La scuola non è una famiglia, non è un'azienda, non è un'opera pia, non è una palestra, non è un ambulatorio, non è un movimento politico, non è un viaggio organizzato, non è il divano di un analista, non è un ciclo di podcast, non è una dottrina né un'esperienza pedagogica, non è un talk show, non è un parlamento né un consiglio comunale, non è una trasmissione culturale televisiva, non è un luogo né un sito d'incontri, non è un gruppo Whatsapp, non è la corsia di un ospedale, non è un party, non è un caso di studio psicologico, non è una rete radiofonica, non è uno stadio, non è un'audience, non è un'indagine sociologica, non è una comunità di ascolto né di recupero, non è un palcoscenico per scrittrici e scrittori rampanti, non è un portale, non è una discoteca, non è il supplemento culturale di un quotidiano, non è un'assemblea, non è una piazza, non è un cinema né un teatro, non è un circolo, non è una platea per predicatori e predicatrici morali, non è una società sportiva, non è un atelier, non è una rete sociale, non è un luogo di culto, non è un giornale né un blog, non è un pulpito, non è il target di una campagna di comunicazione, non è una tribuna, non è una loggia, non è un mercato, non è un villaggio-vacanze, non è una onlus né un'associazione di volontariato, non è un festival culturale, non è una cantina.
La scuola è la scuola o, meglio, lo era.
Oggi la scuola è invece tutte queste cose e certamente parecchie altre. La si continua ancora a chiamare scuola per la nota inerzia delle parole. Ma in questo presente la scuola è qualsiasi cosa si voglia. O, diversamente detto, non c'è cosa che, una volta o l'altra, in un modo o nell'altro, non capiti che qualcuno dica che la scuola sia, continuando a chiamarla scuola.
A chi chiedesse come mai, Apollonio risponderebbe, con semplicità: perché non è più la scuola.
Chiara sottolineatura, tanto da rimanerne accecati fino al punto di terminare con la mancata risoluzione semantica dell'espressione entro rapporti differenziali. In questo modo non si approderebbe, se non è già accaduto, a uno spazio vuoto, più che ambiguo, in cui prevarrebbe "la scuola dovrebbe essere..." basato su concezioni e ideali dell'ultima ora?
RispondiEliminaApollonio dà il benvenuto al nuovo e giovane Lettore e lo ringrazia del commento. Non è certo di avere inteso appieno la questione che egli pone. Non sa di conseguenza se risponde con appropriatezza, aggiungendo che la scuola è stata inghiottita dal gorgo della non-marcatezza che caratterizza, del resto coerentemente, una società qualificata da qualche decennio come liquida.
EliminaSe il tempo che s’irrigidisce tra l’aspro suono della prima a quello dolce dell’ultima campanella, non è (mai stato?) scuola, ne conseguirà che scuola sia il correlativo arco che si distende tra il suono dolce dell’ultima a quello aspro della prima campanella (del giorno successivo)?
RispondiEliminaCoglie un bel punto della questione, Lettore o Lettrice senza nome: a fondamento della scuola, c'è (o c'era) una differenza o, se ci si pone lungo l'asse del tempo, una discontinuità (donde, l'esigenza della campanella). Quando sorse, come idea giusta o sbagliata, tra le tante giuste e sbagliate della modernità, la scuola fu appunto concepita per differenza, come fattore di discontinuità. Ed è esattamente nella demolizione delle differenze e delle discontinuità che la temperie presente è impegnata con alacrità.
EliminaIn memoria di Gertrude Stein si può affermare che a school is a school is a school.
RispondiEliminaAmen.
D'Ascola
banalmente: il momento fermo e non misurato, da sempre, in ogni dove, in cui il docente rifiata, e il discente sorride.
RispondiEliminaOttima dell'attuale stato d'essere scuola
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