27 giugno 2015

Nomen, non me (12)

"Caso e miti"

Non una disciplina, uno scolio esornativamente posto, di norma, a margine di vicende effimere, sotto le penne più vispe divertente, altrimenti noioso perché, un tempo, estenuato da interminabili preliminari metodologici, oggi, messo su alla bell'e meglio e soprattutto sempre inabile a concludere.

[L'invenzione di un anagramma è giustappunto una scoperta.]


26 giugno 2015

Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (18): Il testardo




È da un po' che provare a capirci qualcosa è proprio passato di moda, se lo è mai veramente stato. Il testardo non aspetta che torni ad apparire di esserlo e, nella provvida calma e nel fausto silenzio, trova che la temperie contraria renda l'insistere ancora più spassoso.

17 giugno 2015

Lingua loro (1): Clandestini

Quasi dieci anni fa, su questo scombiccherato diario, s'inaugurava la serie Lingua loro, già con il suo secondo frustolo. 
Il frustolo era dedicato a clandestini. La parola era in uso, allora, generalmente. Negli anni successivi, essa è stata ripercossa e s'è socialmente provato a farne un ipocrita tabù. Non è stata domata, tuttavia. Come portata da un fiume carsico, adesso riappare infatti qui e là, da polle che ne producono chiazze e pozzanghere. 
Se si cercano esempi del Newspeak e del conseguente spirito che intride profondamente, molto più profondamente di quanto credano le anime belle, le coscienze e la vita del Moderno putrefatto, le ricorrenze di clandestini di allora e di oggi sono a disposizione. 
A disposizione di chi resta capace di vederle. 
Insieme con tutte quelle in cui, a tratti comicamente, a tratti tragicamente, sempre in modo ridicolo (che è del resto il proprio della riverita specie), nuovo vuol dire vecchio, con pace s'intende guerra, con gusto il suo contrario, schiavitù vale libertà, a realismo corrispondono le più scatenate fantasie e così via.
Per costanza (o magari solo per coerenza, nota virtù dei cretini), Apollonio non ha da togliere o da aggiungere una virgola a quel frustolo. Lo rimette in circolo. Del resto, è ragionevolmente certo che dei suoi due lettori di adesso, non uno lo fosse dieci anni fa. Rischia dunque di suonare, per loro, come una fresca novità. Orwellianamente, appunto e per non essere troppo in disaccordo con i tempi, una novità di dieci anni fa. Eccolo.  

16 giugno 2015

Illusioni italiane (1)

Chissà donde nasce l'illusione che nutrono gli Italiani (inutile precisare moderni, d'altri non ce n'è) d'essere simpatici, in quanto italiani, ai loro vicini e al mondo. Prima che un'Italia politica nascesse, non era così per gli abitanti dell'Italia come espressione geografica. Non è diventato così in séguito né mai lo diventerà. 
Oggetti di un'invidia comprensibile anche se francamente ingiustificata, tutto sono, gli Italiani, per i vicini e per il mondo, tranne che simpatici. Anche per via di questa loro strana lingua, un latino imbastardito ma ancora antico e luminoso. Una lingua che è una anche se sono tante; che è capace di astrazioni fulminanti e di oscure sottigliezze, di precisioni meccaniche e di vaghezze letterarie, nella chiarezza delle sue tante vocali; che sa essere breve e tagliente, pur se le sue parole sono spesso intollerabilmente lunghe e, se non ci sei nato dentro, rischi di non sapere mai bene dove va l'accento e, con l'accento, di mancare, in un simile trionfo di sillabe, la marcatezza della pertinenza: di mancare, in altre parole e a ben vedere, l'intima essenza dello stile.
Dell'illusione della simpatia non fu certo vittima, per es. e nel piccolo, Piero Capponi; più estesamente e secoli dopo, nemmeno Cavour, ma forse perché appunto ambedue non erano italiani. Come italiano, in tempi più recenti, che gli Italiani non siano simpatici, non solo a coloro cui guastano gli affari ma nemmeno a coloro con cui, gli affari, li concludono, fu acutamente consapevole Enrico Mattei, ma, evidentemente e tragicamente per lui e per l'Italia, non abbastanza.
Nella nazione bambina (o forse rimbambita) prevale in proposito, a tutti i livelli sociali, un'ingenuità infantile e piena di speranze e aspettative. La si direbbe appunto d'ascendenza spiritualmente garibaldina. Adatta, del resto, all'ipocrisia di una retorica vuota. 
Per questa ragione, quando le capita di entrare bruscamente in contatto con la realtà e di scoprire appunto che simpatica non è, a nessuno, tanto meno ai suoi vicini, la nazione bambina (o rimbambita) mette il broncio.

14 giugno 2015

Cronache dal demo di Colono (32): Europa e il toro






L'antico mito della liaison col toro avrebbe forse dovuto indurre qualche sospetto. Europa non sarà putacaso una bufala?

Trucioli di critica linguistica (19): L''io' di Enrico Berlinguer



"E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti...": un 'io' perentorio e adeguato all'occasione, al ruolo, alla personalità di chi lo enunciò, un uomo consapevole delle sue responsabilità e delle sue prerogative. Apollonio, che ha una certa età, ricorda l'impressione della grave circostanza in cui furono pronunciate tali parole, ora offerte in apertura di un testo comparso in rete e nel cui titolo si legge però  "...l'oratore che non diceva 'io'".
Forse "...che sapeva quando dire 'io'" sarebbe stato titolo (e giudizio) più appropriato. 

11 giugno 2015

Diletto e professione

Un Dilettante per professione è qualcuno che, come mestiere, fa il dilettante, che esercita la professione di dilettante e che, di conseguenza, si configura socialmente come uno del mestiere. Non come un dilettante per hobby e a tempo perso, ma come un dilettante professionista, un dilettante professionale. Insomma, uno di quelli che, avendo una professione, la professione di dilettante, prima o poi chiederanno si istituisca un opportuno albo professionale: l'albo professionale dei dilettanti, con un esame di stato d'accesso. L'hanno creato - e da un po' - per gli psicologi. Manca ancora per i filosofi (ma Apollonio scommetterebbe che qualcuno ci sta già lavorando). Si è dunque a pochi passi. A due passi dalla rituale targa sul portone: Dott. Filonio Strozzapolli. Dilettante. Riceve tutti i giorni, tranne sabato e festivi, ore 9-13.
Fuori di celia e con un sorriso di simpatia rivolto a un caro sodale che, con un libro che porta proprio quel titolo, è sceso in campo a combattere lo stucchevole mito dello specialismo e delle competenze, spiacevole ad Apollonio quanto a lui, c'è forse da chiedersi se, comunque si declini il nome, il guasto non sia già tutto nell'attributo: per professione. E nel sottinteso programma (con un retrogusto da Newspeak) di fare di un otium la sua negazione: un negotium. C'è da chiedersi, poi, se un Professionista per diletto non sia, al punto in cui stanno le cose, sogno migliore. E ancora, per metterla in quadro (come certo piace al menzionato sodale), se non valga la pena di configurare anche le possibilità di un Non-dilettante per professione e di un Non-professionista per diletto.
O forse e per concludere, visto che, in ogni caso, fuori del privato e nel pubblico, di sognare e di utopia si tratta, di stare all'utopica chiarezza dell'opposizione semplice. E di difenderla dagli inquinamenti. La chiarezza dell'antico otium, marcato, e del negotium, non-marcato, sua altrettanto antica negazione: dilettanti per diletto, insomma, e professionisti per professione. E Apollonio (che è un dilettante per diletto e un ottimista per difetto, come sanno i suoi due lettori) sospetta che, nuovamente, il mondo prepari proprio questo.

Metamorfosi dello Struzzo

La lingua cambia, si sa. Il mondo cambia però più rapidamente della lingua. Capita così che si trovino a fregiarsi dello stesso nome cose molto diverse dalle prime cui quel nome si attagliò. Ancor meglio che con i nomi comuni, il fenomeno si coglie con i propri e con le antonomasie. Un lampante esempio si trova nell'illustrazione di questo frustolo. Uno Struzzo che scrive "complimentoni" non può che essere diventato un tacchino.

4 giugno 2015

Come cambiano le lingue (13): Metaplasmo

Arbor, sì, proprio lei, la gentile e ancora trasparente parola latina, era un nome di genere femminile. Tale l'hanno conservata solo un paio di varietà derivate: figlie fedeli, una laterale e una isolata, peraltro, a voler credere alle norme di quel professore, Matteo Bartoli, che capitò insegnasse la glottologia ad Antonio Gramsci. Le altre, degeneri, nel momento critico praticate a quanto pare da ignorantoni, ne hanno fatto un maschile, come si sa. 
Adesso, celata agli occhi dei più la magagna, ne fanno sfoggio e passano per correttissime. E ci fosse uno dei deploratori, dei censori, degli indignati che glielo rinfacci: "Arbor era femminile. Era così carina. Cosa ne avete fatto, razza di malnati e parlatori di lingue da asinacci? Com'è che non ne provate vergogna?". Solo a qualche antico poeta il gusto di ripescare il genere perduto, per i suoi chiari fini: "ch'albor altera incrina dolce vento", scrive Giacomo da Lentini, il Notaro.
Tra i parlanti del vicus in cui l'immagine che illustra questo frustolo è stata colta, nella funzione di segnaletica stradale che anticipa un'interruzione, Viale Lazio è evidentemente femminile. Forse per semplice fantasia. Forse perché è una via: una via che si chiama appunto Vialelazio, espressione concepita proprio così, tutt'intera, come odonimo: Apollonio può darne testimonianza.  
Certo è che se all'amministrazione di quel vicus avessero avuto la pedante idea di affermarne il maschile, per interposto participio passato predicativo, insomma, se, Viale Lazio, l'avessero detto chiuso, tutti, ma proprio tutti nel vicus avrebbero pensato a un errore, a una spiritosaggine o, appunto, a una licenza poetica. E si sa: nella lingua, le norme reggono fin quando la comunità le sente veramente come tali. Se l'adesione cessa e la lingua s'apre appunto la sua via e, accelerando, passa il ponte, che nel caso specifico è stato detto metaplasmo, ai grammar Nazi, come ai nazisti dell'Illinois di un celebre film americano, tocca solo di finire comicamente a mollo nello stagno.

[Il resto, di grazia meravigliosa: "Sì alta amanza à pres’a lo me’ core, | ch’i’ mi disfido de lo compimento: | che in aguila gruera ò messo amore | ben est’orgoglio, ma no falimento, | ch’Amor l’encalza e spera aulente frore, | ch’albor altera incrina dolce vento, | e lo diamante rompe a tutte l’ore | de lacreme lo molle sentimento. | Donqua, madonna, se lacrime e pianto | de lo diamante frange le durezze, | vostre altezze poria isbasare | lo meo penar amoroso ch’è tanto, | umilïare le vostre durezze, | foco d’amor in vui, donna, alumare.]

2 giugno 2015

Come cambiano le lingue (12): "Centrare"

"La vedete voi, Padre, Concetta ambasciatrice a Vienna o a Pietroburgo?" La testa di Padre Pirrone fu frastornata da questa domanda. "Ma che c'entra questo? Non capisco". 
Qui tratto, come esempio in forma finita, dal Gattopardo, entrarci, con il valore di 'avere attinenza con qualcosa', sta diventando centrare. Il mutamento si sta verificando in barba alla consolidata opposizione sistematica dell'italiano che vede le particelle, anche le cosiddette pleonastiche, precedere le forme verbali finite cui si appoggiano ma seguire le infinite: Me la squaglio, Me ne vado ma È meglio squagliarsela, andarseneCi ha messo del suo ma A metterci del proprio si rischia.
Parlando del mutamento in questione, Apollonio si serve di forme progressive e non perfettive solo perché resta ancora qualcuno, lui incluso, a fare (inutile) resistenza. 
Non verbatim (difficile conservare una tale memoria) ma in qualcosa che non differiva troppo da un "De Luca c'entra [o centra?] con... quanto posso centrare [o c'entrare?] io con..." si è prodotto iersera in TV un filosofo e intellettuale veneziano di primissimo piano, parlando di politica. E c'è da supporre l'abbia fatto non per compiacere ad arte, esprimendosi vulgariter, i suoi interlocutori e il suo pubblico ma per evidente e intima adesione alla vulgaritas.
A chi guarda all'espressione nel suo continuo farsi, che mai rinnega il sistema, la faccenda, per quanto minuscola, provvede qualche utile insegnamento. Viene alla luce, con essa, il ruolo che la più banale e corriva faccetta percettiva dell'espressione riesce a produrre sul mutamento lessicale, naturalmente con il concorso della consolidata presenza del vecchio e incolpevole centrare, 'fissare nel centro, colpire il centro' etc. In menti semplici, c'entro io, c'entri tu, c'entra lui, c'entriamo noi e così via hanno alla fine generato il mostro.
Di mutamento lessicale, al momento, si tratta. A coloro, filosofo incluso, per cui centrare vale già 'avere attinenza con qualcosa', c'è da supporre, non passa ancora per la testa di dire selasquagliare o cimettere. Forse già un po' senandare, teme Apollonio.
Con centrare, perciò, i giochi sembrano fatti. Con il nuovo valore, almeno nell'orale, centrare ha preso ormai dimora in un (presunto) piano nobile della lingua. E c'è un po' da stupirsi (non ancora da sistupire), perché stavolta l'innovazione, pochissimo sofisticata e, anzi, francamente elementare, deve essere nata proprio nei locali di servizio del palazzo della lingua, tra gente semplice, appunto, e, come si diceva un dì, illetterata. 
Non pare infatti nata nell'amministrazione della società, dove prospera quel demi-monde, fatto di persone pubbliche, a vario titolo da considerare come faccendieri e faccendiere della parola, di cui altre volte in questo diario si è detto, sul tema della lingua che cambia. 
A un certo momento, costoro si son fatti certamente araldi del centrare che avanza. Nulla di nuovo si produce infatti nella lingua che non passi tra chi cura con accanimento di conformarsi agli andazzi (come, forse malgrado le sue intenzioni, mostra d'essere quel filosofo veneziano). Ma stavolta ciò che è piaciuto loro e di cui stanno decretando il successo ha l'aria d'essersi inizialmente prodotto, come errore meritevole del blu, nell'espressione (eventualmente scritta) di un alunno di una scuola primaria o secondaria inferiore. E nemmeno del centro, vien fatto di dire. Della periferia urbana più marginale: "Centrare, io non centro mai".
Che i filologi del futuro (se la filologia avrà un futuro) ne conservino memoria.

1 giugno 2015

Vicus felicissimus




Che sfarzo, che lusso, che grandigia! Seduti dietro cospicue scrivanie dotate dell'indispensabile tecnologia, sono addirittura in quattro a premurarsi di dire ad Apollonio, grato e ammirato di tanta opulenza, che, come già sapeva, il libro che cerca c'è, in biblioteca. Non glielo si può però dare né in lettura né in prestito perché, da qualche tempo, ma certo ancora per poco, forse solo per qualche giorno, un ascensore non funziona.