17 novembre 2018

Intolleranze (10): La voce in maschera

Questo diario esiste da quasi tredici anni e, si pensi, si è appena alla decima dichiarazione di un'intolleranza. Apollonio osa farne vanto di temperanza, in tempi come questi e come gli appena attraversati. "Non si può sentire" vi è stata e vi è espressione comune tra i molti che si pretendono censori ed è formula che (a proposito di modalità) non si vorrebbe mai più e invece capita si debba frequentemente sentire.
Come, fuori degli esercizi canori e nel normale eloquio, capita di trovarsi spesso esposti a voci in maschera. Il fenomeno dilaga nel discorso pubblico (ivi compreso il didattico e lo scientifico - o il presunto tale). Dilaga anche, e forse più drammaticamente, nel discorso privato. 
Senza riguardo alle inclinazioni sessuali e alle determinazioni di genere, a una voce nasale ricorrono oggi in percentuali alte ed equamente distribuite donne e uomini. Mirano ad avere un'attitudine vocale al tempo stesso neutra e abbigliata. Non la propria, dunque, ma una, letteralmente, non-propria o impropria. Anni fa, Apollonio ipotizzò che la ragione del fenomeno fosse da individuare nella ricerca di un camuffamento, anzitutto riflessivo: "Non è la mia voce", dice, complice, l'ipocrita orecchio e lascia passare dosi eventualmente maggiori di falsità, autorizzando un tasso più alto di spudoratezza. 
Chi dice di proferire verità o motti sensati e lo fa con una voce in maschera è così da tenere in sospetto. La parola autentica viaggia difficilmente sopra una voce falsa o, per dirla in maniera diversa, la falsità di una voce percola in ciò che essa articola e lo intride irrimediabilmente.

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