogni sorta di speculazione) è intelligente, per natura. 
A chi, per cultura, gli si consacra con passione, tocca provare a darne un'ipotetica riformulazione esplicita, la più semplice si possa e nelle forme della lingua medesima, cioè di quel medesimo pensiero, coltivando la speranza (che è forse solo un'illusione) di facilitarsene (e di facilitarne) qualche consapevolezza, senza istupidirlo troppo e irrimediabilmente. 
Insomma, la linguistica (e il vecchio Apollonio teme di averlo già scritto in questo diario, forse con altre parole: lo scuseranno i suoi due tolleranti lettori), la linguistica, si diceva, è solo lingua che si fa ipoteticamente, parzialmente, precariamente intelligente di se stessa.
È appena il caso di dire che invece la disciplina oggi detta linguistica, non rassegnandosi a subordinarsi all'intelligenza della lingua, ma pretendendo scioccamente d'esser lei più intelligente della lingua, ha intrapreso vie che, muovendosi in varie direzioni, sono tutte comunemente opposte al solo indirizzo di ricerca realistico e al correlato obbligo di paziente, modesta semplicità.
 

26 maggio 2018

Dell'incompetenza pubblica

Non c'è gazzetta (culturale) corrente, cartacea e no, che per programma o per accidente non finisca oggi per toccare ogni campo dello scibile. Apollonio è d'ignoranza sterminata. Scorre quelle pagine con curiosità e gli capita così di leggere di cose di cui sa poco o nulla. Lo fa con la grata felicità di chi apprende. Il sentimento è tuttavia sempre attraversato da un'inquietudine. Prova allora a spiegare perché ai suoi due lettori, ammesso siano rimasti in tal numero. Ne dubita. Caso mai, poco male: scrivere vale anzitutto a spiegare le cose a se stessi, gli suggerisce da sempre il suo alter ego, che non ha mai scritto un rigo che valesse ad altro.
Ebbene, anche nei momenti di euforia, Apollonio non si direbbe in grado di esprimere un giudizio ponderato e non dilettantesco sopra più di un paio di ben delimitati temi. Nelle sedi pubbliche di cui s'è detto, tali temi occhieggiano, si ponga, una dozzina di volte in un lustro. Non saranno tutte e dodici le volte, saranno dieci, saranno otto, in ogni caso, nella maggioranza dei casi, egli li vede trattati da gente sulla cui competenza a trattarli ha ragione di nutrire qualche dubbio. Lo stagno disciplinare dei due temi è piccolo e modesto: ci si starnazza in pochi. A farlo pubblicamente nelle sedi indicate, accade siano volatili ambigeneri che Apollonio conosce, di cui ha seguito, pur da lontano, voli e atterraggi. Ne conosce l'apertura alare. Sa quali sono i loro punti di forza. Sa quali sono quelli di debolezza.
Ecco detto allora il fondamento dell'inquietudine di Apollonio quando legge sulle gazzette (culturali) di cose di cui sa poco o nulla, desideroso di apprendere e grato di poterlo fare. Perché mai, gli sussurra perfida una voce interiore, non dovrebbe verificarsi in tali casi ciò che sa accadere dove è in grado di verificare? È possibile che gli incompetenti pubblici si addensino, come fanno, solo intorno ai due temi che egli conosce e pratica? 
A domande interiori siffatte, non trova risposta certa. Dubita del resto di essere abbastanza competente sul tema gigantesco della pubblica incompetenza da essere autorizzato a cercarla, una risposta.

13 maggio 2018

Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (24): Competere


Competere? Nobile a condizione lo si faccia per mero diporto. Diversamente, la competizione è agone d'ogni volgarità. Già il solo parteciparvi è degradante, ci si figuri il prevalervi.  

11 maggio 2018

Bolle d'alea (24): Genette


"Quant à moi, je souhaite modestement, comme Stendhal, être lu en 1930" (Gérard Genette, Bardadrac, Seuil, Paris 2006, p. 348, in chiusura della voce "Postérité").

29 aprile 2018

Specchio, specchio delle mie brame...

Nella lunga vicenda dell'umanità la temperie in atto sarebbe la prima ad avere, come intellettuali, persone mediamente più stupide della gente comune. L'avrebbe osservato un semi-silenzioso professore italiano di filosofia, morto pochi anni or sono. Così ha riferito tempo fa un giovane rumoroso, al contrario, e che si dice suo allievo.
Apollonio non è filosofo e sulla vicenda umana universale non si sente autorizzato a proferire motto. Quelle poche mezze ore che ha speso, da autodidatta, a farsi qualche idea speculativa sull'umanità pregressa e presente e, ancora più decisivamente, la sua esperienza (inclusa, se non preponderante, quella di se medesimo) lo spingono tuttavia a sospettare che un'affermazione tanto perentoria sia, ben che vada, l'effetto di un'illusione.
Un'epoca in cui sia stato lecito (o ragionevole) distinguere tra (attività) intellettuali e non, in funzione del relativo grado di stupidità, minore nel primo caso, maggiore nel secondo, Apollonio sospetta non sia mai esistita. 
Ciò non vuol dire naturalmente che la fola non abbia circolato e che non lo abbia fatto perniciosamente. È accaduto soprattutto da quando, come tipica faccetta dell'ideologia moderna, è comparsa gente che, qualificatasi come intellettuale, si è atteggiata a intrinsecamente intelligente. Da allora, è cresciuta a dismisura l'esigenza di nascondere, davanti al mondo, spudoratezza e volgarità di una simile pretesa. Tale gente ha così preso a raccontarsi come intelligente. E c'è stato chi, a forza di raccontarlo, ha finito per crederci e ha pensato di esserlo, intelligente.
Ma si ammetta pure, senza concederlo, che la sortita di quel professore abbia colto nel segno. Si tratterebbe di pensiero concepito da un intellettuale di un epoca in cui gli intellettuali sarebbero mediamente più stupidi della gente comune: quindi, quasi certamente di una stupidaggine. O di un lapsus, di una mal controllata ammissione riflessiva, di un modo di confessarsi stupido.
Pietas, da parte dell'allievo, sarebbe insomma stato continuare a tacerne. 

16 aprile 2018

A frusto a frusto (118)



La conseguenza più nefasta del sorgere di un problema, nella vita associata, è l'apparire di chi si vota a risolverlo. Di quel problema, finisce infatti per diventare regolarmente uno degli aspetti più ardui e cospicui.

6 aprile 2018

Da "Ciclo di rappresentazioni classiche" a "Festival del Teatro Greco"

"Ciclo di rappresentazioni classiche" è stata chiamata fino all'anno scorso un'importante manifestazione culturale promossa a cadenza un dì biennale e più recentemente annuale dall'ultracentenario Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa: 


Con l'anno presente, la denominazione, di sobria eleganza e di referenziale semplicità, sembra sia stata travolta dall'onda inarrestabile di un andazzo: 


Non si cambia un brand senza una ragione cogente. L'adeguamento a un uso corrivo sarà stato ritenuto tale da chi ha deciso l'abbandono del vecchio nome e l'adozione del nuovo. Si sa del resto che trivialità e "così fan tutti" sono ottimi segnali di richiamo per allocchi ambigeneri.
Nella nuova denominazione, s'è d'altra parte affidato al numerale ordinale il compito di millantare una continuità negata dal sostantivo: se si parla di "Festival", si tratta infatti del primo.
La furbesca combinazione suona allora a un orecchio avvertito come un piccolo sfregio portato alla filologia: la scienza rigorosa e arcana che rende salda la parola scritta, sancendone la migliore tradizione, e cui la manifestazione, quasi ne fosse un rito, ha implicitamente dovuto fin qui la sua esistenza. 

14 marzo 2018

L'impulso di scrivere

Anche a una persona per bene, oggi, può capitare di sentire l'impulso di scrivere e di farlo transitivamente, per dirla con Barthes.
Se non si tratta di disturbo grave, per farglielo passare, basta in genere mandarla in libreria, in una di quelle grandi e colorate, ma ormai va bene anche una piccola, perché, come si sa, non è la dimensione che conta e, grande o piccola, l'importante è il Klang
Se il disturbo persiste, efficace può rivelarsi la partecipazione a presentazioni di libri o (come farmaco più forte, da assumere con cautela) a festival o fiere cui libri e scrittura fanno da pretesto: l'esposizione diretta a scrittrici, scrittori, scienziate, scienziati, complessivamente, a intellettuali è di solito risolutiva.
Per i casi più resistenti e difficili, si può infine ricorrere all'iscrizione a uno o più corsi di scrittura (creativa).
Se, anche dopo tale misura, il soggetto continua a provare l'impulso di scrivere transitivamente, immagina di avere un suo libro in quelle librerie, sogna di avere parte attiva in un festival e già si vede docente in uno di quei corsi, si può con serenità concludere che l'impulso è solo banale sintomo di una malattia ben più grave.
Senza che ciò escluda il possesso di qualità (fascino maliardo, per esempio, e naturale predisposizione all'imbonimento), non si tratta in effetti di una persona per bene. Per tale morbo non c'è cura e guarirne è impossibile.

13 marzo 2018

A frusto a frusto (117)




Sarebbe un gran progresso se, dopo secoli di abbaglio, si cominciasse perlomeno a capire che non c'è progresso che non sia una mera faccenda di punto di vista.

16 febbraio 2018

Cronache dal demo di Colono (59): Con la cultura si mangia ma non è detto si beva

Oggi, nella medesima pagina di un quotidiano on line:



Cosa non si farebbe, ormai, per attrarre folle di sfaccendati e sfaccendate che scialacquino (ohibò!) qualcosa del proprio e, soprattutto, dell'altrui, col pretesto d'apparire cólti e cólte. Scialacquano ma non contribuiscono all'approvvigionamento idrico. Semmai, il contrario. 
Con la cultura si mangia - è l'incoercibile commento - ma non è detto si beva. 
Perché si beva, da cultura come l'intende chi ne proclama annualmente capitale una città, bisogna infatti si passi a cultura come l'intende il buon antropologo e, con lui, chi si occupa dell'espressione umana con metodo e passione. 
Non grazie alla cultura festaiola dei (finti) cólti, ma grazie a una cultura umana di base, vuoi con le sue pratiche tecniche (durevoli, probe e silenziose), vuoi con i suoi riti misteriosi ma non perciò meno tecnici, c'è forse speranza che, oltre a mangiare, si beva:



3 febbraio 2018

Assenze e presenze


Ci sono assenze che dolgono: quelle il cui contrario sarebbe stata occasione di gioia e di piacere. Ma non tutte le presenze sono tali. Ne segue che ci sono assenze che sono un regalo. Ancora più gradito a chi lo riceve e ne trae ragione di ilarità. Lo sa infatti dono inconsapevole e involontario e, come un lapsus, esito perversamente magnanimo d'una pusillanimità.

19 gennaio 2018

Vecchio e nuovo



Dentro il vecchio, un torpido bivacco di imbecilli. Dietro il nuovo, un chiassoso codazzo di imbecilli. Cercare, divagando, ciò che non è vecchio né nuovo resta forse il solo modo onesto di coltivare la propria idiozia. 

16 gennaio 2018

Sommessi commenti sul Moderno (25): Libertà di parola e parole in libertà

Libertà di parola e parole in libertà: per inscindibile intreccio, sono ambedue caratteri fondanti della modernità. Non ci può essere l'una senza le altre e non si può godere dell'una (ammesso si tratti di godimento), senza soffrire congiuntamente delle altre (ammesso si tratti di sofferenza).
Una questione di equilibrio, insomma. Una tra le tante che si assegnò come compito un'epoca plurisecolare che è difficile non giudicare ideologicamente e pericolosamente equilibrista. Oggi, rivelatosi un feticcio l'equilibrio, la si vede appunto sommersa dalle parole in libertà: sommersa, in altri termini, dalla libertà di parola liquefatta e pervenuta allo stato (fin qui comico, sebbene graveolente) di putrefazione.

6 gennaio 2018

Cronache dal demo di Colono (58): Affermare una lingua

Come era già chiaro a Dante, affermare una lingua (il pensiero di difenderla è perlomeno discutibile) significa dire e scrivere cose che, in quella lingua, vale la pena siano dette e scritte. E farlo senza stare troppo a pretendere che esse e la medesima lingua che affermano abbiano plauso, ascolto, lettura, durata. 
Sono queste faccende che riguardano il mondo e i suoi sempre complessi (se non irragionevoli) equilibri. Dal tempo della comparsa dell'umanità, di lingue, anche civilissime, tali equilibri ne hanno disperse miriadi. In realtà tutte civilissime, perché tutte umane. 
Gemere per la sorte della propria lingua, con il pretesto che la si ama, è allora solo un modo, malamente mascherato, di gemere sulla propria sorte personale. A farlo, soprattutto in pubblico, raramente si dà di sé un'immagine commendevole. 
Quale sia il valore di ciascuno (e, per la parte che ciascuno rappresenta, della sua lingua e della sua civiltà) si svela infatti crucialmente nel modo con cui osserva e attende, con operosa testimonianza, la fine eventuale. Senza lacrime, senza recriminare.