18 maggio 2024

Giuseppe Tomasi di Lampedusa... scrittore

A spasso per il  Cimitero dei Cappuccini di Palermo, dopo una visita alle celebri Catacombe, capita ci si imbatta in un modesto avello, quasi al livello del suolo, sigillato dalla lapide qui di séguito esposta: 


Vi si legge Giuseppe Tomasi | Principe di Lampedusa | Morto a Roma il 26 luglio 1957. E sotto: Alessandra Wolff Stommersee | Principessa di Lampedusa | Morta a Palermo il 22 giugno 1982. Al visitatore, alla visitatrice, i nomi delle persone lì sepolte possono essere ignoti. Ma se li conosce, fa così modesta esperienza di un dettaglio autentico, di un briciolo di verità in una vicenda umana. 
Morto a Roma nel luglio del 1957, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, non fu sepolto tra le pompe e gli agi evocati dal titolo e dal predicato. E soprattutto, in quei giorni e ancora per un anno, era circostanza nota a poche persone che quel nobile male in arnese avesse lasciato il manoscritto di un romanzo. Quanto accadde in séguito è noto e fa parte della montagna di luoghi comuni sotto la quale Il Gattopardo giacque, sin dal suo apparire, e ha continuato a giacere. 
Venticinque anni dopo, testimonia la lapide, raggiunse il coniuge nel medesimo luogo Alessandra Wolff Stomersee, persona di gran valore: Licy, per gli intimi. Ed è sapida la svista, se di svista di tratta, del lapicida: Stommersee. Causata da una commissione soltanto orale del manufatto o da un'errata precedente documentazione anagrafica? Apollonio non sa cosa pensarne: sarebbero necessarie le ricerche di qualche erudito. Ma è curioso che, per decenni, l'erede (di recente scomparso) non pensò mai di rimediarvi. Avrà avuto le sue ragioni.
Il mondo va avanti per accidenti e in tal modo finisce per mettere in piedi ironie che gli esseri umani sono lungi dall'immaginare e dal prevedere. Chi non ha letto solo il romanzo di Lampedusa sa quanto egli, sardonicamente sconsolato, si beffasse dell'approssimazione siciliana. Del modo isolano di raffazzonare, abborracciare, fare alla meno peggio. Ne è caduto vittima anche il nome della moglie sulla tomba? Se così fosse, ben gli starebbe! Persino, anzi soprattutto senza volerlo, Palermo è infatti vendicativa e non perdona chi, al suo proposito, non mente. 
La tomba di cui si sta dicendo non alberga più però i resti mortali di Lampedusa. Ora è qualche mese, essi sono stati portati via. Non si inquieti chi, lontano dall'attualità culturale palermitana, a questo punto immagina in proposito una profanazione. Proprio il contrario: è l'effetto di un omaggio, di un riconoscimento, di un tributo.
Un passo indietro: la città dove Lampedusa nacque e visse la maggioranza dei suoi giorni si fregia di un pantheon, tenuto dai Domenicani. Chi vuole può passarvi in rassegna i sepolcri di cittadini che Palermo ha così consacrato come illustri. Lampedusa non era nel novero. 
Facile capire perché: egli era morto appunto prima di diventare illustre. E non si creda che bastasse il titolo a farlo illustre. Di principi, in Sicilia e a Palermo, ce ne sono sempre stati parecchi. Deve avere inoltre avuto una maligna e spagnolesca fantasia umoristica chi decretò, secoli or sono, che divenisse un principato la desolata isoletta mediterranea, all'epoca disabitata, e l'attribuì come un'onorificenza ai duchi di Palma, cui l'essere duchi, a un certo punto, non parve sufficiente... 
L'assenza di Lampedusa dal pantheon palermitano rimase pertanto a lungo inavvertita. Passò poi forse tra le giustificate, a loro modo: a Palermo (e non solo a Palermo) di Lampedusa grand'uomo e meritevole di un simile onore c'era chi dubitava. Testimone autorevole, Leonardo Sciascia, fin quando non gli riuscì di proferire in proposito una palinodia a mezza voce. 
Ma i tempi cambiano. Le resistenze cedono. Meglio: della faccenda, è ormai difficile qualcuno abbia memoria o consapevolezza. Restano, reboanti, il nome e il romanzo, ambedue come cliché. E il secondo sta addirittura per fornire materia a una serie televisiva di prossima uscita. Meglio non farsi cogliere impreparati all'arrivo del correlato "turismo culturale".
Nel pantheon, si sarebbe potuto rimediare con un cenotafio. Si parva licet..., di cenotafio, per esempio, in Santa Croce a Firenze ce n'è uno di Dante, cittadino con rapporti ben più complessi, e pubblici, con la sua città di quanto Lampedusa, nel suo privato, pare ne abbia avuti con Palermo. Ma l'idea non deve essere parsa percorribile: in effetti, a che serve fari scrusciu e battaria se non ne vengono effettivamente turbati il silenzio, la pace, la semplicità di ciò che è?
Dalla tomba riservatagli dalla vita, i resti di Lampedusa sono stati così traslati al pantheon palermitano. E con gran pompa (o, meglio, con quella resa possibile da un budget da evidenti tempi grami), sono stati posti in questo parallelepipedo marmoreo appoggiato sul pavimento e stretto a una colonna:


Orbato della verità della sua morte privata (se non oscura), Lampedusa lo è stato così anche della compagnia della sua Licy: coniugio non banale, testimoniato com'era für ewig dalla tomba. Nel trasloco, egli ha anche perso l'esplicita menzione del titolo. In cambio e a mo' di targa stradale, si è ritenuto che lo celebri la qualificazione, quanto insanabilmente piccolo-borghese, di scrittore... 

8 commenti:

  1. Risposte
    1. Apollonio Discolo18/5/24 10:31

      Apollonio spera che il commento del netto Lettore riguardi il fatto riferito e non lo scritto che ne riferisce. Così fosse, è precisamente quanto Apollonio pensa.

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    2. No: comico

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    3. Apollonio Discolo18/5/24 16:49

      Comicamente deplorevole o deplorevolmente comico. Come Le pare, Lettore o Lettrice senza nome?

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  2. Grazie Apollonio

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    1. Apollonio Discolo19/5/24 11:18

      A Lei, cortese Lettore.

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  3. Pasticciosamente comico

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  4. Si potrebbe però osservare che la frase incisa al piede del parallelepipedo è una discreta, discretissima, citazione dell'incipit del romanzo.

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