A contare o ad avere contato una Aurora tra le proprie nonne, non sono oggi in molti e in molte. E qualunque sia il loro numero, sarà certamente inferiore di quello di coloro che hanno una Aurora come nipote.
Aurora, con Giulia e Sofia, è tra i nomi prediletti da genitori e genitrici per le loro (peraltro ormai scarse) bambine e, trattandosi di un nome ancora apertamente parlante (a differenza degli altri di successo), ci sarebbe da chiedersi come mai.
In effetti, questo presente non pare tempo di aurore. È tempo di (spesso inconsapevoli) contraddizioni però e forse le tante Aurore sono appunto tali per antifrasi. Sono le Aurore dell'occaso.
Or sono pochi anni, ossimoro divenne parola di un'atteggiata moda espressiva che, come tutte le mode, è presto tramontata. Ciò non significa che di contraddizioni il tempo non abbia continuato ad abbondare.
Tra i due gruppi menzionati in apertura, Apollonio si iscrive nel primo: una sua nonna faceva Aurora. E Apollonio ha ricordi tenerissimi della fragile e minuta vecchina che frequentò intensamente dalla nascita fino all'adolescenza.
Gliela portò via un'influenza (la "Spaziale", altrimenti detta "Hong Kong"). E avvenne traslocando da un luogo all'altro della Sicilia. Così che, da morta, Aurora A., maritata S., ha finito per stabilirsi, e sono ormai undici lustri, nel camposanto di una cittadina in cui, da viva, abitò solo per diciotto giorni e senza mai lasciare il letto.
A chi ha percorso e percorre il viale di quel cimitero, scorrendo le epigrafi, come capita, la scarna lapide, sin da quando fu posta, non avrà mai detto nulla. Un nome e due date. Uno otto otto sei, uno nove sei otto vi si trova inciso, quanto agli anni.
Cinque anni prima di quel 1886, l'undici gennaio 1881, alla Scala, c'era stata la prima del "Ballo Excelsior":
Loquace testimonianza di qual fosse lo spirito di quel tempo.
Il Secolo
stupido, giunto al suo ultimo quinto, si celebrava come compiuta
realizzazione dell'avvento inarrestabile di sorti sempre più magnifiche e
sempre più progressive. Non c'era contrada che non ne fosse investita e
in cui la relativa luce non fosse nell'atto di sorgere. In cui il tempo
non apparisse come un'aurora.
Anche nella Terranova di pescatori e coltivatori di cotone affacciata sul Canale di Sicilia, dove la luce, abbagliante, non era mai mancata, a dire il vero: ma quella semplice del sole. Persino a Terranova parve dunque appropriato ai sensibili parenti chiamare Aurora una bimba, venuta per giunta alla luce nel giorno del Natale di Roma. Si aggiungeva, ultimogenita, a una nidiata con la quale si era già probabilmente assolto all'esigenza della trasmissione dei nomi di famiglia.
Terranova? Sì, Terranova di Sicilia. Parecchi decenni dopo, nel 1927, la vanagloria di un regime bramoso di antiche nobiltà onomastiche l'avrebbe ribattezzata con un nome ripescato dalla sua storia più antica. Un nome ragionevolmente mai proferito come si decise suonasse e come suona ancora adesso: Gela.
Così che Aurora aveva fatto in tempo a diventare madre ancora a Terranova. Madre anche di un Enea la cui ancora fresca assenza, quando Apollonio la conobbe, la tormentava crudamente, anche per la vana, continua, irragionevole speranza che tale assenza cessasse: per via di un miracolo.
La luce dei tempi radiosi profetizzati negli anni della nascita dell'Aurora da cui discende Apollonio non aveva infatti impedito, anzi c'era il dubbio avesse attivamente preparato prima le carneficine della Grande guerra, quindi nemmeno dopo un trentennio, l'impenetrabile oscurità in cui l'Enea da lei nato si sarebbe definitivamente disperso.
Chi aveva voluto che di Terranova si facesse Gela aveva mandato infatti l'Enea di Aurora a combattere verso un gelido Oriente, da cui, ultimo segno di vita, giunse una cartolina. Poi più nulla.