31 agosto 2011

"La Cina è vicina"

Quasi mezzo secolo fa, stava scritto sui muri, eventualmente in caratteri rossi: speranza e minaccia. Oggi, non c'è più bisogno di scriverlo, tanto meno sui muri e in caratteri rossi. Sulla via della piena realizzazione della minaccia, si è già verificato, come sempre, quanto fosse infondata la speranza.

[In immagini, da Marco Bellocchio alla pubblicità di una nota marca di caffè.]

30 agosto 2011

Lo sguardo della critica

Lo sguardo di chi vuole discernere, lo sguardo della critica e di una linguistica critica (ma non pedantesca) è ingenuo, per definizione. Se a qualcuno può sembrare impertinente è soprattutto perché esso non ha assoluti.
Non li ha non perché coltivi un facile culto per un abborracciato relativo ma perché va sempre a caccia di ciò che fonda l'apparenza dell'assoluto come l'apparenza del relativo. Va sempre a caccia, in altre parole, di ciò che in sistemi di relazioni costituisce la pertinenza e determina valori processuali.
Ciò facendo, entra costantemente in conflitto con abiti intellettuali e con contesti materiali ispirati da velleità di assoluto o da rese al relativo. Questi paiono tra loro contrastanti ma si rivelano, alla prova delle pertinenze, intimamente solidali, come lo sono le due facce di una medaglia: la faccia relativa e la faccia assoluta della (dotta) stupidità.

[L'immagine: Marcus Parisini, Sguardo di scimpanzè (1997), dalla rete]

27 agosto 2011

Lingua nostra (3): "americanata"

"Azione da americano; per lo più scherz., riferito a cosa o a impresa eccentrica, sorprendente, esagerata e talvolta un po' pacchiana, in base all'immagine stereotipata dei modi e delle manifestazioni in uso negli Stati Uniti d'America". Così il Vocabolario Treccani on-line.
Americanata era ancora frequente nella Citera provincialissima dell'infanzia e dell'adolescenza di Apollonio: "Quel film? Un'americanata"; "Non fare americanate"; "Un'americanata di matrimonio".
Dentro americanata, come connotazioni, c'erano ironia, sprezzatura, presa di distanza dall'enfasi, irrisione del tronfio, di ciò che è stucchevole e per giunta in modo melenso, diffidenza verso l'esagerazione, avversione al troppo e così via. Il luogo comune che stava sotto americanata, perché di un luogo comune si tratta, nutriva così una sorta di misura e d'eleganza, che esercitava il suo giudizio, ovviamente, ben oltre le americanate americane: Joseph Goebbels (come chiariscono belle pagine di Viktor Klemperer) era un maestro di americanate.
Oggi, americanata è quasi scomparso dall'uso. Perché? Perché non ci sono più in giro americanate?
Per la ragione opposta, sospetta Apollonio. Perché la parte di Goebbels ha vinto. Sì, la parte di Goebbels, che non era il nazismo ma il progressivo e inarrestabile marcire di tutte le belle intenzioni della modernità, l'era irragionevole di ogni sorta d'intenzione.
Non c'è espressione pubblica che non sia allora un'autentica americanata, si tratti di notizia di un evento naturale (annunciato o avvenuto), di partita di pallone, d'inchiesta giudiziaria, di messa in scena di un'opera lirica, di presentazione di un libro, di visita in un ospedale, di bollettino medico o di guerra, di chiacchiera sotto l'ombrellone di una (presunta) personalità. E poi, come si è già detto in questo blog, "il più grande filosofo vivente...", "la rivoluzionaria ipotesi scientifica..." e così via. E il minimalismo, di cui il post precedente, con quella sua designazione da Newspeak, cos'è appunto se non una mera americanata?
Tracimando dalla vita pubblica, l'americanata dilaga ormai largamente nella vita privata e nelle sue espressioni. Basta sentirsi raccontare da chiunque (la stagione è propizia) le piccole gioie o i modesti incidenti delle sue vacanze, anche trascorse sul balcone di casa. I godimenti sono estasi, i guai degni di Giobbe (anche se vissuti con pazienza molto minore).
Nuotando in americanate rese ancora più gonfie da rappresentazioni che sono americanate, nessuno s'accorge più della loro esistenza.
Questo post è forse esso medesimo un'americanata, nel suo piccolo. E per concluderlo, sgonfiandolo, lo spillo d'un invito pedante: sulla vicenda, infatti, sarebbe forse il caso riflettessero, per la sua portata teorica, storici delle lingue e acuti osservatori del rapporto tra cose e parole, nelle prospettive tanto semasiologica quanto onomasiologica. Pare ci siano parole che escono dall'uso non per lo scomparire della cosa ma per il suo crescere, come un'americanata, oltre ogni limite e ogni misura di gusto.

19 agosto 2011

Minimalismi

Natura umana? Ma quando mai! Il diabolico artefatto di un apprendista stregone, che genera la tortura post-moderna d'inestinguibili suonerie telefoniche, è l'archetipo formale e l'orizzonte espressivo del minimalismo. Di ogni minimalismo.
Insomma, un eccesso di cultura (ma cultura?) designato fraudolentemente come natura, secondo il modello del Newspeak. Certo, dentro i minimalismi, nessuna traccia della natura. Che, quanto all'uomo, esiste. Eccome se esiste! Ed è appunto designata dall'ossimoro che apre e chiude questo post: natura umana.

16 agosto 2011

Cuore di padre

"Interventi antipatici su temi futili": così un rampollo di Apollonio, non a caso impegnato nella comunicazione, definisce, sorridendo sardonico, i post del blog del suo genitore, tra la divertita ilarità dei pochi commensali.
Mai definizione di questo blog fu più appropriata e meglio espressa. Ammirato e quasi invidioso che non sia sua, Apollonio medita di concederle il rango di epigrafe.
Frattanto, tenero cuore di padre, ne gongola. Vi riconosce infatti la parola d'un Apollonide autentico. Capace appunto di un intervento antipatico sopra un tema futile.

Lingua loro (22): Naturale

Una metropoli dell'Italia insulare. A un tiro di schioppo, che meraviglia!, "Riserva naturale...". Periodici cartelli, sul percorso, ne informano i visitatori.
Sulla breve via che, dal tracciato principale, conduce al mare, in piazzole riarse, sacchetti della spesa colmi di suppellettile da picnic impacchettata con cura e lasciati a marcire e a lacerarsi, per l'opera di qualche bestia, sotto il sole; resti di fuochi e poi fittissime costellazioni, autentiche miriadi di fazzolettini, accartocciati. Qui e là, qualche preservativo: "usato", per citare il secondino archivista che ne restituisce, soddisfatto ma con qualche cautela, un esemplare a Jake Blues, al momento del di lui momentaneo congedo dalle carceri dello stato dell'Illinois.
Quando si giunge finalmente tra gli scogli, talvolta opportunamente celati tra gli anfratti, contenitori e confezioni di vari generi di conforto, yogurt, merendine, patatine, e bottiglie di bevande d'ogni tipo, quelle in vetro eventualmente frantumate.
Come un Fantozzi lì condotto dal ragionier Filini dell'occasione, Apollonio fa il bagno, prende il sole e se ne va meditando sulla natura umana e sulla sua locale declinazione.
Menare scandalo? Che conformistica sciocchezza! Tutto ciò che accade nel mondo ha le sue buone ragioni per accadere. E inoltre quello che ci si trova a vivere, non bisogna mai dimenticarlo, è il migliore dei mondi possibile. E dunque?
Gli abituali frequentatori della "Riserva naturale", pensa, sono evidentemente a pieno titolo parte della fauna protetta, insieme con la stanziale. Di conseguenza, nel loro ambiente naturale, si comportano in modo per loro naturale. E chi oserà contestarne il diritto? Portar via una bottiglia di plastica da lì, sottrarre il segno di qualche trascorso pasto o di qualche trascorsa copula (appunto, attività naturali esemplari dei viventi, come insegnano, tra l'altro, ben note trasmissioni televisive) significherebbe avere in spregio la natura. Significherebbe modificare il delicato equilibrio di un contesto naturale, che si offre invece così nel suo pieno e intatto rigoglio all'osservatore. Questi ha da essere delicatissimo, con le sue osservazioni, per non turbarlo. Altro che impancarsi a censore! Censore di che? Della natura (umana)?
Apollonio è quindi grato al suo ragionier Filini: "ragioniere", appunto, non senza ragione. Con l'occasione banale di un banale bagno a due passi da una banalissima metropoli dell'Italia insulare, è inciampato in una particolare piega dell'eterna questione umana della natura. Per un momento, ha intuito il contatto tra Dio e la parola. Ha colto una balenante deroga all'arbitrarietà del segno, un'evenienza preziosa e per una volta trasparente di motivazione. Come invitano a fare tutti coloro che se ne intendono, ha colto il "senso". Il mitico "senso", se non della vita e del suo modesto essere nel cosmo, almeno di naturale. Chiude gli occhi e, per quanto lo consentono gli scomodi scogli, riposa, beato.

14 agosto 2011

E-pistola

Sulla stampa, qualche settimana fa, riappare e-pistola come possibile concorrente, tutta nazionale, di e-mail.
Doveva correre l'ultimo o il penultimo anno del secolo scorso e Apollonio la suggeriva, proprio per la bisogna, al presidente dell'Accademia della Crusca dell'epoca.
In giro per le università dell'Europa continentale, questi informava i numerosi commensali di una cena turicense di un suo prossimo impegno: il coordinamento, presso l'Accademia, d'una importante riunione convocata per decidere, con adeguata ponderazione, cosa fare con le nuove parole della marea di anglismi informatici allora montante, tra cui appunto e-mail.
Il suggerimento (ma c'è bisogno di precisarlo?) inclinava verso il faceto. Apollonio pare però abbia un particolare difetto comunicativo, tra i molti altri caratteriali (appunto, Discolo). Dice cose per lui ridicole con aria serissima e cose per lui serie come fossero facezie. Così gli si rimprovera coralmente da quando era ragazzo da chi non crede inoltre che egli lo faccia senza malizia e intenzione. Come un idiota, resta infatti stupefatto dagli esiti che vede di solito seguire ai suoi discorsi.
Quello fu proprio un caso. Invece di scoppiare nell'attesa risata, infatti, l'illustre ospite prese a quel punto un'aria pensierosa e disse che avrebbe avanzato la proposta nell'imminente occasione. È fuori discussione che, quella sera, egli mostrasse di concedere attenzione ad Apollonio, con signorile e benevolente cortesia, pensandolo serio e appassionato alla questione, perché ingannato dal menzionato difetto. L'uscita gli sarà subito parsa, in realtà, sbardellata e degna d'uno stolto.
A riprova, il fatto che, da allora, di e-pistola si sia sentito parlare, grazie al Cielo, solo molto sporadicamente e solo come segno del fatto che non manca mai un "pistòla" che spara una sciocchezza, con pretesa di far dello spirito con le parole.
Come tale si manifestò allora Apollonio, infelicemente. E, con questo post, col blog intero, come "pistòla" egli si manifesta ancora oggi. Anzi, per essere più precisi come e-"pistòla". Ha infatti una nuova proposta da fare. Accanto a e-pìstola col valore di e-mail, si dia corso anche a un e-pistòla, come designazione di chi, con mezzi elettronici e in rete, rende palese la sua stupidità.

9 agosto 2011

Finire (1)

Un'estate fresca e piovosa. "Ma la pioggia finirà?" è capitato di sentire chiedere sotto ombrelloni dalla mutata destinazione. Domanda straniante, dato il contesto, che nello spirito di Apollonio porta a galla lontane riflessioni sulla sintassi della fine. Qui, un brandello. Capiterà di pescarne altri. La fine è un tema sempre affascinante e, visto l'inusuale silenzio, si può stare certi che qualcuno si sarà chiesto se, per caso, Apollonio non l'avesse finalmente piantata. Non ancora, risponde questo post sulla fine. Non ancora.
"La pioggia finisce", allora. Una proposizione semplicissima. Un nome, come soggetto, un verbo intransitivo, come predicato. Lo stesso schema di "La pioggia crepita". L'una e l'altra corredate in parallelo, a mo' di elementari parafrasi, da nessi nominali altrettanto semplici: "La fine della pioggia", "Il crepito della pioggia", coi predicati non più verbali a fungere da nocciolo nominale e il soggetto non più soggetto a fungere da complemento.
Come succede allora che a "La pioggia finisce" corrisponde bene "Finisce di piovere", mentre a "La pioggia crepita" non è banalmente accostabile "Crepita di piovere"?
Dietro il medesimo schema grammaticale di superficie si celano circuiterie funzionali differenti, di cui si coglie di preferenza l'aspetto interpretativo (o semantico, come si preferisce qualificarlo), considerandolo per ciò stesso il fondamentale.
In "La pioggia finisce", incapsulata dentro l'involucro di un nome e di un nome che fa da soggetto, la funzione predicativa di "la pioggia" estende tuttavia la sua portata all'intera proposizione. Lungi dall'essere il predicato principale dell'insieme, il verbo "finisce" ne è solo un ausiliare aspettuale. In altri termini, "la pioggia", predicazione principale della proposizione, vi è considerata dal punto di vista del suo cessare: "La pioggia finisce" corrisponde appunto a "Finisce di piovere".
Anche nel soggetto di "La pioggia crepita" c'è, incapsulata in un nesso nominale, una funzione predicativa; c'è, se si vuol dire così, "il piovere". Questa volta, tale predicazione vi è però come costretta. Con l'intero suo involucro nominale come specifico carattere, si presta così a venire determinata dalla predicazione del verbo "crepita", che è la principale dell'insieme.
Aspetti e rapporti superficiali identici, insomma, ma dipendenze funzionali molto differenti. È la lingua. Nel caso specifico, non è, ovviamente, la lingua in sé ma la lingua nella declinazione che le danno l'italiano e molti altri idiomi apparentati, così attenti (a ciò che pare) alla fine e al principio da destinarvi specifici artifizi di facile articolazione grammaticale.
Nessuno può escludere che altre ipotetiche declinazioni abbiano fatto, facciano o faranno del "crepito", come di altre sonorità legate al cadere della pioggia, una modalità da affidare a una funzione ausiliaria, leggera come impone sempre la sintassi, al pari del "finire" italiano.
Nessuno può escludere d'altra parte che, anche in italiano, uno spirito bizzarro, fosse solo per il gusto di provocare uno straniante cortocircuito giocando con le relazioni nascoste delle proposizioni, abbracciato alla sua bella tra le lenzuola, non se ne sia già uscito o non se ne esca con un insinuante "Ascolta... crepita di piovere".