Dietro la recente e virale diffusione di virale c'è naturalmente quell'inglese che, fuori dei paesi anglofoni, è ormai da decenni virale in tutti i settori della comunicazione, come si sa. In una lingua qualsivoglia, è infatti impossibile parlare di danaro, di traffici, di produzione, di spettacolo, di scienza, di politica, persino di vita quotidiana senza esserne toccati e senza farsene propagatori. Per proteggersene, varrebbe solo un totale e permanente isolamento, una sortita dal mondo, messa in atto, follemente, senza abbandonare ipso facto la vita. Ma sarebbe ancora vita?
Virale qualifica del resto ciò che si spande in modo rapido, incontrollabile e capillare. Nella lingua di tutti i giorni, ha oggi valore medio, né negativo né positivo. A connotarlo nell'una direzione o nell'altra è eventualmente la composizione con il sostantivo di cui è attributo o del quale si predica. In usi che però e a ben vedere sono metaforici, senza parere di esserlo.
A mettere impietosamente in chiaro che solo di metafore si tratta è intervenuta, in questi giorni, una vicenda globale. Con tale vicenda, il valore proprio di virale è prepotentemente tornato sulla scena comunicativa, spazzandone ogni altro e ricordando che esso evoca ciò che sta al di là dell'umano e, quanto agli umani, ricollocati nell'occasione al rango non solo metaforico di polli, è atto a provocare cieche e indiscriminate morie.