14 gennaio 2009

Lingua loro (10): "lectio magistralis"

"Conferenze, lectio magistralis, mostre, incontri con Premi Nobel, spettacoli, aperitivi scientifici, percorsi interattivi": l'annuncio ha circolato nei giorni scorsi sulla stampa nazionale. Si tratta di uno dei festival che, ormai a dozzine, fanno da quinta alla compagnia di giro che batte tutte le piazze d'Italia. Mette in scena rappresentazioni in cui c'è chi fa il filosofo e chi il vate, chi lo scienziato e chi l'intellettuale, chi il critico e chi l'accademico. Nascondendosi dietro la foglia di fico delle cosiddette sponsorizzazioni, essa può farlo grazie al sostegno del pubblico danaro: lo stesso che si lesina, a quanto pare, alle compagnie teatrali di professionisti (e non è questo piccolo indizio della natura dei tempi e dello spregio in cui essi tengono chi esercita con coscienza e competenza il proprio mestiere e non scimmiotta goffamente gli altrui).
Ma qui poco ne cale, perché ci si occupa di lingua: e il caso è prezioso. In quell'annuncio si trova infatti la prima attestazione scritta (almeno, la prima nota ad Apollonio) della raggiunta invariabilità formale dell'espressione lectio magistralis.
Nel gergo di quella compagnia di giro, l'espressione è mutuata dal latino accademico ed è supposta fare tanto chic. Per via di evocazione lessicale, essa simula infatti il compimento sulle piazze dei riti esoterici di istituzioni elitarie ormai desuete e prive di funzione (come le università). È insomma un relitto linguistico, tirato apparentemente a lucido e esposto con altra paccottiglia nella scenografia post-moderna di tali "eventi" (altro emblema lessicale dei tempi): eventi radicalmente inautentici, a cominciare dalla lingua di cui si servono.
La raggiunta invariabilità formale di lectio magistralis ne è prova: il latino di cui l'espressione si fregia è puro polistirolo. Consultando il sito del festival in questione, si apprende infatti che, come di "conferenze", di "mostre", di "aperitivi scientifici" e via dicendo, di lectiones magistrales nelle giornate del festival ce ne sarà più d'una (quattro, se Apollonio non si sbaglia). Nell'elenco dell'annuncio, "lectio magistralis" sta quindi per un plurale, proprio come se si trattasse di "spot" o di "slide" o di "gag". Né diversamente poteva essere, a pensarci bene, trattandosi di una lista di nomi privi di articolo. Per chi ha dettato quell'annuncio, "lectio magistralis" è plurale né vale la pena di avere rispetto per il latino (accademico), per i riti esoterici e singolari che l'espressione designava e, complessivamente, per ciò che si dice e si scrive: sublime rivelazione della vera natura di chi affetta modi di raffinatezza culturale e di gentilezza umana.

3 commenti:

  1. Il 25 settembre 2009, Apollonio ha avuto dal suo benevolo lettore l'autorizzazione a inserire tra i commenti di questo post la lettera che segue, giunta all'indirizzo privato di posta elettronica del suo alter ego. Alla lettera, segue la risposta di Apollonio, inoltrata allora in modo altrettanto privato.

    "Gentile Apollonio, condivido con Lei da tempo un certo fastidio per la locuzione lectio magistralis che addobba ormai qualsiasi conferenza o lezione o intervento pubblico si faccia in Italia. Osserverei che l'uso così esteso è specificamente italiano (un'occhiata a internet conferma che le pagine italiane contenenti il sintagma sono in rapporto di cento e più con le pagine di altre lingue europee, adde quod queste sono fittiziamente alloglotte, sono traduzioni di pagine italiane o riferite a fatti italiani -e vaticani) e congetturerei che l'uso deve avere una qualche relazione profonda con l'abuso dell'espressione d'eccellenza riferito a università e centri di ricerca, abuso fondato, come il censimento ISTAT degli analfabeti, su autodichiarazioni. La congettura vorrebbe portare alla luce una sorta di tautologico sillogismo profondo: io sono d'eccellenza perchè faccio lectiones magistrales; io faccio lectiones magistrales perchè mica sono come te, io sono d'eccellenza. -- Checchè sia di ciò, mi permetterei di osservare che, sempre grazie alla rete di cui Lei è, tra i colleghi filologi e linguisti, uno dei frequentatori più assidui e attenti, l'uso di lectio magistralis come plurale invariabile risale almeno al 2004. E poi, caro Apollonio, Lei è un esimio linguista, che diamine poteva forse osservare che nello scambio tra lingue non è infrequente l'assunzione di plurali del source language come singolari nel target language (caso pasdaran o cherubino, serafino) o, complementarmente, di singolari usati come plurali (caso i Land tedeschi, i campus) cui appartiene il nostro sciagurato lectio magistralis plurale. -- Caro Apollonio, non se ne abbia a male per queste minute chiose, il fatto è che è un piacere corrispondere con Lei pur se così parzialmente e marginalmente discordando. Mi creda Suo devotissimo Tullio De Mauro"

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  2. Cher Maître,
    grazie per la benevola attenzione e per i commenti critici: quelli di Apollonio sono scatti di (buon)umore linguistico e trascurano sovente (quando non la giudicano rilevante) la compiutezza del riferimento filologico. Come direbbe certo chi usa lectio magistralis come plurale, un blog è un "media" che incoraggia la scorciata e forse non commendevole prassi (l'orripilante esempio, che si aggiunge a quelli di casi noti e graziosi e ai quali ci si è accostumati della Sua lista, Le sarà tutt'altro che ignoto e, due giorni fa, Apollonio l'ha colto di nuovo in un enorme annuncio pubblicitario in piazza Duomo a Milano). Le Sue cordiali parole dimostrano tuttavia che l'incompiutezza non aliena a tali scatti la Sua simpatia e di ciò Apollonio Le è grato.
    Ma la questione, mi permetta di osservare, è altrove e non sarà un singolare cherubino a farci smettere di considerare ridicolo che lectio magistralis come plurale ricorra dove la si trova oggi. La questione sta esattamente in ciò che Lei coglie scrivendo della relazione tra lectio magistralis e eccellenza (su cui Apollonio si dichiara d'accordo: a eccellenza egli ha peraltro dedicato un rapidissimo passaggio nel post sul "merito", osservando che eccellenza, come eminenza, è parola che in Italia ha un fascino che non tramonta). Non è genericamente lectio magistralis come plurale che muove al sorriso (o che è criticabile: la lingua va dove meglio le aggrada e i pedanti hanno sempre torto). Fa sorridere ed è rivelatrice invece la relazione tra tale uso e la bocca sulla quale o la penna sotto la quale esso viene colto. E' la relazione insomma con il medium che è comica e rivela l'imbroglio. Quella bocca, quella penna millantano. Del magister hanno solo la vernice e nemmeno una vernice data a regola d'arte, visto che la meno nobile sostanza traspare.
    Come Lei sa, un blog è caratterizzato dalla possibilità dei lettori di commentare direttamente ciò che vi leggono. Lei ha preferito scrivere privatamente all'alter ego di Apollonio. Le dispiacerebbe troppo se il Suo commento e la parte pertinente di questa risposta apparissero appunto tra i commenti del blog?
    Mi creda il Suo devoto

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  3. "Addio, picciolo Cherubino.
    Come cangia in un punto il tuo destino!"
    Lorenzo da Ponte

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