Come i suoi due affezionati lettori sanno, ormai da qualche anno Apollonio ha eletto a dimora, sempre più esclusiva, una Citera interiore ma per nulla solitaria. Tiene lontano da essa, come può ma con cura, il suo povero affaccendarsi medesimo, oltre che l'altrui, la cui eco gli giunge fievole ma non tanto da non rendergli palese che, non solo nella sua disciplina ma nell'insieme di fenomeni sociali e culturali che riguarda la lingua (e l'italiano in particolare), c'è un rinnovato agitarsi.
Accade periodicamente: un tempo l'agitarsi che aveva a pretesto la lingua (e l'italiano in particolare) aveva cadenze che superavano la brevità di una normale vita umana. Nell'epoca presente, quella che gli piace definire modernità putrefatta, succede a ritmi più serrati, tanto che, nell'arco di sua vita fin qui trascorso, Apollonio ha potuto farne più di un'esperienza: sono anche effetti collaterali del prolungarsi (quanto di valore?) di un sempre più largo e generale permanere delle esistenze, tra le quali la sua medesima.
Gente pensosa ha ricominciato ad agitarsi intorno alla lingua, dunque, ed è tutto un fiorire di iniziative, in cui c'è chi dice come, con la lingua, dovrebbe andare e invece, a suo parere, non va; c'è chi va a caccia di cariatidi disciplinari eleggendole a feticci di presunte restaurazioni di antichi valori; c'è chi continua a fare l'insignificante nulla che ha sempre fatto, verniciandolo (con l'aiuto di interessati complici) della qualificazione di nuovo (o novo, come per memoria ascoliana verrebbe fatto di scrivere), certo del potere di ulteriore inebetimento che l'evocazione di tale disgraziato aggettivo ha sempre esercitato sulle menti già sciocche.
Un formicolare che, Apollonio non sa perché, nella sua laica memoria risveglia il ricordo di catechismi infantili, con quella tremenda sentenza, di cui già allora si chiedeva ragione e di cui solo adesso, rovesciandola, ha l'impressione di intuire (ma solo appena) il valore, pacificandosi con il mondo se non con se stesso: "Lascia i morti disseppellire i loro morti".
Accade periodicamente: un tempo l'agitarsi che aveva a pretesto la lingua (e l'italiano in particolare) aveva cadenze che superavano la brevità di una normale vita umana. Nell'epoca presente, quella che gli piace definire modernità putrefatta, succede a ritmi più serrati, tanto che, nell'arco di sua vita fin qui trascorso, Apollonio ha potuto farne più di un'esperienza: sono anche effetti collaterali del prolungarsi (quanto di valore?) di un sempre più largo e generale permanere delle esistenze, tra le quali la sua medesima.
Gente pensosa ha ricominciato ad agitarsi intorno alla lingua, dunque, ed è tutto un fiorire di iniziative, in cui c'è chi dice come, con la lingua, dovrebbe andare e invece, a suo parere, non va; c'è chi va a caccia di cariatidi disciplinari eleggendole a feticci di presunte restaurazioni di antichi valori; c'è chi continua a fare l'insignificante nulla che ha sempre fatto, verniciandolo (con l'aiuto di interessati complici) della qualificazione di nuovo (o novo, come per memoria ascoliana verrebbe fatto di scrivere), certo del potere di ulteriore inebetimento che l'evocazione di tale disgraziato aggettivo ha sempre esercitato sulle menti già sciocche.
Un formicolare che, Apollonio non sa perché, nella sua laica memoria risveglia il ricordo di catechismi infantili, con quella tremenda sentenza, di cui già allora si chiedeva ragione e di cui solo adesso, rovesciandola, ha l'impressione di intuire (ma solo appena) il valore, pacificandosi con il mondo se non con se stesso: "Lascia i morti disseppellire i loro morti".
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