Modesto ma costante frequentatore di aeroporti, Apollonio deve alla sua naturale disposizione all’ansia la grazia di godere così, di tanto in tanto, del tempo sospeso dell’attesa, che anticipa e lascia già pregustare, quando si siano passati i controlli, il tempo librato (e quasi perciò liberato) del volo.
Le attese, quando sono quiete, hanno non pochi meriti. Il principale è forse il fatto che esse si lasciano benevolmente e amorevolmente ingannare: sono per questo compagne perfette di un uomo.
Gli inganni che tende Apollonio alle sue attese sono tutti innocenti e comuni: lèggere le pagine leggère che lo accompagnano, prendere note dei propri pensieri su un consunto calepino, sbirciare vetrine, osservare (a dimessa caccia del bello, del bizzarro, del sublime quotidiani) la gente che gli sta o gli corre intorno.
Egli usa, poi, come tanti, infilarsi tra gli scaffali di quei bazar – tipicamente aeroportuali – che, tra altre inutili mercanzie, vendono libri. Appoggiato a una colonna, gli capita così di scorrere i volumi che (l’esposizione in quei luoghi lo dice) dànno sostanza alle classifiche delle migliori vendite. Sulla stampa, queste hanno per lui sempre l’aria misteriosa delle liste di cose favolose e sconosciute, quasi bestiari medievali di animali fantastici che, lì, nelle librerie degli aeroporti, finalmente, gli si rendono visibili e palpabili. Non sempre deliziose, tali letture sono sempre edificanti ed è talvolta successo che, volo dopo volo, Apollonio abbia così percorso per intero – evitandone con tale disonesto mezzo l’acquisto – opere che vanno per la maggiore per qualche mese (chissà se quel mese sarà un anticipo di eternità). E Discolo come egli è, si ripromette, un giorno o l’altro, anche di scriverne: controcanto alla serietà della cultura delle biblioteche, una sommessa rivendicazione della saporita vanità della cultura aeroportuale.
Le attese, quando sono quiete, hanno non pochi meriti. Il principale è forse il fatto che esse si lasciano benevolmente e amorevolmente ingannare: sono per questo compagne perfette di un uomo.
Gli inganni che tende Apollonio alle sue attese sono tutti innocenti e comuni: lèggere le pagine leggère che lo accompagnano, prendere note dei propri pensieri su un consunto calepino, sbirciare vetrine, osservare (a dimessa caccia del bello, del bizzarro, del sublime quotidiani) la gente che gli sta o gli corre intorno.
Egli usa, poi, come tanti, infilarsi tra gli scaffali di quei bazar – tipicamente aeroportuali – che, tra altre inutili mercanzie, vendono libri. Appoggiato a una colonna, gli capita così di scorrere i volumi che (l’esposizione in quei luoghi lo dice) dànno sostanza alle classifiche delle migliori vendite. Sulla stampa, queste hanno per lui sempre l’aria misteriosa delle liste di cose favolose e sconosciute, quasi bestiari medievali di animali fantastici che, lì, nelle librerie degli aeroporti, finalmente, gli si rendono visibili e palpabili. Non sempre deliziose, tali letture sono sempre edificanti ed è talvolta successo che, volo dopo volo, Apollonio abbia così percorso per intero – evitandone con tale disonesto mezzo l’acquisto – opere che vanno per la maggiore per qualche mese (chissà se quel mese sarà un anticipo di eternità). E Discolo come egli è, si ripromette, un giorno o l’altro, anche di scriverne: controcanto alla serietà della cultura delle biblioteche, una sommessa rivendicazione della saporita vanità della cultura aeroportuale.