Come milioni di telespettatori, Apollonio ha assistito qualche sera fa ad una telecronaca sportiva con commento tecnico affidato a Beppe Dossena, il campione del mondo ’82 e ex-centrocampista del Torino. Durante tale telecronaca Dossena si è servito del verbo reazionare, coniugandolo a più riprese: uno degli aspetti più spassosi della serata, per Apollonio, contento di sentire l’italiano, come ogni lingua viva, farsi in diretta (televisiva). Due parole di spiegazione, per chi quella sera faceva altro. Per Dossena, reazionare stava per ‘avere una reazione’, ‘reagire’. Incassato un gol, la squadra soccombente esitava a “reazionare”, secondo Dossena.
I tempi, si sa, sono calamitosi per definizione. Quelli della lingua, lo sono di più. Tempi calamitosi producono censori di (mal)costumi e loro pubblici fustigatori. C’è calamità peggiore? Ed è così che, per esempio, sulla prima pagina della Repubblica, tra le notizie d’altre disgrazie, una firma prestigiosissima si è lanciata qualche settimana fa in lodi, a suo dire, postume per il “punto e virgola”: un autentico coccodrillo, come si dice in gergo giornalistico. Il segno d’interpunzione vi era decretato deceduto o in coma irreversibile, a far così compagnia al congiuntivo, buonanima, la cui morte ha, nei discorsi degli specialisti di congiuntivi, un numero di menzioni inferiore solo a quello che la scomparsa delle stagioni ha nelle conversazioni in ascensore. Questo è l’andazzo e non ci si può far nulla.
Non ci si stupirà perciò del fatto che reazionare non sia passato inosservato. Il 18 aprile (ancora una volta, la Repubblica: ma non è rilevante) Stefano Bartezzaghi dedica la sua quasi quotidiana rubrica a quel che considera un “neologismo” e racconta ciò che qui si è già riferito. La chiave del pezzo è d’amara e rassegnata condiscendenza. Vi si presuppone anche nel lettore la sanzione della sconvenienza di reazionare e la ripugnanza per il degrado linguistico. Sono sentimenti che vanno da sé, non vale la pena neppure di renderli espliciti: “…è l’italiano bricolage, amici; e non ci si può far nulla”.
Sul fatto che non ci si possa far nulla, è difficile dissentire. Non ci si può fare nulla soprattutto perché reazionare per ‘avere una reazione’, ‘reagire’ (abbia o no un futuro) sembra fatto apposta per confermare la fondatezza di un principio del mutamento linguistico individuato da gran tempo: l’analogia. Reazionare è costruito a partire da reazione. Basta un attimo per rendersi conto che (un esempio per tutti) reazione sta a reagire proprio come sanzione sta a sancire. Qualche Dossena del tempo che fu deve essersene impipato dell’esistenza di sancire, verbo peraltro irregolare. E lavorando di taglio e cucito anche con i significati, da sanzione deve avere rifatto un verbo regolare: sanzionare. Oggi a Bartezzaghi ciò torna comodo nella sua sanzione di reazionare, che non è certo l’atto con cui egli lo sancisce.
Ci si scandalizzerà allora se, oggi, un Dossena se ne impipa di reagire (anch’esso irregolare) e da reazione fa un regolare reazionare? Lavorando in futuro di taglio e cucito con i significati, chissà che ciò non venga comodo ad un Bartezzaghi di domani. Anzi, a dirla tutta, viene già comodo al Bartezzaghi d’oggi, perché gli dà modo (direbbe Beppe Dossena) di “reazionare” a reazionare, sconsolato.
Sconsolato, poi, perché? Ammesso che Dossena sia responsabile dell’uso intransitivo di cui s’è detto, reazionare non è affatto un “neologismo”. Primo, se ne conosce un uso tecnico nella lingua specialistica dell'elettronica (una ricerca con Google e se ne trovano esempi in rete). Secondo, lo scrittore Riccardo Bacchelli si servì del suo participio passato, reazionato, per qualificare (pensa un po') ciò che 'è bilanciato da una reazione contraria' (e il Grande Dizionario della Lingua Italiana gli consacra una voce). L’idea del bricolage non è malvagia, dunque, ma forse si tratta anche di un bricolage d’autore.
I tempi, si sa, sono calamitosi per definizione. Quelli della lingua, lo sono di più. Tempi calamitosi producono censori di (mal)costumi e loro pubblici fustigatori. C’è calamità peggiore? Ed è così che, per esempio, sulla prima pagina della Repubblica, tra le notizie d’altre disgrazie, una firma prestigiosissima si è lanciata qualche settimana fa in lodi, a suo dire, postume per il “punto e virgola”: un autentico coccodrillo, come si dice in gergo giornalistico. Il segno d’interpunzione vi era decretato deceduto o in coma irreversibile, a far così compagnia al congiuntivo, buonanima, la cui morte ha, nei discorsi degli specialisti di congiuntivi, un numero di menzioni inferiore solo a quello che la scomparsa delle stagioni ha nelle conversazioni in ascensore. Questo è l’andazzo e non ci si può far nulla.
Non ci si stupirà perciò del fatto che reazionare non sia passato inosservato. Il 18 aprile (ancora una volta, la Repubblica: ma non è rilevante) Stefano Bartezzaghi dedica la sua quasi quotidiana rubrica a quel che considera un “neologismo” e racconta ciò che qui si è già riferito. La chiave del pezzo è d’amara e rassegnata condiscendenza. Vi si presuppone anche nel lettore la sanzione della sconvenienza di reazionare e la ripugnanza per il degrado linguistico. Sono sentimenti che vanno da sé, non vale la pena neppure di renderli espliciti: “…è l’italiano bricolage, amici; e non ci si può far nulla”.
Sul fatto che non ci si possa far nulla, è difficile dissentire. Non ci si può fare nulla soprattutto perché reazionare per ‘avere una reazione’, ‘reagire’ (abbia o no un futuro) sembra fatto apposta per confermare la fondatezza di un principio del mutamento linguistico individuato da gran tempo: l’analogia. Reazionare è costruito a partire da reazione. Basta un attimo per rendersi conto che (un esempio per tutti) reazione sta a reagire proprio come sanzione sta a sancire. Qualche Dossena del tempo che fu deve essersene impipato dell’esistenza di sancire, verbo peraltro irregolare. E lavorando di taglio e cucito anche con i significati, da sanzione deve avere rifatto un verbo regolare: sanzionare. Oggi a Bartezzaghi ciò torna comodo nella sua sanzione di reazionare, che non è certo l’atto con cui egli lo sancisce.
Ci si scandalizzerà allora se, oggi, un Dossena se ne impipa di reagire (anch’esso irregolare) e da reazione fa un regolare reazionare? Lavorando in futuro di taglio e cucito con i significati, chissà che ciò non venga comodo ad un Bartezzaghi di domani. Anzi, a dirla tutta, viene già comodo al Bartezzaghi d’oggi, perché gli dà modo (direbbe Beppe Dossena) di “reazionare” a reazionare, sconsolato.
Sconsolato, poi, perché? Ammesso che Dossena sia responsabile dell’uso intransitivo di cui s’è detto, reazionare non è affatto un “neologismo”. Primo, se ne conosce un uso tecnico nella lingua specialistica dell'elettronica (una ricerca con Google e se ne trovano esempi in rete). Secondo, lo scrittore Riccardo Bacchelli si servì del suo participio passato, reazionato, per qualificare (pensa un po') ciò che 'è bilanciato da una reazione contraria' (e il Grande Dizionario della Lingua Italiana gli consacra una voce). L’idea del bricolage non è malvagia, dunque, ma forse si tratta anche di un bricolage d’autore.
In conclusione, la vicenda lascia in Apollonio due dubbi, uno particolare e uno generale, e chissà se uno dei suoi cinque lettori può aiutarlo a scioglierli.
Il dubbio particolare: lingua-bricolage di chi parla e scrive o linguistica-bricolage di chi censura e fustiga?
Il dubbio generale: non saranno per caso troppo aristocratici, non avranno troppo la puzza al naso gli intellettuali italiani, per capire una cosa semplice, popolare e democratica com’è il continuo e sistematico farsi della lingua, tanto sotto la penna di un Riccardo Bacchelli quanto sulla bocca di un Beppe Dossena?