31 dicembre 2015

A frusto a frusto (102)


Imporre a una gioia di implodere non somiglia a guastarla con un esercizio spirituale di ipocrisia?

30 dicembre 2015

Come cambiano le lingue (15): "Criticità", dal biasimo alla consacrazione


Giusto dieci anni sono serviti a criticità per passare dall'ironico biasimo ("esecranda parolina") che gli riservava un acuto osservatore dei costumi espressivi nazionali, in una rubrica giornalistica (era il gennaio 2006), alla consacrazione che ne decreta in questi giorni il pulpito di una delle più prestigiose istituzioni culturali nazionali. 
Succede peraltro in una pagina dedicata a faccende di didattica grammaticale: "In questo Speciale, numerosi linguisti [...] affrontano di petto la tradizione grammaticale scolastica e ne segnalano limiti e criticità". Insomma, un autentico trionfo, per criticità che, parola di professori, è parola da professori (il genere, se lo accomodi ciascuno o ciascuna come gli o le aggrada).
Con ilare stupore, ora è quasi un lustro, Apollonio aveva d'altra parte sentito criticità spesseggiare proprio sulle labbra di gente professionalmente prossima a coloro che ne sanciscono l'attuale successo. Hanno tempo da perdere i suoi due lettori? Trovano qui quel vecchio frustolo.
Morale: quanto alle porte degli Inferi umani (dei trascendenti, difficile dire alcunché), non praevalebunt è affermazione velleitaria, se socialmente intesa: esse prevalgono infallibilmente. E, d'altra parte, unicuique suum: criticità è di chi, proferendola, se ne fa rappresentare. 
Al punto in cui si è, c'è allora spazio solo per le testimonianze. E, con il sorriso che meritano simili futilità ma a futura memoria, l'irriducibile Apollonio lo ribadisce. Per lui, che non è un collaborazionista, criticità fu e resta "lingua loro".

28 dicembre 2015

Sommessi commenti sul Moderno (21): Ancora sull'università

"Università e capitalismo avanzato sono fondamentalmente incompatibili": è la conclusione di un intervento giornalistico di Terry Eagleton, dal titolo The death of universities che, stagionato di un lustro, cade per caso in questi giorni festivi sotto gli occhi di Apollonio. 
La radicale riduzione delle risorse, osserva l'importante intellettuale inglese, comporta un inarrestabile declino degli studi umanistici nel contesto universitario odierno e, a suo parere, senza studi umanistici non c'è università. Quella che è rimasta "has become a servant of the status quo", recita del resto il catenaccio dell'articolo, ragionevolmente redazionale.
Simili accenti parlano al vecchio cuore di Apollonio. Non è più giovane di quello di Apollonio, del resto, il cuore di Eagleton: ciò che egli scriveva cinque anni fa - con l'aria di prodursi in un'estrema testimonianza - lo dice anche più chiaramente della sua biografia
Col cuore, bisogna però che ci si sforzi di fare funzionare anche la testa, almeno un po', e che ci si chieda allora a mente fredda se un'analisi del genere indirizzi adeguatamente a capire gli esiti odierni della vicenda secolare dell'università. Perché, è vero, qualcosa è successo ma da tempo. Il decesso non è di questi ultimi anni né se ne può fare carico a una temperie che, ben che vada, è bottegaia e non è certo capace di gesti tanto impegnativi, come sarebbe un assassinio. Si accontenta, al massimo, di maramaldeggiare e di infierire sopra un cadavere. Per chi non la conoscesse già, qui una recente sortita in proposito di Apollonio.
Certo, quando ciò che Eagleaton definisce capitalismo avanzato non era ancora l'universale involucro socio-economico dentro al quale il Moderno procede adesso rapido verso la sua completa putrefazione, l'università (o il suo fantasma) sembrava vivere. E vivere anche qualche fasto. Con essa, persino gli studi umanistici.
Ci si pensi un momento, però. Prima di questa fase, modelli socio-economici concorrenti avevano retto per tutto il cosiddetto secolo breve a quella competizione verso il peggio in cui il capitalismo è appunto risultato selettivamente vincente, perché evidentemente il più adeguato. Sotto quei modelli, verso quali destini sembrava già avviata l'università? Verso destini diversi da quelli che si sono poi realizzati? Ad Apollonio non pare.
L'attentato alla libertà dell'università e alla libertà dei suoi peraltro modesti chierici, anzi, vi aveva già raggiunto livelli piuttosto alti. E se esso non si metteva in atto, come si fa oggi rigorosamente e con gran successo, in nome delle regole dell'economia di mercato, divenute sacre ovunque e tenute per massimamente morali, lo si faceva invocando altri princìpi, sempre sacri, ovviamente, e orientati al bene di sostanze trascendenti. 
Lo testimonia esemplarmente un caso che in questi ultimi anni sta ancora facendo tanto rumore, ma per ragioni diverse: la vicenda di Martin Heidegger. Prima che filosofo, Heidegger fu appunto e specificamente professore d'università. Di quella nazione, la tedesca, che vantava nel campo indiscussa qualità e grande tradizione, avendo albergato il nocciolo generatore dell'università del Moderno. 
Nel pensiero e nel modo di porsi di Heidegger, comunque li si inquadri, il cedimento dei valori dell'autonomia accademica a valori eteronomi, cedimento opportunamente ideologizzato, è lampante. Lo diventa ancora di più se si compara la sua figura, proprio nella prospettiva squisitamente accademica, con quella di Edmund Husserl, di cui come cattedratico Heidegger fu appunto il diretto successore. Erano proprio gli anni in cui, come istituzione della società liberale moderna dalla vita brevissima e accidentata, l'università periva. 
E sarebbe difficile, in proposito, dire non si tratti di decesso decretato anche nell'orto umanistico, la cui presenza, dell'università, non è mai stata, per se medesima, garanzia di salvamento, malgrado la riferita contraria opinione di Eagleton. 
Gente disposta alla servitù (anche a una servitù mascherata da potere, come poi ha continuato a essere per qualche decennio fino alle attuali miserie), se ne è sempre trovata e se ne trova ragionevolmente tra filologi e filosofi quanta se ne trova tra fisici e biologi. Né bisogna lasciarsi ingannare in proposito dal fatto che i primi riescono eventualmente a raccontarla (e a raccontarsela) meglio dei secondi.
Insomma, ad Apollonio né le specificità disciplinari né la prossimità temporale paiono tratti distintivi di una vicenda, quella dell'università, marcata da contraddizioni che solo la prima maturità del Moderno, piena di speranze che se ne sono andate ormai da più di due secoli, era stata in grado se non di appianare, almeno di fare risuonare armonicamente. Così appunto nelle pagine (a leggerle oggi, struggenti) di Wilhelm von Humboldt, l'ideatore tedesco dell'università, di un istituto morale, cioè, nato nel Moderno per contrastarne paradossalmente (e, oggi lo si sa, illusoriamente) l'intima tabe di una inarrestabile attrazione per il pensiero unico e per il totalitarismo che (era evidentemente chiaro sin dal principio) l'avrebbe condotto sulla via della putrefazione.

19 dicembre 2015

Bolle d'alea (20): Enzensberger

Si avvicinano quei giorni dell'anno nei quali è consueto e gradito indirizzare espressioni di augurio a chi segue questo diario con benevolenza.
Soccorre Apollonio, questa volta, Hans Magnus Enzensberger. Il suo Poesie per chi non legge poesia comparve nella traduzione di Ruth Leiser e Franco Fortini nel 1964. Pochi anni dopo, accompagnò Apollonio nella sua prima gioventù, grazie a fotocopie su carta chimica. 
Tra altri molto belli e pieni di senno, Poesie per chi non legge poesia contiene un componimento che s'intitola zweifel 'dubbio' (l'iniziale è minuscola, come espressamente tutto il resto, nel tedesco di quel libro).
Allontanandosi dalla traduzione menzionata (invecchiando si diventa spudorati), con intenti augurali Apollonio ne offre un breve passaggio a chi, egli spera, continuerà anche in futuro a fargli dono del suo tempo: 

domani è ancora un giorno (sul serio?)
di aprire gli occhi e di vedere: 
qualcosa di buono, di dire: ho avuto torto.
dolce giorno, in cui il va-da-sé
va da sé, più o meno!
che trionfo, cassandra,
assaporare un futuro che ti confuta!
qualcosa di nuovo che sia buono (il buono vecchio lo si conosce già...)

9 dicembre 2015

Sommessi commenti sul Moderno (20): L'ultimo professore d'università

Gli ultimi professori d'università in stato di libertà furono visti aggirarsi, individui solitari o in piccoli branchi, verso la fine del secondo decennio del secolo scorso, in selve accademiche europee. 
Per la disciplina che sta più a cuore ad Apollonio, si può per es. dare proprio un nome all'ultimo della specie: fu il francese Antoine Meillet. Nato nel 1866, lo si sa morto nel 1936 ma quando già da quasi un decennio egli era appunto scomparso accademicamente. 
Il mondo che aveva visto nascere la specie del professore d'università nei primi decenni dell'Ottocento era finito con la fine della prima grande carneficina europea e in dieci anni l'ambiente sociale era già divenuto incompatibile con la sopravvivenza della specie in libertà. 
La deriva di massa presa dall'illusione della modernità liberale sette-ottocentesca s'accompagnava di necessità con il fordismo, di là dell'Atlantico, e, di qua, con altre ben note varianti del totalitarismo socio-politico, ideologicamente aggressive e temporaneamente anche molto violente in modo aperto. Si trattava di un ecosistema a cui il professore d'università faceva molta fatica ad adattarsi e che ne metteva a repentaglio in ogni momento non tanto la vita quanto l'incolumità morale.
Nello stesso torno di tempo, mentre scompariva appunto il professore d'università allo stato brado, fu messo in atto un programma sociale di riproduzione della specie in cattività, prima su piccola scala poi via via su scala sempre maggiore. 
Si crearono allo scopo ambienti artificiali, che furono sempre definiti università o istituti di ricerca e di istruzione superiore. Questi simulavano l'antica selva accademica in cui appunto aveva un dì prosperato e scorrazzato liberamente la specie allo stato brado. La simulavano anche piuttosto credibilmente, vista una certa larghezza della spesa messa nella simulazione. 
Il professore d'università vi si poteva infatti muovere con un certo agio. Grande cura era posta inoltre nel fargli credere che si trattasse ancora di un ambiente naturale. Solo a questa condizione, si pensava, se ne potevano ottenere comportamenti compatibili con le spontanee e ancora richieste prestazioni tipiche della sua indole: un'indole peraltro già ripercossa e quindi moralmente guastata da uno stato di cattività sostanziale. A lungo andare questo aveva cominciato infatti a produrre fenomeni di disamoramento prima del proprio stato, poi della propria natura, infine della vita. Donde una serie piuttosto nutrita di atti di aperto autolesionismo, principalmente morale.
Con il procedere degli anni e con il perfezionamento, intorno agli ultimi due decenni del Novecento, di quel totalitarismo utilitario del profitto che ha segnato l'inizio della piena putrefazione della modernità, l'idea di sostenere i costi di simili bioparchi accademici in cui fare sopravvivere, con il pretesto della formazione della gioventù, una specie dalle attitudini morali e comportamentali ormai incomprensibili non è più parsa praticabile alla società.
Con l'intento di rendere completamente domestica la specie o, che è lo stesso, di eliminarla radicalmente, tutti gli individui che la rappresentano (o pretendono di farlo: la lunga cattività ha infatti prodotto molte storture e mostruosità, nella specie) sono stati trasferiti, secondo il tipo, in stalle, porcili, pollai, ovili, gabbie, voliere e altri ambienti simili, angusti e costrittivi. 
Si sono tuttavia sempre fregiati tali ambienti del nome di università o di istituto di ricerca e di istruzione superiore, attrezzandoli alla bisogna, anche allo scopo di assicurare a coloro che vi sono rinchiusi la permanente illusione di continuare a essere appunto professori di università (così infatti tra loro ancora si appellano e vengono socialmente appellati). 
In tali contesti e con grande spreco mistificatorio di valutazioni e di giudizi di merito e di eccellenza, le ormai pallide figure vengono continuamente vessate con l'adempimento di procedure insensate e, d'altra parte, sollecitate a una produttività e a una diligenza di ricerca e di insegnamento che o sono sostanzialmente onanistiche o hanno esiti che sono immediatamente sottratti al loro controllo e trasferiti, per lo sfruttamento di norma economico, in settori sociali diversi, meglio governati appunto secondo l'imperante ideologia totalitaria del profitto.
Il destino della specie del professore d'università pare dunque e ormai da gran tempo segnato né si può sperare che esso possa essere mutato dai pochi esemplari che, pur sapendo dell'inutilità del gesto, si sono sottratti al trasferimento, rifugiandosi in ambienti diversi ma non necessariamente meno ostili alle loro naturali pratiche di vita libera, o, pur ridotti nelle stalle, nei porcili, nei pollai, negli ovili, nelle gabbie, nelle voliere, vi si atteggiano ridicolmente e vanamente secondo gli ormai scoloriti ricordi dei modi di un'antica e selvatica libertà.

3 dicembre 2015

Linguistica candida (33): Linguistiche


C'è da tempo ed è corrente, sotto molteplici fattispecie solo in apparenza contrapposte, una linguistica che ragiona superba sulla lingua. 
Per rari e preziosi episodi, c'è d'altra parte una linguistica che modesta ragiona con la lingua.
La seconda è tanto diversa dalla prima da non potere nemmeno esser detta migliore. Incomparabile, piuttosto. 

1 dicembre 2015

Linguistica candida (32): Significato e significante [Per i dieci anni di questo diario]

Significato è ciò che, senza significante, non sarebbe significato. Significante, ciò che, senza significato, non sarebbe significante (o, se si preferisce, sarebbe insignificante).
La ratio di una scelta che non fu solo terminologica ma anche congiuntamente sperimentale e speculativa risiede in un rapporto reso tangibile e linguisticamente concreto dalla coppia inscindibile di due forme nominali del verbo: signifié, signifiant
Così presentato (genialmente, vien fatto di dire, sfidando con tale espressione ammirativa il ridicolo della ridondanza), il rapporto viene fuori dall'intreccio di funzioni sintattiche (con significato, l'oggetto; con significante, il soggetto), di diatesi (con significato, il passivo; con significante, il non-passivo - o l'attivo, se si preferisce), di aspetto (con significato, il perfettivo; con significante, il non-perfettivo - o l'imperfettivo, se si preferisce). E funzioni sintattiche, diatesi e aspetto stanno nel nocciolo del sistema della lingua, dove appunto si genera per correlazione la differenza. Anche quella che, nella funzione segnica, permette di cogliere, ma senza che mai si separino e solo da due diverse prospettive, signifié e signifiant.

[Oggi questo diario compie dieci anni: ai suoi due lettori farà forse piacere leggere (o rileggere?) anche il frustolo saussuriano del suo esordio. Per festeggiare sommessamente la ricorrenza, soccorrono Apollonio, come si vede, le sue consuete debolezze di pensiero e di affetto e la futile urgenza di ricordare che Ferdinand de Saussure fu rigorosamente un linguista e non genericamente un filosofo, come da parecchi decenni crede e tende a far credere la maggioranza di coloro che lo menzionano. L'immagine - Ferdinand de Saussure, Bal costumé 1901, Lacombe et Arlaud, Genève, Archives Jacques et Philippe de Saussure 2013 - è tratta dalla copertina di Ferdinand de Saussure, Une vie en lettres, Diachronie dressée par Claudia Mejía Quijiano, Éditions Nouvelles Cécile Defaut, Nantes 2014.]