"...è un romanzo grande e potente": con questo lapidario viatico attribuito ad Antonio D'Orrico si apriva ora è un lustro una pagina di
réclame di
Il Colibrì di Sandro Veronesi. Qui non è questione di quell'opera, ma di
potente e di
potenza. Sono parole che oggi spesseggiano nel discorso critico o, forse meglio, nella chiacchiera sopra temi letterari o cinematografici.
Apollonio vanta (o sconta) un'esposizione a quella chiacchiera (e, se si vuole, a quel discorso) che supera ormai il mezzo secolo. Saltuario ascoltatore e distratto lettore, ci si intenda. Non pretende quindi che le sue siano asserzioni dottrinali. Osservazioni non solo impressionistiche però, sì, fosse anche soltanto per la sottesa durata. E l'ipotesi che si affaccia, senza ovviamente che se ne proponga un'interpretazione da correlazione causale, è che potente e potenza abbiano cominciato a dilagare nei contesti menzionati più o meno dagli anni in cui è stato commercializzato in Italia il prodotto farmaceutico rappresentato dall'immagine che correda questo frustolo. Insomma, Zeitgeist, si dice dottamente. Più alla buona, aria che tira e che ringalluzzisce non solo lo spirito (pneumatico di suo, pronto quindi a gonfiarsi), ma anche il corpo.
Non sono ovviamente neologismi, potenza e potente. Ma Apollonio ha la netta percezione che sia in effetti relativamente nuova l'estensione della loro portata, accesamente figurata, alla sfera delle arti menzionate. E che soprattutto sia nuova la loro ascesa, in quelle chiacchiere, al rango di tormentone. Deriva paradossale, ma forse non sorprendente, della Wille zur Macht nella temperie della modernità putrefatta? O, da parte delle più vive coscienze di tale temperie, non troppo implicita ammissione, rivelata dall'uso evocativo, maniacale e ossessivo del positivo, di trovarsi invece nello stato definito dalle negazioni di potente e di potenza? Apollonio non sa. Giudichi chi legge.
Per un primo esercizio, ecco un'accidentale e non esauriente raccolta delle ricorrenze di potente e di potenza nelle pagine con cui La bella confusione, libro recente e molto fortunato di Francesco Piccolo, si proietta verso la sua (potente?) conclusione:
"Ho cominciato a leggere Yoga [...] piano piano nella mia testa si è formata chiara l'idea che [...] stava riuscendo a spiegarmi qual è la caratteristica più potente di Otto e mezzo: la vitalità" (200).
"Questa volontà di stare bene è molto potente quando si vede Otto e mezzo, è molto potente quando si legge Yoga. E per quanto mi riguarda è molto potente anche dentro di me" (202-3).
"Bisogna dire, a questo punto, che Il Gattopardo e Otto e mezzo, insieme, rappresentano ancora altro, al di là di sé stessi. La potenza di questo momento, il fatto che due autori così importanti abbiano fatto due film così grandiosi contemporaneamente [...] e che quando sono usciti abbiano avuto un effetto devastante, potente [...] ecco, bisogna dire che questi due film rappresentano non so se il punto di alto, ma di sicuro il punto di arrivo di venti anni di grande potenza del cinema italiano nel mondo" (211).
"Questa potenza e questa specie di ultima esplosione, si manifesta soprattuto nei riconoscimenti ottenuti nei vari festival internazionali" (211).
"In Otto e mezzo c'è la fine della giovinezza (o la paura della fine della potenza) per un individuo e soprattutto per un artista" (213).
"Ma quella potenza produttiva non si vedrà più" (213).
"e in contrasto vede non solo la bellezza, ma la potenza ormai irresistibile di Angelica, e tutta questa potenza sta per culminare proprio di fronte a lui" (244).
"Ed ecco che l'autobiografismo di Visconti diventa potente oltre ogni sua volontà" (245).
"Quindi il contrasto tra la giovinezza potente, voluttuosa, e il vecchio che muore" (245).
"Angelica è assolutamente potente e desiderabile. Come dice Tomasi del quadro, al centro c'è la fine di don Fabrizio, ma in realtà il quadro è stato fatto per la potenza di Angelica" (246).
"sente il desiderio potentissimo che arriva dal profumo di questa ragazza e anche dalla potenza di questa ragazza" (247).
"Mentre il finale che vediamo noi [...] è una potente accettazione della vita" (251).
"si sentono parte di uno stesso mondo che è quel mondo che ha avuto quella potenza assoluta e che adesso, casomai, è meno potente e più in difficoltà" (255).