C'è un costante, quasi ossessivo comparire di un avverbio tra le osservazioni procurate all'alter ego di Apollonio dalla frequentazione di studenti e studentesse di università, negli estremi anni italiani del suo servizio.
Sollecitati e sollecitate a prendere la parola, nella situazione comunicativa di un contesto didattico d'una qualche formalità e quindi in quella ovvia di una prova di esame, in apertura, sulle loro labbra compare invariabilmente un "allooora...". Talvolta segue, talaltra non segue quanto chi proferisce l'avverbio è richiesto o richiesta di dire. In questo secondo caso, l'"allooora..." incipitario resta sospeso ed è la sola cosa che capita di ascoltare da quella bocca (spesso, va detto, grazie al Cielo: tra il silenzio e la parola, non di rado il silenzio è ciò che ferisce di meno).
Bronisław Malinowski e, sulla sua scorta, Roman Jakobson, che ne formalizzò l'intuizione nel quadro di una teoria degli eventi comunicativi, individuarono in fenomeni siffatti l'emergere della funzione fàtica. Nel caso specifico, la certificazione della presa di possesso e dell'apertura del canale sul quale, procedendo, ci si prepara a dare uno sviluppo al contatto e al rapporto comunicativo, fornendo per esempio le informazioni richieste.
Fin qui, pertanto, nulla di sorprendente. La vita linguistica di ogni giorno pullula di espressioni che valgono 'sono qui e sono disponibile e pronto a parlare con te' o 'aspetta un po', tieni aperte orecchie e attenzione, quello che ho da dirti arriva a momenti' o ancora altro del genere.
Ma, a parte un'estensione nell'uso dell'avverbio allora che, se non ci si sbaglia, i lessici non hanno ancora opportunamente registrato (estensione sui modi della quale forse qualcosa ci sarebbe da dire dalla prospettiva di una diacronia grammaticale), l'osservazione, perlomeno come essa si è presentata ad Apollonio e al suo alter ego, sembra disporre di un curioso e correlato aspetto sociolinguistico.
Sono in apparenza testimoni dell'uso in questione parlanti di una classe d'età che un dì si sarebbe detta giovanile e adesso più opportunamente tardo-adolescenziale, se non affatto adolescenziale e che un dì si sarebbe detta eventualmente semi-colta e oggi non si saprebbe più come definire, respingendo anche solo il sospetto che drammaticamente essa sia da qualificare come incolta.
Costoro se ne stanno inoltre facendo testimoni in un registro a loro giudizio tutt'altro che informale, come è quello di un esame universitario. È più che ragionevole l'ipotesi che, come si diceva un tempo, non sia farina del loro sacco e che in realtà essi stiamo imitando un comportamento percepito come appropriato e prestigioso.
Apollonio e il suo alter ego si sono così messi a un più largo ascolto del contesto in cui hanno registrato il fenomeno: la scuola. Oggi, la scuola (l'accademia ne è una parte) è in effetti colma di chiacchiere. Forse lo è stata sempre, solo che da qualche decennio, l'eccesso si è reso più evidente. C'è da credere siano diventate meno alte le mura entro le quali la chiacchiera si produce: essa tracima più facilmente e allaga così ogni spazio (materiale e morale).
Ebbene, la fonte degli "allooora..." incipitari studenteschi viene pienamente alla luce, se si ascolta con attenzione e con specifica intenzione chi, nella scuola e soprattutto nell'attività didattica, prende la parola. Viene alla luce, se ci si mette all'ascolto dei e delle docenti, che, in tale contesto comunicativo, sono i e le titolari autorizzati/e, effettivi/e e permanenti della parola, sono coloro che non hanno bisogno di qualcuno che gliela dia, la parola, e che invece, quando è il caso, la danno. Un professore, una professoressa comincia a parlare? Due volte su tre, la sua prima parola è "allooora...".
Con il suo stucchevole sapore semi-colto, il vezzo viene da lì. Ed è un paradossale successo didattico. Sono professori e professoresse che, almeno in questo, sono infatti riusciti a insegnare qualcosa ai loro e alle loro discenti: hanno insegnato che, in principio, sì, c'è la parola, ma che questa parola è "allooora...".
Ai due lettori di Apollonio parrà inverosimile il risultato di questa minuscola ricerca sociolinguistica, condotta, lo si ammette, molto alla buona e insieme con il suo alter ego: fantasie di due vecchi rimbambiti, penseranno. Si sbagliano.
La gente che lavora in pubblicità è gente sveglia e seria, gente che con la comunicazione ci campa e campa la famiglia, che alla comunicazione si avvicina con competenza e con strumenti atti a misurare il peso di ogni parola, di ogni espressione. Gente che sa bene, meglio dei lessicografi e dei grammatici che vanno per la maggiore, chi dice, donde viene, cosa vale e chi qualifica "allooora...". Ecco appunto cosa, a definire tipicamente una docente, le mette in bocca come prima parola una pubblicità: