Grazie al cielo e all'impersonale equilibrio del mondo, dove ogni cosa e ogni persona, alla fine, stanno nel posto che compete loro, anche se ciò può apparire doloroso o, per i più presuntuosi, contrario a ragione, le sofisticherie dei grammatici d'ogni tempo e d'ogni scuola non troveranno mai spazio sugli scaffali della bottega del pizzicagnolo di un'isoletta mediterranea né sui banchi del supermercato di una grande città europea.
Che importa alla gente che vuole farsi un caffè e va a procurarsi il necessario di avere consapevolezza metalinguistica dei valori che, si ponga, in italiano hanno certi nomi (detti, per infausta definizione, "di massa") quando, in funzione del numero grammaticale, il cosiddetto articolo s'accompagna a essi in una delle sue realizzazioni diverse o non s'accompagna del tutto?
Qui accanto sta però il grazioso poliptoto (il caffè…, …caffè…, …un ottimo caffè), dove appunto il caso in questione si dà. Esso compare nel testo d'accompagnamento della confezione di un prodotto di largo consumo, offerto da una notissima multinazionale del settore alimentare. Il contesto materiale garantisce che non si tratta dell'evenienza d'una comunicazione esoterica, riservata a pochi privilegiati. Nella sua gustosa variatio, la figura è del resto immediatamente comprensibile a chiunque padroneggia l'italiano senza avere giustamente prestato mai troppa attenzione alle raccomandazioni grammaticali sugli usi dell'articolo da parte di un(')insegnante né avere per sua fortuna frequentato un supponente corso universitario di linguistica. Le prime non sarebbero del resto mai state in grado di renderlo capace di finezze interpretative comparabili. Il secondo l'avrebbe magari reso spettatore del modo con cui se ne fa strame intellettuale.
Nei suoi accadimenti d'ogni giorno e con la sua nativa e naturale efficacia culturale, la lingua, proprio come la vita, ha anche questo di bello. Ridimensiona e mostra quanto sia superflua la chiacchiera di coloro che, in proposito, pretendono di saperne più di altri perché le si accostano armati d'una presunta dottrina, quando tutti, proprio tutti, per una prassi che non è un fare ma un saper fare, della lingua si sa sostanzialmente le medesime cose: quelle che nessun essere umano è mai stato capace di insegnare a un altro essere umano.
Mentre la ridimensiona, però, la lingua restituisce a quella chiacchiera, e quindi alla linguistica e, "per li rami", anche a questo modestissimo blog, il loro autentico valore.
Se è una chiacchiera buona, come può essere buono, perché superfluo, un caffè, la chiacchiera sulla lingua ha il valore di acuire, risvegliandola sulla soglia di una consapevolezza forse mai raggiungibile, la sensibilità umana alla contemplazione, ammirata o sdegnosa, di ciò che non si sa donde venga e dove stia ma che è certamente ultra-umano.