"U frat d'Carmela". "Se ne devono andare, se non siete in grado voi, lassate fare a nui". "Menamooo!". "Porta un niro". "Tutta l'Africa 'sta cca'". "Vulimm' ca spariscono". "Noi siamo monnezza, mo basta". "Spingimm! Spingimm!". "Nun vulimm chiacchiere". "Risolvete la situazione in due ore o li lassat ind'e mani nostr".
Piccoli lacerti espressivi pseudo-dialettali: un mese fa, facevano effetto di verità e colore locale nel servizio dell'inviato speciale d'uno dei maggiori giornali nazionali, in occasione della fiammata xenofoba di Rosarno, centro agricolo della Calabria meridionale.
Piccoli, ma già così pieni di luoghi comuni: non quanto al significato, come si pensa di norma accada coi luoghi comuni, ma quanto al significante, che (lo capì Ferdinand de Saussure - e pochi altri dopo di lui) è anch'esso pensiero, né più né meno del significato. Ne viene fuori un'immagine linguistica che con Rosarno ha poco da spartire: un meridionalese generico, con grossolani tratti apulo-campani come marche prevalenti.
La dialettologia non è disciplina che si studia sui quotidiani, naturalmente, ma i quotidiani pretendono d'essere specchi fedeli della realtà e sono sempre i dettagli a rivelare inconfutabilmente l'autenticità di una persona o di un'istituzione, perché la verità, come ognuno sa, sta nel dettaglio. Il falso dialetto rende dunque fondato il sospetto che l'intero servizio abbia poco da spartire con Rosarno e con gli incresciosi fatti che vi si sono svolti; che, insomma, a Rosarno, l'inviato non ci sia mai stato. Ciò non significa naturalmente che, a spese del suo giornale, egli non vi abbia eventualmente riscaldato il letto di un albergo per una notte e non vi abbia consumato a colazione un cappuccino e una brioche, dettando poi al suo giornale un pezzo intriso dei luoghi comuni che il suo occhio e il suo orecchio lo hanno abilitato rapidamente a percepire.
Coelum non animum mutant qui trans mare currunt ammoniva saggiamente Orazio, del resto, e l'antica massima pare trovare ancora piena applicazione alla vicenda tutta moderna e tutta culturale dell'inviato speciale.
Piccoli, ma già così pieni di luoghi comuni: non quanto al significato, come si pensa di norma accada coi luoghi comuni, ma quanto al significante, che (lo capì Ferdinand de Saussure - e pochi altri dopo di lui) è anch'esso pensiero, né più né meno del significato. Ne viene fuori un'immagine linguistica che con Rosarno ha poco da spartire: un meridionalese generico, con grossolani tratti apulo-campani come marche prevalenti.
La dialettologia non è disciplina che si studia sui quotidiani, naturalmente, ma i quotidiani pretendono d'essere specchi fedeli della realtà e sono sempre i dettagli a rivelare inconfutabilmente l'autenticità di una persona o di un'istituzione, perché la verità, come ognuno sa, sta nel dettaglio. Il falso dialetto rende dunque fondato il sospetto che l'intero servizio abbia poco da spartire con Rosarno e con gli incresciosi fatti che vi si sono svolti; che, insomma, a Rosarno, l'inviato non ci sia mai stato. Ciò non significa naturalmente che, a spese del suo giornale, egli non vi abbia eventualmente riscaldato il letto di un albergo per una notte e non vi abbia consumato a colazione un cappuccino e una brioche, dettando poi al suo giornale un pezzo intriso dei luoghi comuni che il suo occhio e il suo orecchio lo hanno abilitato rapidamente a percepire.
Coelum non animum mutant qui trans mare currunt ammoniva saggiamente Orazio, del resto, e l'antica massima pare trovare ancora piena applicazione alla vicenda tutta moderna e tutta culturale dell'inviato speciale.
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