"S'il est aisé de définir la mélodie, il l'est moins de distinguer les caractères qui la font belle. L'appréciation d'une valeur est elle-même justiciable d'appréciation. La seule mesure que nous possédions en ces matières tient à la finesse d'une culture qui suppose la perfection du goût. Rien ici n'est absolu, sauf le relatif": sono parole di Igor Stravinskij tratte da una delle lezioni di poetica musicale che Harvard University l'invitò a tenere nel corso dell'anno accademico 1939-40, inaugurando così un soggiorno americano che le circostanze resero comprensibilmente definitivo.
Parole siffatte, come campo di applicazione, non hanno solo l'arte che le cagionò nel pensiero del compositore. Sono pertinenti forse per l'intera sfera dell'esperienza umana del mondo e nel mondo. A maggiore ragione, concernono quel suo emisfero che è uso chiamare umanistico (come se, fuori di tale area, l'ingegno e lo sguardo umani non fossero sempre in gioco, con tutto ciò che la loro ineludibile presenza comporta, nella negazione d'ogni assoluto e nel faticoso e sempre vigile esercizio del relativo).
In ogni ambito dell'operare umano, la bellezza conta sistematicamente. Conta anche nelle procedure e negli esiti sperimentali di discipline che, umanistiche o no, si pretendono rigorose. Lo sono, solo se consapevoli d'essere definite da un gusto nutrito da una fine cultura, cioè da ciò che, in assoluto, ha valore solo in quanto è relativo. Gusto assoluto, cultura assoluta non si danno e chi sostenesse il contrario incorrerebbe in una contraddizione in termini.
Negli anni delle lezioni americane del compositore russo, la temperie ispirava una letizia molto contenuta. L'odierna ne ispira una maggiore? Se sì, maggiore forse solo di poco. Il sereno distacco che suggeriscono pensieri come i suoi è quindi ancora necessario e Apollonio, per le occasioni festose che si avvicinano, augura di goderne a chi ancora gli concede la sua solidale attenzione.
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