"Mentre in Toscana l'ostentazione delle proprie ricchezze e del proprio stato sociale elevato è considerata un valore negativo e guardata persino con sospetto, in Sicilia è un comportamento legittimo e naturale ed ha una valutazione positiva: la diversità del costume si manifesta come diversità di significato [di mafia, nelle due aree linguistiche]" (Alberto Nocentini, Camorra e ma(f)fia, Archivio Glottologico Italiano (2009), 1, p. 86).
31 gennaio 2010
30 gennaio 2010
Funzione poetica
La serata è già andata troppo per le lunghe: il libro è interessante ma coloro cui se n'è affidata la presentazione sono stati prolissi. Apollonio tra loro: ha detto inoltre cose piatte e colme di ovvietà. Scrutate dalla cattedra, le facce degli intervenuti al rito sono quelle di chi, passate due ore, è pur sempre disposto al martirio: eroico esercizio della pazienza cui accostuma l'accademia? Torna ancora la parola ad Apollonio e rischia, a detta di chi la elargisce, di non essere la conclusiva: altre, più conclusive, si riservano di procrastinare la conclusione, minacciose. "Buon Cielo, aiutami tu", pensa Apollonio mentre gli si consegna l'incombenza. "Fa' ch'io trovi un modo di porre fine al piccolo strazio di questa brava gente". Dal principio dell'incontro tra giuristi e linguisti (tra i secondi, lui), gli frulla insistente per il capo il verso "Dal dì che nozze e tribunali ed are..." e non sa il perché dell'affiorare lì, dal naufragio delle sue letture liceali, di tale relitto: forse il perché è troppo evidente? Comunque sia, gli si aggrappa per non affondare. Per farne cosa, però? Buono per giuristi e religiosi: ma i linguisti? A nozze, nel verso, per valori formali si può fare equivalere lingue, tuttavia. Proviamo, si dice. "Dal dì che lingue e tribunali ed are...: basta questo verso del Foscolo...". Nessuno fa una piega. Forse per la stanchezza. O forse per pietà, solidarietà, gratitudine. Non importa se consapevole o inconsapevole. "Miglior conclusione..." gli fa da eco. Missione compiuta: contenti i linguisti, e più contenti i giuristi. La paracitazione consente a tutti, esausti, di abbandonare l'aula: "Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima dea, fugge i simposi".
24 gennaio 2010
15 gennaio 2010
Che tempo fa?
Il tempo: un dì, tema di conversazione futile e inconcludente per eccellenza, il più neutro che ci fosse, da evocare quando si voleva esser sicuri di non urtare la suscettibilità di nessuno: in molte lingue, le descrizioni dei suoi eventi non sono appunto sintatticamente impersonali? Questione da mettere sul tappeto perciò, quando si intendeva intrattenersi con chicchessia, parlando in realtà proprio di nulla e mettendo solo a frutto così la funzione che Roman Jakobson chiamò fàtica.
Ebbene, ci avranno fatto già caso i due vigili lettori di Apollonio, il tempo è divenuto negli ultimi decenni (e oggi fragorosamente) uno dei soggetti più vivi e presenti nella comunicazione, e non solo in quella che si svolge sugli ascensori condominiali. Nugoli di scienziati l'hanno eletto a centro dei propri interessi. Uomini politici di rilievo mondiale costruiscono le loro fortune e ricevono premi cospicui e attestati di stima universale mostrando di preoccuparsene molto. Conferenze internazionali gli sono continuamente dedicate, con contenziosi sterminati e contestate firme di trattati, poi sottoposti all'approvazione di assemblee politiche nazionali e sceverati, in tutte le loro pieghe, dagli organi di stampa e dall'opinione pubblica più avvertita, che nel frattempo si tiene al corrente senza distrazioni su bollettini meteo che, più di quelli di guerra nei tempi delle guerre, lanciano allarmi a ripetizione e turbano i sogni già agitati della fetta grassa dell'umanità. Pioverà? Non pioverà? E se nevicherà, sarà troppo o mai abbastanza? Quanto estremo sarà il fenomeno atmosferico? Da quanto tempo, in luglio, non faceva tanto caldo? E quante migliaia di vittime si dovranno attribuire a tale picco? O alla violenza degli elementi?
Il tempo: insomma, uno dei temi più presenti del presente, e dei più caldi, anche nella vita quotidiana. Ad affrontarlo a cuor leggero si rischia di ferire, come con la religione, risentite suscettibilità, convinzioni radicate, credo profondi. Apollonio non esagera: gli è accaduto qualche tempo fa di essere in proposito giustamente ripreso da una studentessa, per un esempio linguistico costruito con improvvida e scherzosa spensieratezza a partire dai fiocchi di neve che si vedevano scendere di là dai vetri della finestra dell'aula. E ha chiesto scusa, perché il tempo è appunto adesso marca del presente, tema sensibile, su cui si sono addensati (dire perché sarebbe facile ed è quindi inutile) i nembi tempestosi dei sensi di colpa umani più ancestrali, come di quelli più estemporanei: con l'incombenza dell'ineluttabile punizione. Tanto più tremenda perché appunto, attraverso il tempo e come dice la sintassi delle lingue, impersonale: cielo senza dei, cieco boia, con una saetta, di un autolesionismo umano che continua a gonfiarsi smisuratamente e sembra perciò sempre più prossimo ad esplodere.
Apollonio pregusta perciò già il giorno (non lontano, c'è da pensare) in cui lascerà questo mondo, trasferendo la sua anima sui Campi Elisi, mai turbati da tempeste, nell'eterna ed immutabile mitezza del clima: lì, che egli senta discutere del tempo è improbabile. Ma non è solo ciò a rendergli desiderabile quel giorno. A caccia di autografi sui libri che, nell'ora di quel passaggio, l'accompagneranno moralmente, pregusta ancora di più l'incontro con anime grandi dei tempi che furono e con qualche buon sodale frettoloso e già prematuramente trasmigrato. È certo: curiosi ma supponenti, molti gli chiederanno: "E dicci, stupida recluta dal numero alto, qual è oggi la principale ambascia del mondo? Quali pensieri agitano il consorzio umano da cui vieni? Di cosa mai si discute lassù, tra i momentaneamente vivi?". "Del tempo", risponderà allora Apollonio a quegli spiriti accarezzati dai freschi zefiri elisei: e sogghignerà, sicuro di lasciarli, lui, quel dì, stupefatti.
Ebbene, ci avranno fatto già caso i due vigili lettori di Apollonio, il tempo è divenuto negli ultimi decenni (e oggi fragorosamente) uno dei soggetti più vivi e presenti nella comunicazione, e non solo in quella che si svolge sugli ascensori condominiali. Nugoli di scienziati l'hanno eletto a centro dei propri interessi. Uomini politici di rilievo mondiale costruiscono le loro fortune e ricevono premi cospicui e attestati di stima universale mostrando di preoccuparsene molto. Conferenze internazionali gli sono continuamente dedicate, con contenziosi sterminati e contestate firme di trattati, poi sottoposti all'approvazione di assemblee politiche nazionali e sceverati, in tutte le loro pieghe, dagli organi di stampa e dall'opinione pubblica più avvertita, che nel frattempo si tiene al corrente senza distrazioni su bollettini meteo che, più di quelli di guerra nei tempi delle guerre, lanciano allarmi a ripetizione e turbano i sogni già agitati della fetta grassa dell'umanità. Pioverà? Non pioverà? E se nevicherà, sarà troppo o mai abbastanza? Quanto estremo sarà il fenomeno atmosferico? Da quanto tempo, in luglio, non faceva tanto caldo? E quante migliaia di vittime si dovranno attribuire a tale picco? O alla violenza degli elementi?
Il tempo: insomma, uno dei temi più presenti del presente, e dei più caldi, anche nella vita quotidiana. Ad affrontarlo a cuor leggero si rischia di ferire, come con la religione, risentite suscettibilità, convinzioni radicate, credo profondi. Apollonio non esagera: gli è accaduto qualche tempo fa di essere in proposito giustamente ripreso da una studentessa, per un esempio linguistico costruito con improvvida e scherzosa spensieratezza a partire dai fiocchi di neve che si vedevano scendere di là dai vetri della finestra dell'aula. E ha chiesto scusa, perché il tempo è appunto adesso marca del presente, tema sensibile, su cui si sono addensati (dire perché sarebbe facile ed è quindi inutile) i nembi tempestosi dei sensi di colpa umani più ancestrali, come di quelli più estemporanei: con l'incombenza dell'ineluttabile punizione. Tanto più tremenda perché appunto, attraverso il tempo e come dice la sintassi delle lingue, impersonale: cielo senza dei, cieco boia, con una saetta, di un autolesionismo umano che continua a gonfiarsi smisuratamente e sembra perciò sempre più prossimo ad esplodere.
Apollonio pregusta perciò già il giorno (non lontano, c'è da pensare) in cui lascerà questo mondo, trasferendo la sua anima sui Campi Elisi, mai turbati da tempeste, nell'eterna ed immutabile mitezza del clima: lì, che egli senta discutere del tempo è improbabile. Ma non è solo ciò a rendergli desiderabile quel giorno. A caccia di autografi sui libri che, nell'ora di quel passaggio, l'accompagneranno moralmente, pregusta ancora di più l'incontro con anime grandi dei tempi che furono e con qualche buon sodale frettoloso e già prematuramente trasmigrato. È certo: curiosi ma supponenti, molti gli chiederanno: "E dicci, stupida recluta dal numero alto, qual è oggi la principale ambascia del mondo? Quali pensieri agitano il consorzio umano da cui vieni? Di cosa mai si discute lassù, tra i momentaneamente vivi?". "Del tempo", risponderà allora Apollonio a quegli spiriti accarezzati dai freschi zefiri elisei: e sogghignerà, sicuro di lasciarli, lui, quel dì, stupefatti.
13 gennaio 2010
Eccellenti insegnamenti
Un giovane finanziere cinese dona 8.888.888 dollari americani alla Yale School of Management. In quella istituzione accademica statunitense, arrivato pochi anni prima dalla patria Università del Popolo, egli ha conseguito due master nel 2002. Tre anni più tardi ha dato avvio al fondo Hillhouse Capital Management, che oggi dirige e gestisce e i cui profitti gli hanno permesso, in breve tempo, di fare quella donazione da Paperone.
Notizie che Apollonio trova sulla stampa. Dagli articoli che ne riferiscono deborda l'ammirazione tanto per il gesto munifico quanto per il sistema accademico ed educativo in cui è esso maturato e che lo ha reso possibile. Al suo modello, le istituzioni che provvedono all'istruzione superiore in tutto il mondo dovrebbero ispirarsi. Negli stessi scritti infatti s'alza la complementare riprovazione per quei sistemi che renderebbero impossibili tali miracolose evenienze, non perseguendo (come farebbe invece l'università americana) l'eccellenza e il merito: ovvio e non implicito, in proposito, il riferimento alla derelitta università italiana, da redimere quasi per intero.
Apollonio è solo un autodidatta. Non sa cosa si insegna nelle scuole di eccellenza. Dubita tuttavia che vi si insegni ciò che gli ammirati articoli che egli ha letto pare vogliano lasciare credere: cioè che il danaro cresca spontaneamente sui rami degli alberi e che quindi il grande merito di chi ne fa tanto sia di sapere in quale Eden ciò si verifica.
A credere alla stampa, del resto, sembra non si debbano al fortunato giovanotto invenzioni, scoperte, avanzamenti della conoscenza tali da far pensare che la tanta ricchezza che ha sì velocemente accumulata e che gli ha consentito l'obolo sesquipedale, se è arrivata alle sue tasche, non sia venuta via, come di norma accade, da quelle di altri. Anzi, come sempre succede quando il denaro è veramente tanto, dalle povere tasche di molti altri: con ogni probabilità, e per vie neppure troppo indirette, messi a lavorare proprio in Cina per lui e per i profitti del suo fondo.
Il dono alla Yale School of Management è quindi riconoscimento e grata ricompensa per l'istituzione che gli ha insegnato i mezzi più efficaci ad operare simili trasferimenti, per designare i quali il lessico comune delle modeste lingue umane dispone di crude parole, già certamente affacciatesi allo spirito acuto dei due lettori di Apollonio.
Insomma, ne sortisce una vicenda da autentico anti-Robin Hood, perfetta illustrazione della Neolingua, che chiama dono ciò che è ben altro e che cantori del mondo che verrà, illuminati (o forse solo abbagliati dal sinistro riverbero dell'oro?), vorrebbero stesse a fondamento espressivo (quindi teoretico, oltre che morale) della più alta istituzione educativa dell'erigenda società globale.
Apollonio è solo un autodidatta. Non sa cosa si insegna nelle scuole di eccellenza. Dubita tuttavia che vi si insegni ciò che gli ammirati articoli che egli ha letto pare vogliano lasciare credere: cioè che il danaro cresca spontaneamente sui rami degli alberi e che quindi il grande merito di chi ne fa tanto sia di sapere in quale Eden ciò si verifica.
A credere alla stampa, del resto, sembra non si debbano al fortunato giovanotto invenzioni, scoperte, avanzamenti della conoscenza tali da far pensare che la tanta ricchezza che ha sì velocemente accumulata e che gli ha consentito l'obolo sesquipedale, se è arrivata alle sue tasche, non sia venuta via, come di norma accade, da quelle di altri. Anzi, come sempre succede quando il denaro è veramente tanto, dalle povere tasche di molti altri: con ogni probabilità, e per vie neppure troppo indirette, messi a lavorare proprio in Cina per lui e per i profitti del suo fondo.
Il dono alla Yale School of Management è quindi riconoscimento e grata ricompensa per l'istituzione che gli ha insegnato i mezzi più efficaci ad operare simili trasferimenti, per designare i quali il lessico comune delle modeste lingue umane dispone di crude parole, già certamente affacciatesi allo spirito acuto dei due lettori di Apollonio.
Insomma, ne sortisce una vicenda da autentico anti-Robin Hood, perfetta illustrazione della Neolingua, che chiama dono ciò che è ben altro e che cantori del mondo che verrà, illuminati (o forse solo abbagliati dal sinistro riverbero dell'oro?), vorrebbero stesse a fondamento espressivo (quindi teoretico, oltre che morale) della più alta istituzione educativa dell'erigenda società globale.
12 gennaio 2010
Ah! le bricoleur du dimanche...
"Todo el mundo conoce la figura de De Saussure en su faceta de creador del estructuralismo lingüístico. Pero son muchos menos los que saben que él fue de profesión indoeuropeísta, disciplina a la que hizo aportaciones de trascendencia. Hombre no demasiado prolífico, no demasiado constante, fue más propenso a abrir caminos nuevos que a recorrerlos hasta el final" (Francisco Villar, Los indoeuropeos y los orígenes de Europa, Editorial Gredos, Madrid 1996, p. 200).
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