Qualche giorno fa, Umberto Eco ha conversato con il giornalista Michele Fazioli a Lecco, in occasione del conferimento al famoso semiologo del premio Manzoni. L'incontro è stato mandato in onda il 26 ottobre scorso dalla Televisione della Svizzera italiana ed è adesso in rete, dove l'ha trovato Apollonio, che ne consiglia la visione ai suoi sparuti lettori (sotto, l'opportuno link). Esso smentisce tra l'altro chi afferma che al medium tocca la responsabilità del suo attuale stato. Come si sapeva (ma ci si è scordati), anche la televisione consente infatti di seguire una conversazione tra persone argute e ben educate, col disteso diletto con cui si seguirebbe una danza.
Con disteso diletto anche perché Eco (che diventando anziano si è privato della barba) appare ciò che in maniera finemente mascherata (dalla barba?) è sempre stato: un moderno sciamano, consolatore dell'angosciosa inquietudine culturale della (post)modernità, depositario di quegli strumenti eruditi e teorici (sconosciuti ai più) coi quali il caos e il disordine in cui pare di essere ormai irrimediabilmente piombati ritornano alle certezze di un ordine tolemaico e aristotelico.
«Non capisco più nulla di ciò che mi succede intorno, il mondo, la storia mi paiono solo una favola raccontata da un idiota, piena di strepito e di furore» pensa l'everyman cólto d'oggidì «ma c'è qualcuno che sa, capisce e mette in ordine: Umberto Eco» e può così tornare al suo tornio quotidiano e poi a casa, a dormire, senza che gli incubi della perdita del senso (di sé, del mondo) lo tormentino troppo.
In quest'opera fortunata e benemerita, la visione che Eco ha della letteratura (tanto come teorico, quanto come critico e come scrittore) gioca un ruolo fondamentale: Eco inquieta quel tanto e quel giusto che rende molto ben accolto il lieto fine che egli dispone. E il lieto fine da concettuale si volge sempre in morale.
Nella conversazione con Michele Fazioli, priva (merito anche del giornalista) della supponenza dell'attitudine divulgativa, la circostanza emerge con cristallina chiarezza. Ed è questo soprattutto il motivo per il quale Apollonio ne raccomanda la visione.
Acuto, Fazioli provoca Eco sul tema della relazione tra realtà, messaggio di autore misterioso e indefinibile, e finzione narrativa, messaggio di autore definibile (anche quando fosse ignoto) ed Eco di rimbalzo balla: “...io sostengo che una delle funzioni principali della narrativa è di fornirci un modello di verità... cioè, è vero che madame Bovary si è uccisa e non c'è santi che tengano, questo non cambierà mai [...] la narrativa ci offre un modello di verità incontestabile che è utile per muoversi nella vita”.
L'esempio è ben scelto, perché è certamente ciò che del fattaccio di Yonville-l'Abbaye direbbe oggi (e disse) il positivo Monsieur Homais. Proprio quel Monsieur Homais alla cui acutezza di spirito la povera suicida (ne avrà memoria il lettore) dovette la dettagliata ed esauriente indicazione della presenza dell'arsenico nel cafarnao.
Ciò che è vero è vero e i fatti sono i fatti, diamine, almeno nella pagina letteraria, e guai a pensare che la loro rilevanza risieda nella relazione narrativa che li fa divenire tali in funzione di un punto di vista, tanto (per dirla con nozioni e terminologia care a Eco) nell'intenzione dell'autore (di cui in verità poco importa), quanto in quella del testo.
Del resto, anche Renzo Tramaglino concorderebbe con Eco: “Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire [direbbe Eco “utili per muoversi nella vita”]. - Ho imparato, - diceva, - a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza [...] - E cent'altre cose”. Non concordava con Renzo, e forse non concorderebbe con Eco, la candida Lucia. E Apollonio, lo confessa, sta con lei: “Lucia, però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, - e io, - disse un giorno al suo moralista, - cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercare me. Quando non voleste dire, - aggiunse, soavemente, sorridendo, - che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi”.
Ma Eco era a Lecco per ritirare appunto il premio Manzoni, giustamente conferitogli.
Umberto Eco intervistato da Michele Fazioli.
Con disteso diletto anche perché Eco (che diventando anziano si è privato della barba) appare ciò che in maniera finemente mascherata (dalla barba?) è sempre stato: un moderno sciamano, consolatore dell'angosciosa inquietudine culturale della (post)modernità, depositario di quegli strumenti eruditi e teorici (sconosciuti ai più) coi quali il caos e il disordine in cui pare di essere ormai irrimediabilmente piombati ritornano alle certezze di un ordine tolemaico e aristotelico.
«Non capisco più nulla di ciò che mi succede intorno, il mondo, la storia mi paiono solo una favola raccontata da un idiota, piena di strepito e di furore» pensa l'everyman cólto d'oggidì «ma c'è qualcuno che sa, capisce e mette in ordine: Umberto Eco» e può così tornare al suo tornio quotidiano e poi a casa, a dormire, senza che gli incubi della perdita del senso (di sé, del mondo) lo tormentino troppo.
In quest'opera fortunata e benemerita, la visione che Eco ha della letteratura (tanto come teorico, quanto come critico e come scrittore) gioca un ruolo fondamentale: Eco inquieta quel tanto e quel giusto che rende molto ben accolto il lieto fine che egli dispone. E il lieto fine da concettuale si volge sempre in morale.
Nella conversazione con Michele Fazioli, priva (merito anche del giornalista) della supponenza dell'attitudine divulgativa, la circostanza emerge con cristallina chiarezza. Ed è questo soprattutto il motivo per il quale Apollonio ne raccomanda la visione.
Acuto, Fazioli provoca Eco sul tema della relazione tra realtà, messaggio di autore misterioso e indefinibile, e finzione narrativa, messaggio di autore definibile (anche quando fosse ignoto) ed Eco di rimbalzo balla: “...io sostengo che una delle funzioni principali della narrativa è di fornirci un modello di verità... cioè, è vero che madame Bovary si è uccisa e non c'è santi che tengano, questo non cambierà mai [...] la narrativa ci offre un modello di verità incontestabile che è utile per muoversi nella vita”.
L'esempio è ben scelto, perché è certamente ciò che del fattaccio di Yonville-l'Abbaye direbbe oggi (e disse) il positivo Monsieur Homais. Proprio quel Monsieur Homais alla cui acutezza di spirito la povera suicida (ne avrà memoria il lettore) dovette la dettagliata ed esauriente indicazione della presenza dell'arsenico nel cafarnao.
Ciò che è vero è vero e i fatti sono i fatti, diamine, almeno nella pagina letteraria, e guai a pensare che la loro rilevanza risieda nella relazione narrativa che li fa divenire tali in funzione di un punto di vista, tanto (per dirla con nozioni e terminologia care a Eco) nell'intenzione dell'autore (di cui in verità poco importa), quanto in quella del testo.
Del resto, anche Renzo Tramaglino concorderebbe con Eco: “Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire [direbbe Eco “utili per muoversi nella vita”]. - Ho imparato, - diceva, - a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza [...] - E cent'altre cose”. Non concordava con Renzo, e forse non concorderebbe con Eco, la candida Lucia. E Apollonio, lo confessa, sta con lei: “Lucia, però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, - e io, - disse un giorno al suo moralista, - cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercare me. Quando non voleste dire, - aggiunse, soavemente, sorridendo, - che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi”.
Ma Eco era a Lecco per ritirare appunto il premio Manzoni, giustamente conferitogli.
Umberto Eco intervistato da Michele Fazioli.