23 giugno 2012

Vocabol'aria (6): "relativo/assoluto"

Uno sfiancato possibilismo relativista che, visto che la verità sarebbe inattingibile (come essa è appunto, in verità: vedono, i cinque lettori di Apollonio, il paradosso?), pretende, con attitudini da bullo, d'essere proceduralmente assoluto. E considerato che, ai suoi scopi, la cosa pare funzionare e il successo gli arride, s'è convinto (e prova a convincere tutti, con le buone o con le cattive) che ciascuno debba operare, comportarsi, esprimersi, limitarsi a intendere il mondo nel solo modo che la sua fantasia, modesta, oltre che molto relativa, riesce a concepire.

21 giugno 2012

Vocabol'aria (5): "fondamentalista"

Apollonio, il Primo maggio scorso, a spasso per il centro d'una città italiana: i negozi, tutti aperti. Pensa, tra lo sconsolato e il divertito: "Dopo le domeniche, adesso anche il Primo maggio. Non c'è più religione!". Ma si dà subito dello scemo. Il danaro: lo sterco del diavolo. Son tutti luoghi del suo culto straccione. E sono tutti aperti. La religione c'è. Eccome! Nella sua variante più fondamentalista (e, di conseguenza, disperata e violenta) mai apparsa sulla faccia della terra.

15 giugno 2012

Trucioli di critica linguistica (7): .ɩtalo

Nelle scritture d'oggi pare deperiscano alcuni segni di interpunzione e righe di turgido compianto per la presunta morte del punto e virgola apparvero tempo fa addirittura sulla prima pagina del più venduto quotidiano italiano. La penna era cardinalizia e qualcuno ne serberà ancora memoria. Non è questo però il caso del punto fermo né del punto esclamativo. Ambedue vivono una stagione di fasti. A questo frustolo farà da pretesto il primo; il secondo, augurabilmente, a un frustolo che verrà.
La fortunata stagione del punto fermo si deve naturalmente anche al dilagare sociale dei modi comunicativi della rete in cui queste parole stesse ricorrono. Qui, quasi tutto prende una cadenza per il ritmato ricorrere del punto che ora congiunge ora separa, dando tanto a ciò che congiunge quanto a ciò che separa il perentorio carattere asseverativo che esso, da sempre, porta con sé. Un punto dichiara non solo concluso ciò che lo precede ma anche nuovo ciò che lo segue e non c'è chi non veda quanto siano impegnative dichiarazioni del genere.
A ciò devono aver pensato coloro che hanno concepito la strategia comunicativa di una nuova compagnia italiana di trasporto ferroviario. Il suo treno si chiama talo (proprio così, con una ɩ minuscola priva del punto, con un punto a precedere invece il nome e la stilizzata figura di una lepre in corsa a seguirlo, come mostra l'immagine).
Coi disservizi, per definizione "italiani", con la flotta scalcinata e approssimativa, col personale mal rasato e peggio vestito del gestore nazionale, pubblico ed ex-monopolistico, dice con lampante chiarezza quel punto (e che tutto ciò sia vero o no, poco importa: importa che paia credibile), si è finalmente chiusa la partita. La si è chiusa di certo anche con italiano, marchio stucchevolmente prolisso e ormai dal destino periclitante. 
Dal punto in avanti, si apre la nuova f(r)ase di talo, nocciolo onomastico d'Italia e sola sua parte salvabile, grazie a un'amputazione, non solo metaforica, come si vedrà. A tale f(r)ase chi la apre non assegna appunto limite se non quello d'una rapida fuga (verso il futuro? verso l'utopia? verso il sogno?) di una gente, come la lepre, non certo bellicosa, per attitudine e tradizione, anzi paurosa e oggi forse molto impaurita. Come scelta, la fuga con talo è adesso appunto disponibile a chi popola la penisola ma da Napoli in su. 
Dalla rete ferroviaria nazionale e quindi anche da talo, estreme propaggini continentali e terre d'oltremare come le due grandi isole sono ovviamente e giustamente escluse: c'è bisogno di dirlo? Del resto, che l'Italia fosse stata fatta or sono più di centocinquanta anni è fola subito e tanto incuneatasi in menti settentrionali e bambine da aver potuto far nascere, per reazione e nelle medesime ingenue contrade, la bizzarra idea (per fortuna declinante) che si potesse o che solo valesse la pena disfarla.
Tornando a talo, però, e al modo con cui si è presentato sul mercato, per la sua sottigliezza e per la parsimonia dei mezzi espressivi con cui vi sono efficacemente evocati molti valori (forse non tutti commendevoli, come si è visto), la trovata comunicativa è meritevole di lode, a parere di Apollonio, ed egli ha solo da augurare agli Itali a venire (e quindi, spera, a un'ancora rimanente porzione di un se stesso viaggiante) che al profumato fumo corrisponda, nei fatti, un arrosto almeno accettabile.

Caratteri (7)

Sul limite d'una crudezza che a lui pare ironica e compassionevole, s'esprime, per allegria, per lucida disperazione, per la sedicente generosità con cui chi sa solo dare maschera malamente la sua volgarità. Sa bene che la nobiltà sta nel silenzio e nella parola, tanto più in questa parola, un'ineludibile dozzinalità. Ha la stupida pretesa di dire, forse solo a se stesso, come le cose si presentano allo scoperto e consapevole testimone d'un punto di vista. Per dirselo, ha bisogno di fare della sua espressione un "altro da sé", di modo che, una volta detta, anche di essa egli possa illudersi, errando nel mondo, di fare severa esperienza. Nuota ineluttabilmente nell'oceano dell'irrilevanza ma capita che il suo sommesso borbottio non piaccia. Capita addirittura che lo si voglia mettere a tacere e con successo, nel pubblico e nel privato. È comprensibile. Di più: doveroso, ove in gioco fosse il turbamento che, al suo ascolto, ne venisse ad anime che si vogliono tenere o vogliono tenersi imbelli e feroci, prima ancora che pericolosamente innocenti. Anche di ciò, scioccamente superbo, non gli manca la sorridente consapevolezza che gli viene (e non sa come e perché) dall'amore, ingenuo, foriero d'errori e, grazie al Cielo, necessariamente effimero, per questo quasi nulla.

Intolleranze (6): Assolutamente sì

Il commento d'un amabile lettore al frustolo che precede, con un sentimento di sorridente condivisione, richiama alla memoria d'Apollonio un pensiero che gli attraversa regolarmente il capo, da qualche tempo.
Si fosse aggirato oggi tra le "genti  / del bel paese, là dove 'l suona", attento osservatore e testimone veritiero della realtà linguistica della sua nazione, Dante avrebbe dovuto comporre diversamente il suo verso. Non più il semplice "sì" suona tra tali genti ma l'"assolutamente sì". 
L'idioma di chi si preoccupa delle "criticità" o trova "solare" una ragazza, di chi a Costanza si rivolge con un Costa e con un Fede a Federica, di chi, finalmente, s'introduce con quel "salve" che ad Apollonio fa desiderare d'essere piuttosto privato (e per sempre) dello sbilenco saluto ha infatti smesso d'essere il volgare del  ed è divenuto il volgare dell'"assolutamente sì".
Intollerabile? Assolutamente sì.

[E, pensiero da linguista diacronico paradosso, caso mai l'innovazione perdurasse e finisse veramente per stabilizzarsi nel sistema, che diavolo d'esito avrà dato tra qualche secolo? Tra qualche secolo? Santo cielo, sulle sorti dell'idioma in questione, come si vede, Apollonio non riesce a trattenere l'empito del suo irragionevole ottimismo. Ne chiede venia.]

4 giugno 2012

A frusto a frusto (22)




Il volgare del (e val la pena di dire l'italiano?) è lingua viva perché è lingua della vita, cioè del lusso e dell'obbligo dell'umana nobiltà.

A frusto a frusto (21)




Un lusso e un obbligo, la vita, ricevuti senza richiesta né merito. Come l'umana nobiltà.

A frusto a frusto (20)



Manifestazione dell'umana finitezza, il tempo. Come lo spazio. Ambedue si danno all'esperienza solo in relazione con la loro narrazione, anzitutto interiore. Così, per via dell'espressione e come suoi specifici effetti, intrecciandosi, l'uno diventa storia, l'altro, viaggio. E Ulisse, portando la sua pena continua, attinge la sua gioia puntuale.