È overtourism alla fonte, come dichiara l'immagine; nell'espressione e nella comunicazione del Bel paese, oltre a essere rimasto tale e quale, circola anche, adattato, come iperturismo e come sovraturismo. Ma non si fa qui questione del prefisso. O meglio: si fa questione del prefisso, ma non per sentenziare quale sia eventualmente da preferire, nella resa italiana del termine.
Già. Perché overtourism nasce come termine, cioè come elemento di una terminologia specialistica a designare un fenomeno, una sorta di nuovo morbo del mondo come oggi va, e a designarlo in maniera univoca, perlomeno in linea di massima: ci sono città, siti, aree che ne soffrono.
Se finisce nei turbini dell'odierna comunicazione, un termine ci mette però un attimo a diventare una parola qualsiasi. A trovarsi insomma nel lessico d'ogni dì, con la sua vaghezza, in compagnia di vecchie parole, come bellezza, si metta, o di altri ex-termini decaduti: psicosi, epidemia...
Sia esso over-, iper- o sovra-, nell'attuale circolazione della parola, il prefisso fa come da manico a turismo, per dirla con una figura: quanto serve a impugnarla, discorsivamente. E l'impressione è che, sul fondamento di un cliché, il marcio sia nel manico: in quell'over-, iper-, sovra-. Turismo, vox media e dalle eventuali connotazioni positive, passa in altre parole al negativo per via del prefisso.
Un esempio comparabile? Attivo si dice eventualmente di un pargolo che fa la gioia di mamma; si passa a iperattivo (un tempo, più banalmente, irrequieto) e la gioia finisce. A sua volta, turismo va bene. Gli si aggiunge il prefisso e smette di andare bene. Non ci vuole molto a intendere a questo punto la prospettiva che si realizza nel processo segnico. È solo una variante di un altro, stagionato cliché: il troppo stroppia. E over-, iper-, sovra- sono appunto quel troppo.
A tale prospettiva, soggiace tuttavia un'ideologia implicitamente consolatoria: neutro, se non buono, il turismo, è solo il suo presente eccesso a essere cattivo. E se così non fosse?
Il turismo è in effetti una delle principali manifestazioni dello spirito moderno. E ci sono manifestazioni dello spirito moderno, non si vuole dire morbi, la cui natura ha potuto rimanere dubbia o persino essere parsa positiva fino a quando la loro diffusione le ha tenute, per dire così, non solo sotto la soglia dell'osservabilità, ma anche sotto la protezione delle correlate ideologie.
I dubbi avrebbero dovuto smettere di esistere da quando esse si sono dispiegate in tutta la loro virulenza. Ciò che uno sguardo poco avvertito e, appunto, consolatorio segnala come un troppo è in realtà il raggiunto stato della loro maturazione. È il caso del turismo moderno e a poco vale invocare in proposito tra i suoi mitici archegeti Montaigne o Goethe. Ai geni solitari, come ai pionieri, non si rimprovererà d'essere stati non solo di tanto in tanto genialmente stupidi (e, come tali, non solo tendenzialmente violenti).
Sotto questa e forse più corretta prospettiva, il cosiddetto overtourism (o iperturismo o sovraturismo) è solo il turismo nel suo stato compiuto. Uno stato, ci si intenda, che, dopo la maturazione, tende ovviamente verso la putrefazione e forse l'ha già raggiunta.
E, se mai ce ne sarà il tempo, bisognerà un autentico cambio di paradigma morale (prima ancora che economico) perché non tanto sopra l'overtourism, ma sopra il turismo tout court, come sopra molti altri "-ismi" di questo evo a volte tragicamente, a volte comicamente privo di grazia, cominci a pesare un opportuno anatema e riempia chiunque di vergogna il solo pensiero di passare per turista.