31 dicembre 2009

Schivare il genere

In italiano, schivare il genere, ove il genere è (divenuto) materia sensibile, non è facile: ma non è impossibile. Tentarci è dunque doveroso, se si ha a cuore (come si dovrebbe) la correttezza politica dell'espressione. Sotto si mostra, a prova e suggerimento per chi ne avesse eventuale interesse, come si sarebbe potuto farlo per una vicenda recente, qui presa a pretesto.
Il caso è esemplare, perché estremo per qualche suo non marginale aspetto. Solo a poche righe di distanza o, oralmente, nello stesso discorso, chi ne ha riferito è incappato infatti (e Apollonio è lungi dal credere che ciò sia accaduto per malcelata tartuferia) in buffe alternanze d'articolo (il o la?), in cangianti designazioni (gli amici o le amiche?) in accordi mutevoli (è stato interrogato o è stata interrogata dal giudice?). Sodali di Apollonio particolarmente vigili (e così si schiva il genere anche qui) l'avranno certo notato e ne serberanno vivida memoria. Comunque sia, ecco come si sarebbe potuto riassumere il complesso garbuglio, non attribuendo a un genere determinato nessuna delle personae coinvolte e quindi mantenendo al proposito immacolata e politicamente correttissima la propria prosa.
Ad uso di benpensanti plaudenti e voraci di scritti e spettacoli stomacanti, monta traboccante (così s'espresse grande e abruzzese ierofante) "vil canizza gazzettante". Strombazza che, simili a delinquenti e qual sicofanti, agenti, anzi, per precisione, piedipiatti militari insistentemente postulanti, complici confidenti turpi e vociferanti, avrebbero accertato e propalato, video-incontrovertibilmente, storia triste e scottante, fin lì latente, di eminente politicante, dirigente e pubblicamente dominante (ormai tuttavia declinante, auto-flagellante e languente in convento), privatamente debole e intemperante, poco lungimirante e per nulla raziocinante, cliente di amanti bivalenti, mestieranti e aberranti, che semi-demente pagherebbe, insieme con stupefacenti, in gran contanti. Gaudenti? Dolenti? Felici? Infelici? Non si sa. Certo, tutt'altro che fini ed eleganti, anzi proprio disavvenenti e niente affatto galanti. Però, come sembrerebbe evidente, per l'utente, sebbene convivente con coniuge piacente, molto piccanti, attraenti ed eccitanti, forse perché perturbanti, erranti e transeunti. In possibile nesso, accade inoltre urente incidente, malauguratamente con conseguente non più vivente: indagano inquirenti zelanti e valenti. Morale: "Sic transit gloria mundi" e, in ispecie,"concupiscentia eius".

28 dicembre 2009

Parole che parlano (2): Agguato

Chi subisce un'aggressione non è necessariamente vittima di un agguato. Eventualmente solo potenziale, un agguato è un'aggressione dai modi particolari di insidia e di tranello. Un buon sinonimo di agguato è imboscata: trasparente. È il caso di ricordare simili banalità a chi padroneggia un italiano anche solo approssimativo? No.
Cosa significa allora il fatto che agguato ricorra bellamente al posto di aggressione non solo in discorsi pubblici (sarebbe nulla: si sa che sono sempre approssimati per eccesso) ma anche in conversazioni private? Perché lamenta d'essere stato oggetto di un agguato chi, in modo più generico e non necessariamente meno grave, è stato aggredito?
Rolando vittima dei Mori, ispirati da Gano: ecco cosa fa agguato. Istituisce un eroe e un anti-eroe. E con una più grave riprovazione per l'anti-eroe, fellone, mette nel racconto del fatto il carico d'una supplementare compassione per l'eroe, magnanimo fin sul baratro di un'esiziale ingenuità.

23 dicembre 2009

Bolle d'alea (11): Tennyson

"For nothing worthy proving can be proven / nor yet disproven: wherefore thou be wise, / cleave ever to the sunnier side of the doubt / and cling to Faith beyond the forms of Faith".
Una fede di là dalle forme è fede nel dubbio. Forse abbagliato dalla luminosità dell'aria della sua soleggiata Citera, Apollonio legge così questi versi di Alfred Tennyson, poeta laureato. E così li gira ai suoi lettori, come messaggio coerente con la stagione. Godano di fede nel dubbio e di buona disposizione d'animo. Sono ricchezze umane modeste ma, tra le morali, è dubbio che ce ne siano di più preziose.

19 dicembre 2009

Ordini dei nomi (e cognomi)

Muore un vecchio giornalista. La rubrica dei necrologi del quotidiano per cui scriveva si gonfia di bei nomi della stampa, in maggioranza uomini. Fra loro, alcuni associano una donna alla loro partecipazione al lutto: ragionevolmente la moglie, la compagna (designazione che fa tanto vecchia politica, però) o, forse, la fidanzata (come s'usa dire oggi, per far mostra di leggerezza). L'ordine con cui le coppie nominano se stesse è vario e di un certo valore, suppone Apollonio, per chi si interessa della lingua, della cultura e della società italiane contemporanee e delle loro stratificazioni e tendenze, perché (come al solito) poco è più rilevante di un dettaglio.
Sotto il segno dell'esibizionismo neoperbenista, che vuole al primo posto le donne, a qualsiasi costo, c'è da un lato, piccolo-borghese, la "norma a rovescio": Elisa e Massimo Gramellini si stringono... C'è dall'altro, radical-chic, "la norma? La si fa nuova noi": Alice Oxman e Furio Colombo si uniscono...
Sotto il segno invece dello stile veteroliberale, che sa che talvolta passano avanti gli uomini, c'è da un lato, funzional-paritario, l'"ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa": Enzo Bettiza e Laura Laurenzi abbracciano... C'è, dall'altro, il conservatore "il classico non passa mai": Carlo e Daniela Rossella partecipano...
Ciò detto, pensino i due lettori di Apollonio quanto tempo si risparmia a leggere i necrologi invece degli articoli dettati da tante firme prestigiose e quanto sia utile a intendere il mondo d'oggidì il quadrato del vecchio filosofo bizantino Michele Psello (cui la modesta applicazione di Apollonio malamente s'ispira).