Non c'è œ nella resa grafica del cognome della protagonista del film France di Bruno Dumont (a Cannes di recente e in questi giorni nelle sale. Deserte: Apollonio incluso, due spettatori, un venerdì sera alle 20.30, in un vecchio cinema da quattrocento posti). Non c'è œ, si diceva, perché, se ci fosse stato, l'esito sarebbe stato smaccato. Già così in France de Meurs si riconosce in effetti un nome parlante, fin troppo facilmente.
La pellicola declina con insistenza per iscritto le generalità della sua protagonista, che nell'orale è emblematicamente sempre solo France. Come se Dumont fosse preoccupato che a spettatori e spettatrici il dettaglio sfuggisse e che, di conseguenza, non cogliessero tra l'altro l'invito a rovesciare l'ordine della sequenza intorno alla preposizione: France de Meurs -> Mœurs de France, 'Costumi di Francia'.
Forse sta in questa attitudine il maggior limite di un film per altri versi con qualche pregio, che tuttavia cela appunto poco efficacemente di essere garrulo ed esplicito o, se si vuole, rivela palesemente di volere essere allusivo e implicito. E la televisione, che è uno dei temi dell'enunciato, non per mimesi narrativa pare così contagiare con i suoi modi ridondanti e grossolani l'enunciazione cinematografica.