Anche di ciò s'è detto (e più volte) in questo diario e se ne dirà, forse, fin quando il numero dei suoi frustoli crescerà. È una ferita aperta della riflessione sulla lingua. Succede sovente che ci mettano il dito a casaccio non solo semplici passanti, che al massimo quanto al tema hanno orecchiato qualcosa, ma anche reputati chierici che, dei termini della questione, dovrebbero avere chiari i contorni e che invece, di solito, la buttano anche loro in caciara, nel medesimo mucchio della vieta faccenda del rapporto tra lingua e realtà.
Non c'è argomento più superficiale, infatti, di tale rapporto: perciò pare il più profondo e meritevole di speculazioni. Le incursioni avvengono da ogni parte né c'è da menarne scandalo. La lingua è di tutti e non c'è nessuno (nemmeno Apollonio, come benevolmente tollerano i suoi due lettori) che non sia autorizzato ad esprimersi in proposito. La metodica riflessione sulla lingua è d'altra parte l'impietosa palestra in cui s'esercitano pubblicamente la striminzita intelligenza e l'esorbitante stupidità della (migliore) umanità.
Va così con tutti i misteri dell'esistenza umana. Tra essi, la lingua non è certo il minore. Orbene, tocca qui ripetere che "arbitraire du signe" e rapporto tra lingua e realtà non sono questioni che si toccano, perché, qualsivoglia idea si preferisca avere sul secondo, resta intatta l'osservazione (sì, l'osservazione e non la speculazione) che fonda il primo.
Una volta stabilito che "signe", lungi dall'essere qualcosa che sta per qualcos'altro, consiste precisamente nel rapporto tra un "signifié" e un "signifiant" e una volta accertato che l'espressione umana è segnica esattamente in tali termini, che, in altre parole, è un processo sistematico di incessante produzione di rapporti siffatti, per cui in essa c'è un "signifié" solo in quanto correlato con un "signifiant" e c'è un "signifiant" solo in quanto correlato con un "signifié", con "arbitraire du signe", secondo Ferdinand de Saussure, che per primo disse del fenomeno con precisione, s'individua una proprietà specifica di tale rapporto. Pur essendo strettamente determinato dalla prospettiva sistematica e processuale, fuori di tale prospettiva, esso non ha infatti nessun tipo di motivazione.
Niente da spartire con la convenzionalità nella designazione delle cose con cui l'"arbitraire du signe" viene quasi sempre se non scambiato, certo emulsionato. Tale confusione finisce per farlo diventare solo una sciocca e inutile variante della posizione detta nominalista in una delle diatribe più futili e celatamente persistenti, proprio perché più sterili, che il pensiero umano abbia mai concepito. Con il pretesto di chiarire quale sia il rapporto tra lingua e realtà, essa impedisce infatti d'intendere qual è la realtà della lingua.
Una volta stabilito che "signe", lungi dall'essere qualcosa che sta per qualcos'altro, consiste precisamente nel rapporto tra un "signifié" e un "signifiant" e una volta accertato che l'espressione umana è segnica esattamente in tali termini, che, in altre parole, è un processo sistematico di incessante produzione di rapporti siffatti, per cui in essa c'è un "signifié" solo in quanto correlato con un "signifiant" e c'è un "signifiant" solo in quanto correlato con un "signifié", con "arbitraire du signe", secondo Ferdinand de Saussure, che per primo disse del fenomeno con precisione, s'individua una proprietà specifica di tale rapporto. Pur essendo strettamente determinato dalla prospettiva sistematica e processuale, fuori di tale prospettiva, esso non ha infatti nessun tipo di motivazione.
Niente da spartire con la convenzionalità nella designazione delle cose con cui l'"arbitraire du signe" viene quasi sempre se non scambiato, certo emulsionato. Tale confusione finisce per farlo diventare solo una sciocca e inutile variante della posizione detta nominalista in una delle diatribe più futili e celatamente persistenti, proprio perché più sterili, che il pensiero umano abbia mai concepito. Con il pretesto di chiarire quale sia il rapporto tra lingua e realtà, essa impedisce infatti d'intendere qual è la realtà della lingua.